Da via Spano a via Cima: due strade per due illustri pensatori

Via Giovanni Spano è una strada che pulsa di storia, un angolo silenzioso e nascosto, che, posto a cavallo tra i quartieri storici di Castello e della Marina, sussurra segreti e memorie perdute di una città che è riuscita a trasformarsi nel tempo.
Non ci finisci per caso, ci vai assalito dalla curiosità, seguendo le vecchie mura che sembrano volerti raccontare le vicende di coloro che l’hanno vissuta.
È un luogo che ha assistito al passaggio di epoche e di vicende, un anello di congiunzione che ha saputo lasciare un segno indelebile nel tessuto sociale di Cagliari.

Porta dei Due Leoni

Ben nascosta dal traffico e dalla confusione, attraversando ciò che rimane dell’antica Porta dei Due Leoni, si sviluppa dai piedi della Terrazza Umberto I del Bastione di Saint Remy, fino alla più rinomata via Giuseppe Manno, sulla quale si immette per mezzo di alcune scalette.

Il varco che si lascia alle spalle, costruito durante il 1535 nella cortina che collegava gli antichi bastioni del Balice e dello Sperone, nella parte esterna è impreziosito da due protomi leonine scolpite in pietra, forse, per i suoi stilemi arcaici, materiali di spoglio prossimi a quelli di epoca romanica.
È un particolare che sembra voglia essere un invito ad esplorare la roccaforte, poiché è la prima immagine che la città antica da di sé a chi oggi si inerpica arrivando anche da via Giuseppe Mazzini.

Via Spano, che nasce come viottolo scavato nella roccia durante l’epoca pisana, aveva la funzione di collegare il centro economico del borgo marinaro con il quartiere nobile della città di allora.
Si trattava di un sentiero molto ripido, fangoso durante le giornate di pioggia, arido e polveroso in quelle estive, e veniva utilizzato principalmente dai mercanti che dovevano trasportare vettovaglie e mercanzie dalla Bagnaria fino al quartiere alto. Giungere al Castello non era facile, né per i venditori che erano costretti a risalire a piedi, né per i carriaggi, soprattutto durante i temporali, quando il selciato si trasformava in un vero e proprio ruscello.

Via Giovanni Spano. In alto, al centro, la cannoniera spagnola del Bastione dello Sperone; a sinistra, piccole abitazioni e attività commerciali costruite lungo le antiche mura del Castello

Dopo una serie di polemiche durate quasi duecento anni, per venire incontro a coloro che lamentavano disagi e difficoltà nel raggiugere la città alta, nel 1684 la municipalità si adoperò per trovare finalmente una soluzione, decidendo di realizzare un altro selciato meno aspro che rendesse più agevole l’ascesa al colle fortificato.

La confluenza fra i due sentieri, che ricadeva proprio nell’area sottostante le mura del Castello utilizzata come luogo per le esecuzioni capitali, alla fine del XVIII secolo viene scelta intenzionalmente come sito per fondare il Monastero cagliaritano del Santo Sepolcro delle Monache Cappuccine, che, realizzato grazie ai fondi messi a disposizione dalla nobildonna Anarda Genovès Zatrillas, permise ad otto suore di clausura dell’Ordine delle Clarisse provenienti dal Reale Monastero di Madrid, di insediarsi stabilmente in città il 15 febbraio 1711.

Via Giovanni Spano. Vuoto sotto le mura pisane prima occupato da piccole abitazioni e ora trasformato in parcheggi.

Il piccolo tempio adiacente al monastero, ubicato in quella che all’epoca era ancora una zona spoglia e disabitata, inizia a richiamare i fedeli.
Poi, col passare del tempo, cominciano a spuntare anche una serie di casupole e piccole botteghe di artigiani che lavoravano il legno. Il minuscolo villaggio, che va a svilupparsi lungo le antiche mura perimetrali del Castello, viene presto ribattezzato Calle de Los Torneros, la via dei tornitori.

Il sentiero sorto più di recente diviene invece Calle del las Monjas Capuchinas, via delle Monache Cappuccine, un chiaro omaggio alle religiose che con la costruzione del loro edificio avevano reso più rapido e favorevole il percorso fino al Castello.

Durante l’assedio spagnolo del 1717 e poi quello francese del 1793, il monastero venne più volte colpito dalle palle di cannone, e tra le varie devastazioni, vide cadere in frantumi anche parte dell’antico portico laterale che lo connetteva nelle prossimità di quello che all’epoca era ancora l’unico ospedale della città.

Il portico, così come parte dell’edificio religioso abbattuto, e nel frattempo coinvolto nella prima legge di soppressione degli Ordini religiosi, non fu mai ricostruito, e l’area già tracciata dalla sua distruzione divenne occasione per la realizzazione di un vicolo pubblico che avrebbe permesso di avvicinare fisicamente la parte più alta del colle con l’ente assistenziale de Sant Antoni.

Durante gli anni Trenta del Novecento, la via dei Tornitori fu ripulita da una parte delle botteghe e abitazioni che si erano addossate alla muraglia, mentre quelle sopravvissute ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, ristrutturate, prestano tuttora la funzione di piccoli laboratori artigiani. Le costruzioni poggiano ancora e direttamente nelle mura di mattoncini di tufo del bastione, e all’interno di una di queste, un finto armadio nasconde l’ingresso di un cunicolo che porterebbe fino all’ex Seminario Tridentino dell’attuale complesso dell’Università. Il passaggio, da tempo occluso, pare servisse per raggiungere più facilmente le monache cappuccine del convento sottostante.

Ritratto di Giovanni Spano custodito all’interno del percorso museale della Pinacoteca nazionale di Cagliari

Oggi l’intitolazione di questa prima via è dedicata ad una delle figure che, per la generazione attuale, è legata principalmente ad un istituto scolastico che molti giovani cagliaritani continuano a frequentare.
Per ricordare il canonico Giovanni Spano dovremmo invece addentrarci in un labirinto di molteplici interessi, attività, incarichi ricoperti, e libri pubblicati.

Nato a Ploaghe l’8 marzo 1803 da una famiglia di agiati possidenti originari di Bosa, dopo gli studi matura la vocazione e prende gli ordini sacri. Ma a dispetto delle sue vesti talari, inizia ad essere considerato non tanto un riferimento religioso, piuttosto il faro guida dei cronisti storici dell’epoca e di quelli che gli succedettero, nonché il promotore della rinascita degli studi archeologici, storico artistici e linguistici dell’intera Sardegna.

Alla città di Cagliari dedicò particolare attenzione descrivendone i monumenti in varie opere, e sempre a Cagliari, dopo aver intrapreso gli scavi dell’Anfiteatro Romano, fonda il Museo Archeologico (a cui donerà la sua collezione di reperti), l’Orto Botanico, e il noto Bullettino Archeologico Sardo.

Continuò a studiare e a pubblicare articoli e opere di grande valore fino alla morte, avvenuta a Cagliari il 3 aprile 1878.

Busto commemorativo di Gaetano Cima, opera del Pandiani, all’interno dell’atrio dell’Ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari

Il suo sepolcro si trova all’interno del cimitero di Bonaria, sul lato nord, e il monumento funebre riutilizza un ritrovamento di epoca romana dovuto allo stesso studioso.
Progettato dal canonico nove anni prima di morire, è composto da un sarcofago romano sorretto da quattro colonne. Sormontata da un busto marmoreo del defunto, attribuito a Giuseppe Sartorio, la lapide commemorativa posta lungo il margine inferiore del sarcofago  riporta incise queste parole: PATRIAM DILEXIT LABORAVIT – Amò la Patria e fu sempre operoso. 

Divenne amico degli eruditi e degli uomini di cultura dell’epoca più importanti d’Italia e d’Europa, ma nutriva un amore sviscerato solo per la Sardegna, e gli studiosi per questo lo ammiravano, perché riusciva a mantenere intatte le sue usanze, la sua lingua, quasi latina, la sua tradizione orale del canto e della poesia improvvisata.

Fu un pensatore coraggioso e moderno. Si occupò di tutto ciò che poteva attirare la sua immensa curiosità, esercitando i suoi vasti interessi culturali in molteplici ambiti disciplinari, tanto da poter essere considerato l’iniziatore degli studi sardi sulla Sardegna.

Via delle Monache Cappuccine è invece divenuta un’elegante strada che vuole omaggiare il cagliaritano Gaetano Cima, un autorevole punto di riferimento nell’ambito dell’architettura isolana dell’Ottocento, ricordato principalmente per l’Ospedale San Giovanni di Dio, un edificio a suo tempo modernissimo che venne edificato durante gli anni ’40 del XIX secolo.

Via Gaetano Cima. Al termine della via, una porzione del monastero delle Clarisse Cappuccine

La strada è breve, e si differenzia come tutte le vie secondarie per i suoi silenzi, nonostante comunichi direttamente con la centrale e frequentatissima via Giuseppe Manno.

Lungo il suo percorso, gli aneddoti però non mancano, e all’interno di un localino si può ancora osservare la parete di fondo fatta di roccia, probabilmente proprio quella di bianca pietra forte che caratterizza la città di Cagliari. Nella roccia sono scavate quattro nicchie, e in ciascuna vi è ancora una sorta di piccola vasca. I proprietari raccontano che questo locale fungeva da stalla per i cavalli delle Regie Poste in servizio fino ai primi anni del XX secolo, e che le nicchie con vasca erano probabilmente le mangiatoie degli animali.

Un piccolo appartamento nella via, nel 1889, diede invece i natali al più diffuso quotidiano della Sardegna, L’Unione Sarda, che veniva stampato nella tipografia di Antonio Timon, situata nel piano terra di un palazzo posto di fronte.
La stamperia, funzionante dal 1817, contava trenta dipendenti, e lo stabilimento, all’avanguardia per quell’epoca, era dotato di macchinari di ultima generazione.
Nel 1891 si decise però di trasferire la sede del quotidiano in un immobile più grande che potesse dotarsi anche di un’officina grafica autonoma. Ciò portò purtroppo il declino della popolare Tipografia Timon che, senza le commesse di quello che nel frattempo era divenuto il più popolare quotidiano dell’isola, si ritrovò ad accumulare debiti.
Senza ordini non si potevano portare migliorie.

Alcuni decenni più tardi, il mobilio e i macchinari ormai antiquati della stamperia vennero acquistati da quello che oggi è divenuto Gruppo Editoriale Unione Sarda, e sono parte integrante della collezione storica della tipografia del quotidiano sardo.