Il Complesso di San Pancrazio

Il Complesso di San Pancrazio: affaccio delle carceri verso piazza Arsenale

La Torre di San Pancrazio oggi è uno dei punti di riferimento più rappresentativi di Cagliari, ma nei secoli scorsi la destinazione originaria fu di carattere militare, e il torrione, costruito nel punto più alto della collina del Castello, veniva utilizzato per intercettare gli attacchi provenienti sia dal mare che da terra, poiché, dalla sua sommità, era possibile controllare la città e tutto il territorio circostante.

Progettata nel 1305 dall’architetto cagliaritano Giovanni Capula, venne realizzata in bianchi conci di calcare estratto dal colle di Bonaria, anche se non si può escludere che parte del materiale utilizzato possa tuttavia provenire dalla vicina chiesa intitolata allo stesso martire cristiano.

La torre, che si eleva fino a 101 metri s.l.m., è caratterizzata da una pianta “a elle” iscrivibile in un rettangolo dalle dimensioni di 13(o 14)x16,50 metri, e si sviluppa su un’altezza di circa 40 m., marcando leggeri scarti di rastremazione verso l’alto. Un avancorpo si pronuncia poi, per circa tre metri, verso la parte destra del lato esterno, facendo in questo modo assumere alla struttura l’assetto planimetrico tipico delle tre torri pisane del Castello.

All’interno, gli impalcati lignei dei diversi piani, quattro più una terrazza comprensiva di una piccola struttura sommitale, sono collegati da ripide scale in legno e sostenuti da un’armatura di travi (in origine in legno di rovere, oggi di quercia) incastrate per un’estremità al muro frontale, e per l’altra poggiate su una travata maestra.

Interno delle antiche carceri, oggi ribattezzate Spazio San Pancrazio

Nei solidi paramenti murari si aprono due feritoie per piano fortemente strombate, dotate di archivolto dal profilo semicircolare, e orientate verso nord.

A varie altezze erano presenti i gruppi di tre stemmi pisani, dei quali la gran parte scalpellati; quelli sopravvissuti sono tuttora conservati presso la sala del Lapidarium dello Spazio San Pancrazio. Nel lato della torre rivolto verso piazza Indipendenza, nel gruppo posto sopra l’arco della porta, si possono però ancora notare alcuni emblemi gentilizi, fra cui uno scudo che mostra i quattro pali d’Aragona, un tempo rossi su fondo oro.

Un bassorilievo sovrasta l’arcata settentrionale di accesso alla Porta di San Pancrazio, un tempo protetta da tre portali e due saracinesche, di cui oggi rimangono solo i solchi di scorrimento. Si tratta della zampa di un animale, verosimilmente una “branca”, che richiama il nome di Sant Brancas, titolare della chiesa preesistente, dalla quale, porta, torre e pozzo ereditano il nome.

Nel lato meridionale resiste invece un’iscrizione ancora leggibile che riporta i nomi dei protagonisti della sua costruzione:

+ SVB A(n)NIS M(illen)O N(ost)RI REDE(n)PTO(r)IS V CCC [QVINTO TRECENTENO] BINE IND(icionis)
DEI D(e)OR(um) D(omi)NOR(um) T(em)P(o)R(e) BEC/TI ALLEATA RAYNE(r)II D(e) BALNEO T(ur)RIS
HEC FV(n)DATA CASTELLANOR(um) CVI(us) / OP(er)ARIVS FVIT CO(n)STITVTVS BECTVS
CALZOLARIVS P(ro)VIDVS AST/VTVS VBIQVE LOCOR(um) ATQUE SCRIBA PVBLICVS SIBI
ASSIGNATV(s) / ELDISVS NOTARIVS QVI SIT DEO GRATVS CELI CELOR(um) CEFAS / HVIVS
FABRICE OPERA SEDVLA ARC(h)ITECTOR OPTIMVS IOA(n)/NES CAPVLA MVRARIOR(um) +
PO(r)TA BEATI S(an)C(t)I PANCRATII.

Interno delle antiche carceri

La traduzione di Emilio Belli, pur con qualche licenza, mira a riproporre il ritmo e le strofe in rima dell’iscrizione originaria.

Nell’anno 1305 del Nostro Redentore / seconda indizione [della Santa Incarnazione] / del vero Dio: / e allora che questa presente torre fu fondata, / al tempo di Ranieri del Bagno e Betto Alliata / Signori e castellani. / Della qual opera costruttore ne fu / Betto Calzolario, provvido ed attento tra i più / dell’intero Creato. / Pubblico scrivano gli fu assegnato, / che al Dio dei Cieli sempre sia grato, / notaio Eldisio. / Capo fu di questa fabbrica, impresa diligente, / d’architetti e muratori il più eccellente: / Capula Giovanni. / Porta del Beato San Pancrazio.

Un barbacane completava infine il sistema difensivo della torre, all’epoca cinta da un fossato.

Quasi incorporata negli edifici più moderni, fra rocce affioranti e una graziosa aiuola, la torre appare adesso con tre lati chiusi e uno aperto verso piazza Indipendenza, da cui si possono osservare i quattro piani che si reggono sui ballatoi lignei.

Stemmi pisani e barbacane

Nel 1328, dopo la cacciata dei pisani e l’insediamento degli aragonesi, che nel frattempo avevano preso possesso della città fortificata, il lato aperto della torre venne tamponato, e ciò le fece perdere la funzione di vedetta per la quale era stata progettata. In quegli stessi anni subì parecchie modifiche, e, con l’apertura di sette finestre, venne convertita in parte in magazzino per lo stoccaggio di viveri e armamenti, e in parte in abitazioni per i funzionari del Regno, che risiedevano al secondo piano. Nel primo continuavano invece a svolgersi le operazioni di apertura e di chiusura delle saracinesche del sottopasso.

Tra il 1501 e il 1503, per difendersi dalle incursioni turche, Joan Dusay (viceré del Regno di Sardegna) potenziò le fortificazioni della città con la costruzione di un baluardo a nord della cinta muraria del Castello.
Per via delle sue caratteristiche costruttive, non si trattava però di un vero e proprio bastione, ma bensì di una fortificazione concepita in un periodo di transizione nel quale avrebbero dovuto coesistere strutture medievali e altre che oggi si potrebbero definire più moderne.

Il baluardo, al termine dei lavori, fu molto criticato dagli esperti costruttori militari del tempo, poiché le mura esterne erano dritte e non inclinate a scarpa come suggerivano le altre installazioni difensive dell’epoca. Inoltre, il nuovo fossato era facilmente superabile per la scarsa profondità, l’interno del bastione poco funzionale essendo ricavato dalla roccia, e non c’erano nemmeno le cannoniere, che furono introdotte solo più tardi.

I lavori, finanziati da una speciale tassa sul grano, videro il loro termine nel 1503, benché non risultassero soddisfacenti né per la dimensione dell’opera, né per la posizione che quest’ultima assumeva nei confronti della torre che doveva essere difesa da tale baluardo. Per questa ragione è ipotizzabile che lo stesso Dusay, o il suo successore De Rabolledo, abbiano poi provveduto all’ampliamento del corpo verso est.

Scalinata lignea della torre

Il baluardo del viceré Dusay, e le ulteriori cinte bastionate realizzate in corrispondenza dell’originario sistema di varchi, comportarono il lento declino della Porta di San Pancrazio (il cui piano di calpestio, a seguito delle sistemazioni ottocentesche dell’area, finì addirittura ad un livello di circa 5 metri sotto l’attuale piazza) a favore di un nuovo ingresso, che permetteva l’accesso alla città fortificata attraverso un passaggio incassato nel seicentesco Palazzo delle Siziate.
Sul finire del XVII secolo, per volere del viceré conte Don Luis De Moscos Ossorio de Altamira, venne realizzata anche una seconda porta (La Porta di Altamira, nei secoli, poi rinominata Porta S’Avanzada, o più comunemente di “San Pancrazio”) che consentiva invece di mettere in comunicazione il Castello con il sottostante borgo di Villanova.

Col tempo l’opera di trasformazione delle fortificazioni si dilatò e vide anche la creazione di un nuovo bastione a tenaglia, ad opera degli ingegneri Rocco Capellino e poi Giorgio Paleari Fratino, che occupò l’area più a nord del baluardo. La più antica opera del Dusay venne così circondata dal nuovo complesso che, ormai obsoleto, fu disarmato e riempito di terra e fascine, cadendo in disuso fino al dominio sabaudo.

Fu proprio negli anni di permanenza dei piemontesi a Cagliari che l’area di San Pancrazio subì ulteriori modifiche ancor più caratterizzanti. I sabaudi crearono opere architettoniche per rinforzare il Castello e gli altri quartieri limitrofi, costruirono nuovi bastioni e migliorarono le vie di comunicazione tra la piazzaforte e l’immediato intorno.

Durante il primo quarto dell’Ottocento, sulle vecchie mura perimetrali del Baluardo del Dusay sorse il nuovo ospedale per le carceri, che si presentava con due ampie stanze, una per gli uomini e l’altra per le donne, e che si affacciava su quello che oggi è il belvedere per mezzo di alte finestre a doppia inferriata.

Ballatoio interno della torre

Anche la Torre di San Pancrazio, ormai persa da tempo la sua funzione di ingresso nord della città, continuò ad essere tristemente famosa come luogo di prigionia dura, di agonia e di morte. Da lì, per anni, risuonò il lugubre rintocco de sa campana mala che accompagnava al patibolo i condannati.

Le necessità portarono l’area carceraria ad espandersi ancora fino alla costruzione di altri stabili addossati al mastio, all’interno del cortile e lungo il suo antemurale.
Le carceri si distribuivano anche all’esterno della torre e negli edifici limitrofi, quindi nel carcere femminile di piazza Indipendenza (poi diventato Regio Museo Archeologico), nel carcere minorile di piazza Arsenale (demolito nel 1905), e nel Palazzo delle Siziate, un freddo e lugubre edificio dove i viceré spagnoli e i giudici della Reale Udienza erano soliti organizzare delle sedute che avevano luogo nella stanza dei “tormenti” (o dei “lamenti”).

Il locale non era altro che una piccola cella sotterranea posta al di sotto del torrione carcerario, e le sedute servivano ad ascoltare le suppliche e le richieste di grazia dei detenuti rinchiusi all’interno della torre. Nonostante le “sedute” d’ascolto da parte dei viceré, per i poveri condannati a morte c’erano però poche speranze di farla franca al patibolo, poiché la grazia veniva concessa davvero molto raramente.
Fra i tanti ministri che, si dice, abusarono delle condanne a morte, il più famoso, e ancora oggi ricordato come il più spietato di tutti, fu il conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino, Ministro del Regno per gli affari di Sardegna dal 1759 al 1773. Di lui si diceva che quando percorreva il tragitto della “porta ergastolo” nel sottosuolo dell’attuale Bastione di Saint Remy, non era raro vederlo sorridere soddisfatto nel sentire le urla e i lamenti dei prigionieri.

Feritoia della torre

A nord del nuovo ospedale dei carcerati, proprio dove a metà del 1500 fu costruito il Bastione della Tenaglia, si trovava invece la sede dell’Arsenale militare.

Questa parte della città diventò il fulcro delle attività militari dalla fine del 1500 all’Unità d’Italia, quando si dismise la Piazzaforte e iniziarono anche a Cagliari, come in altre città d’Italia, le demolizioni di mura e bastioni, ritenute spesso un ostacolo all’espansione e alla modernizzazione edilizia.

All’epoca, la strada de S’Avanzada appariva arida in estate e melmosa durante l’inverno, mentre l’attuale piazza Arsenale era in parte occupata dal fossato, che cingeva le prime difese della torre, e da passaggi coperti. C’era dunque un fosso e c’era tanto di ponte levatoio, la cui ubicazione un occhio attento può ancora ritrovarla ricercando le basi di appoggio del ponte stesso che si concludeva sotto la torre.

Le ex strutture carcerarie di San Pancrazio e delle Siziate vennero definitivamente sgomberate solo con la nascita del carcere giudiziario di Buoncammino, tra il 1887 e il 1897, e passarono, con progressive cessioni documentate a partire dal 24 maggio 1896, dall’Amministrazione Carceraria al Ministero della Pubblica Istruzione.

I numerosi restauri di liberazione e i ripristini filologici furono condotti dall’ingegner Dionigi Scano, insieme all’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sardegna, a partire dal 1902. In modo particolare, queste prassi sono rappresentate negli interventi sulla Torre di San Pancrazio e le sue pertinenze militari, con ampie demolizioni di fasi costruttive presenti sia all’interno che all’esterno del suo antemurale.

Il restauro della torre mirava al recupero del primitivo aspetto. Venne quindi eliminato il muro di tamponamento aragonese rivolto verso piazza Indipendenza e ripristinati i ballatoi in legno situati sui quattro piani del torrione. L’interno originale, del 1305, si presentava infatti tutto in legno in modo da poter essere distrutto con il fuoco in caso di occupazione della torre da parte di un assalitore.

Vista dal ballatoio della torre

Dionigi Scano, nell’ultimo quinquennio dell’Ottocento, riscostruì anche la torretta sommitale rimossa qualche anno prima per consentire l’installazione di strumentazioni militari.

All’interno della struttura, che si presenta circondata dalla muraglia del barbacane, sono tuttora distinguibili le sottilissime feritoie nei tre lati chiusi che si affacciano a varie altezze, tracce dei numerosi sbarramenti della sottostante porta, e infine, sulla sommità, il coronamento di mensole da cui si potevano bombardare eventuali attacchi.

Dallo stesso periodo, e fino agli anni Ottanta del Novecento, i locali dell’ex ospedale carcerario vennero invece considerati nei vari progetti di musealizzazione dell’area, prima da Raffaello Delogu (1909-1971), che ne aveva previsto l’inserimento della Pinacoteca e dell’Esposizione d’Arte Popolare, poi dagli architetti Gazzola e Cecchini, che prima pensarono di dedicarlo a magazzino e laboratorio di restauro delle opere della nuova cittadella museale, e poi ad auditorium per sale conferenze e concerti. Il completamento di questi propositi non fu però mai portato a termine e l’ex carcere continuò a funzionare come magazzino delle opere fino al 1986, quando finalmente cominciarono i restauri che hanno permesso l’effettivo utilizzo di quello che oggi viene chiamato Spazio San Pancrazio.

Vista dalla Torre di San Pancrazio

I lavori nell’ex carcere consentirono di recuperare l’intera volumetria contenuta all’interno del baluardo del Dusay, liberata dal riempimento in terra aggiunto in epoca spagnola, e di riportare alla luce il completo avancorpo fortificato, con stratificazioni che vanno dal periodo pisano a quello piemontese. Il “rovescio” della cortina difensiva medioevale così emerso, ridefinì anche il nuovo volume architettonico che arrivò a coprire una superficie di ben 780 mq.

L’accesso alle ex-carceri di San Pancrazio, sino agli inizi del 1986, era possibile solamente dal portale del Palazzo delle Siziate, in piazza Indipendenza, e fu proprio in questo momento che, per facilitare l’asportazione della terra durante i lavori di scavo, venne recuperato anche l’accesso originario attraverso la riapertura della porta catalano-aragonese. Nel punto dove esisteva il suo arco (andato perduto dopo la riapertura) si trova ancora un elegante fregio a forma di croce inquadrata con tre stemmi, rappresentanti da sinistra, il castello turrito, simbolo di Cagliari, in alto un leone rampante simbolo della Spagna, e a destra tre pesci, las tres salmonetas, simbolo della famiglia Dusay.  Oggi l’ingresso si affaccia sul cortile interno della Cittadella dei Musei, a una quota di circa 4 metri, motivo per il quale è stata progettata un’apposita scala e un ascensore.

Dopo la rimozione della terra, che riempiva il primo livello dell’edificio, si è potuta riportare alla luce anche l’originaria soluzione costruttiva, che si ritrovò perfettamente conservata all’interno dello spazio al momento dello scavo, e che consisteva in una struttura composta da setti paralleli che, collegati da volte, correvano lungo il perimetro del baluardo.

Prospetti del Palazzo delle Siziate e della Torre di San Pancrazio rivolti verso piazza Indipendenza

Le ristrutturazioni hanno permesso di contemperare il recupero del manufatto, nelle sue valenze più pregnanti, con le esigenze espositive in generale. Si è ottenuto, in questa maniera, un’unitarietà spaziale che mette insieme sia le fasi storiche della crescita architettonica dell’antemurale, sia le fasi di riuso in epoche più recenti, quando venne ormai a mancare la mera funzione militare. Per permetterne la fruizione si decise di creare una struttura totalmente autoportante, montata all’interno del nuovo spazio, costituita da elementi di sostegno in acciaio, con pilastri, travi portanti, e un’orditura secondaria costituita da puntoni di sezione ridotta, su cui vennero montati degli arcarecci, anch’essi in acciaio, con funzione reggente del solaio in legno.

La nuova struttura divide lo Spazio in due parti: la prima, situata nella zona est dell’edificio, ha una superficie di circa 160 mq, ed è composta da tre livelli che si sviluppano in verticale per un totale di circa 480 mq di spazi espositivi. La parte ovest dell’edificio, che ha mantenuto la copertura ottocentesca a volta, è invece composta da due livelli, per uno sviluppo complessivo di 300 mq.