Il Complesso di San Pancrazio

Il Complesso di San Pancrazio: affaccio delle carceri verso piazza Arsenale

La Torre di San Pancrazio, che oggi domina solenne i baluardi della Cittadella dei Musei, ritrae uno dei simboli più rappresentativi di Cagliari, ma nei secoli scorsi la destinazione originaria fu di carattere militare, e il torrione, per mezzo di uno dei quattro lati aperti, ne rappresentava il vertice e il punto da cui si dominava tutto.

Costruita nel punto più alto della collina, ad oltre 130 metri sul livello del mare, aveva scopi difensivi e veniva utilizzata per intercettare gli attacchi provenienti sia dal mare che da terra. Dalla sua sommità era infatti possibile controllare la città e tutto il territorio circostante.

Interno delle antiche carceri, oggi ribattezzate Spazio San Pancrazio

La torre, che prende il nome dall’omonima chiesetta che sorgeva nelle vicinanze, e che nel XII secolo fu intitolata ai Santi Lorenzo e Pancrazio, venne progettata nel 1305 dall’architetto cagliaritano Giovanni Capula, che la fece realizzare in bianchi conci di calcare estratto dal colle di Bonaria.

Oggi, quasi incorporata negli edifici più moderni, fra rocce affioranti e una graziosa aiuola, si presenta con una forma a L, con tre lati chiusi e uno aperto verso piazza Indipendenza da cui si possono osservare i quattro piani che si reggono su ballatoi lignei. I parametri murari marcano tre leggeri scarti di sistemazione verso l’alto e terminano con mensole che sostenevano piombatoi di legno.

A varie altezze si aprono piccole feritoie e sono presenti i gruppi di tre stemmi pisani.

La sua porta era invece protetta da tre portali e due saracinesche di cui oggi rimangono solamente i solchi di scorrimento. Un barbacane completava infine il sistema difensivo della torre, all’epoca cinta da un fossato.

Interno delle antiche carceri

Nel 1328, dopo la cacciata dei pisani e l’insediamento degli aragonesi, che nel frattempo avevano preso possesso della città, il lato aperto della torre venne tamponato, e ciò le fece perdere la funzione di vedetta per la quale era stata costruita. In quegli stessi anni subì anche delle altre modifiche e, con l’apertura di sette finestre, venne convertita in parte in magazzino e in parte in abitazioni per i funzionari del Regno.

Alla fine del Quattrocento, per difendersi dalle incursioni turche, Juan Dusay (viceré del Regno di Sardegna) potenziò le fortificazioni della città con la costruzione di un baluardo a nord della cinta muraria del Castello; l’opera era destinata a proteggere la torre pisana di San Pancrazio, peraltro non ancora portata a totale compimento.

Tuttavia, per le sue caratteristiche costruttive, non si trattava di un vero e proprio bastione, ma di una fortificazione concepita nel periodo di transizione nel quale avrebbero dovuto coesistere strutture medievali e altre che oggi si potrebbero definire più moderne.

Il baluardo, al termine dei lavori, fu molto criticato dagli esperti costruttori militari del tempo poiché le mura esterne erano dritte e non inclinate a scarpa come suggerivano le altre fortificazioni dell’epoca. Inoltre il fossato era facilmente superabile per la scarsa profondità, l’interno del bastione poco funzionale essendo ricavato dalla roccia,  e non c’erano nemmeno le cannoniere, che furono introdotte solo più tardi.

Stemmi pisani e barbacane

I lavori, finanziati da una speciale tassa sul grano, videro il loro termine nel 1503, benché non risultassero soddisfacenti né per la dimensione dell’opera, né per la posizione che quest’ultima assumeva nei confronti della torre che doveva essere difesa da tale baluardo. Per questa ragione è ipotizzabile che lo stesso Dusay, o il suo successore De Rabolledo (1508-1514), abbiano poi provveduto all’ampliamento del corpo verso est.

Col tempo l’opera di trasformazione delle fortificazioni si dilatò e vide anche la creazione di un nuovo bastione a tenaglia, ad opera degli ingegneri Rocco Capellino e poi Giorgio Palearo Fratino, che occupò l’area più a nord del baluardo. La più antica opera del Dusay venne così circondata dal nuovo complesso che, ormai obsoleto, venne disarmato e riempito di terra e fascine, cadendo in disuso fino al dominio sabaudo.

Fu proprio negli anni di permanenza dei piemontesi a Cagliari che l’area di San Pancrazio subì nuove modifiche ancor più caratterizzanti. I sabaudi crearono opere architettoniche per rinforzare il Castello e gli altri quartieri limitrofi, costruirono nuovi bastioni e migliorarono le vie di comunicazione tra la piazzaforte e l’immediato intorno.

In questo periodo (siamo ormai nel 1824), sulle vecchie mura perimetrali del baluardo del Dusay sorse il nuovo ospedale per le carceri, che si presentava con due ampie stanze, una per gli uomini e l’altra per le donne, e si affacciava su quello che oggi è il belvedere per mezzo di alte finestre a doppia inferriata.

A partire dal XVI secolo anche la Torre di San Pancrazio aveva ormai perso la sua funzione di ingresso nord della città, diventando tristemente famosa come luogo di prigionia dura, di agonia e di morte. Da lì, per anni, risuonò il lugubre rintocco de sa campana mala che accompagnava al patibolo i condannati.

Scalinata lignea della torre

Col tempo e la necessità, l’area carceraria si espanse ancora fino alla costruzione di numerosi edifici addossati al mastio, all’interno del cortile e lungo il suo antemurale.
Le carceri si distribuivano anche all’esterno della torre e negli edifici limitrofi, quindi nel carcere femminile di piazza Indipendenza (poi diventato Museo Archeologico), nel carcere minorile di piazza Arsenale (demolito nel 1905), e nel palazzo delle Siziate, un altro edificio dove i viceré spagnoli e i giudici della Reale Udienza erano soliti organizzare delle sedute che avevano luogo nella stanza dei “tormenti” (o dei “lamenti”).
Questo locale non era altro che una piccola cella sotterranea posta al di sotto del torrione carcerario, e le sedute servivano ad ascoltare le suppliche e le richieste di grazia dei detenuti rinchiusi all’interno della torre. Nonostante le “sedute” d’ascolto da parte dei viceré, per i poveri condannati a morte c’erano però poche speranze di farla franca al patibolo, poiché la grazia veniva concessa molto raramente.
Fra i tanti ministri che, si dice, abusarono delle condanne a morte, il più famoso, e ancora oggi ricordato come il più spietato di tutti, era il Conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino, Ministro del Regno per gli affari di Sardegna dal 1759 al 1773. Di lui si diceva che quando percorreva il tragitto della “porta ergastolo” nel sottosuolo dell’attuale Bastione di Saint Remy, non era raro vederlo sorridere soddisfatto nel sentire le urla e i lamenti dei prigionieri.

A nord del nuovo ospedale dei carcerati, proprio dove a metà del 1500 fu costruito il bastione della tenaglia, si trovava invece la sede dell’arsenale militare.

Questa parte della città diventò quindi il fulcro delle attività militari dalla fine del 1500 all’Unità d’Italia, quando si dismise la Piazzaforte militare e iniziarono anche a Cagliari, come in altre città d’Italia, le demolizioni di mura e bastioni, ritenute spesso un ostacolo all’espansione e alla modernizzazione delle città.

All’epoca, la strada de S’Avanzada appariva invece arida in estate e melmosa durante l’inverno, mentre l’attuale piazza Arsenale era in parte occupata dal fossato, che cingeva le prime difese della torre, e da passaggi coperti. C’era dunque un fosso e c’era tanto di ponte levatoio, la cui ubicazione un occhio attento può ancora ritrovarla ricercando le basi di appoggio del ponte stesso che si concludeva sotto la torre.

Ballatoio interno della torre

Le ex strutture carcerarie di San Pancrazio e delle Siziate vennero definitivamente liberate solo con la nascita del carcere giudiziario di Buoncammino, tra il 1887 e il 1897, e passarono con progressive cessioni, documentate a partire dal 24 maggio 1896, dall’Amministrazione Carceraria al Ministero della Pubblica Istruzione.

I numerosi restauri di liberazione e i ripristini filologici furono condotti dall’ingegner Dionigi Scano, insieme all’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sardegna, a partire dal 1902. In modo particolare, queste prassi sono rappresentate negli interventi sulla Torre di San Pancrazio e le sue pertinenze militari, con ampie demolizioni di fasi costruttive presenti sia all’interno che all’esterno del suo antemurale.

Feritoia della torre

Il restauro della torre mirava al recupero del primitivo aspetto; venne quindi eliminato il muro di tamponamento aragonese rivolto verso piazza Indipendenza e ripristinati i ballatoi in legno situati sui quattro piani del torrione. L’interno originale, del 1305, si presentava infatti tutto in legno in modo da poter essere distrutto con il fuoco in caso di occupazione della torre da parte di un assalitore.

All’interno della struttura, che si eleva a oltre 36 metri di altezza, e che si presenta circondata dalla muraglia del barbacane, sono tuttora distinguibili delle sottilissime feritoie nei tre lati chiusi che si affacciano a varie altezze, tracce dei numerosi sbarramenti della sottostante porta (che comprendeva due saracinesche e tre portali) e infine, sulla sommità, il coronamento di mensole da cui si potevano bombardare eventuali attacchi.

Nel lato nord della torre sono murati i sistemi pisani, mentre nell’arcata della porta, dal lato opposto, è possibile osservare un’iscrizione latina che ricorda i castellani pisani di Cagliari all’epoca della sua costruzione.

Dallo stesso periodo, e fino agli anni Ottanta del Novecento, i locali dell’ex ospedale carcerario vennero invece considerati nei vari progetti di musealizzazione dell’area, prima da Raffaello Delogu (1909-1971), che ne aveva previsto l’inserimento della Pinacoteca e dell’Esposizione d’Arte Popolare, poi dagli architetti Gazzola e Cecchini, che prima pensarono di dedicarlo a magazzino e laboratorio di restauro delle opere della nuova cittadella museale, e poi ad Auditorium per sale conferenze e concerti.

Il completamento di questi propositi non fu però mai portato a termine e l’ex carcere continuò a funzionare come magazzino delle opere fino al 1986, quando finalmente cominciarono i restauri che hanno permesso l’effettivo utilizzo di quello che oggi viene chiamato Spazio San Pancrazio.

Vista dal ballatoio della torre

I lavori consentirono di recuperare l’intera volumetria contenuta all’interno del baluardo del Dusay, liberata dal riempimento in terra aggiunto in epoca spagnola, e riportarono alla luce l’intero avancorpo fortificato, con stratificazioni che vanno dal periodo pisano a quello piemontese. Il “rovescio” della cortina difensiva medioevale così emerso, ridefinì anche il nuovo volume architettonico che arrivò a coprire una superficie di ben 780 mq.

L’accesso alle ex-carceri di San Pancrazio, sino agli inizi del 1986, era possibile solamente dal portale del palazzo delle Siziate, in piazza Indipendenza, e fu proprio in questo momento che, per facilitare l’asportazione della terra durante i lavori di scavo, venne recuperato anche l’accesso originario attraverso la riapertura della porta catalano-aragonese. Sopra il suo arco (oggi andato perduto dopo la sua riapertura) si trova ancora un elegante fregio a forma di croce inquadrata con tre stemmi rappresentanti da sinistra, il castello turrito, simbolo di Cagliari, in alto un leone rampante simbolo della Spagna (oggi mancante) e a destra tre pesci, las tres salmonetas, simbolo della famiglia Dusay.  Oggi l’ingresso si affaccia sul cortile interno della Cittadella dei Musei, a una quota di circa 4 metri, motivo per il quale è stata progettata un’apposita scala ed un ascensore.

Vista dalla Torre di San Pancrazio

Dopo la rimozione della terra, che riempiva il primo livello dell’edificio, si è potuta riportare alla luce anche l’originaria soluzione costruttiva, che si ritrovò perfettamente conservata all’interno dello spazio al momento dello scavo, e che consisteva in una struttura composta da setti paralleli che, collegati da volte, correvano lungo il perimetro del baluardo. Gli interventi di restauro hanno tuttavia nascosto questa struttura cinquecentesca, attraverso integrazioni con archi a filo dei setti murari, in parte differenti dalla conformazione architettonica originaria. Anno dopo anno, vennero comunque perfezionati sia l’interno che l’esterno dell’edificio storico, con lo scopo di destinare la sua funzione ad uso museale.

Tali ristrutturazioni hanno permesso di contemperare il recupero del manufatto, nelle sue valenze più pregnanti, con le esigenze espositive in generale. Si è ottenuto, in questa maniera, un’unitarietà spaziale che mette insieme sia le fasi storiche della crescita architettonica dell’antemurale, sia le fasi di riuso in epoche più recenti quando venne ormai a mancare la mera funzione militare. Per permetterne la fruizione si decise di creare una struttura totalmente autoportante, montata all’interno del nuovo spazio. Questa è costituita da elementi portanti in acciaio, con pilastri, travi portanti e un’orditura secondaria costituita da travi di sezione ridotta, su cui vennero montati degli arcarecci, anch’essi in acciaio, con funzione reggente del solaio in legno.

Prospetti del Palazzo delle Siziate e della Torre di San Pancrazio rivolti verso piazza Indipendenza

La nuova struttura divide lo Spazio in due parti: la prima situata nella zona est dell’edificio ha una superficie di circa 160 mq ed è composta da tre livelli che si sviluppano in verticale per un totale di circa 480 mq di spazi espositivi. La parte ovest dell’edificio ha invece mantenuto la copertura ottocentesca a volta ed è composta da due livelli per uno sviluppo complessivo di 300 mq.

Oggi si accede al quartiere Castello oltrepassando il portico del Palazzo delle Siziate, ma fino al ‘600 l’ingresso avveniva direttamente attraverso la porta della Torre di San Pancrazio, dove tuttora, passando da S’avanzada, è ancora possibile osservare i denti su cui poggiava il ponte levatoio. La strada de S’Avanzada che vediamo adesso è infatti il frutto della sistemazione del nuovo ingresso alla città fortificata voluto dai Savoia.