La chiesa della Purissima Concezione di Maria

Arco di ingresso, via La Marmora

Nel cuore della città medievale, all’interno del perimetro dell’antico borgo di Castello, sorge, inaspettata, una chiesetta che, al meravigliato visitatore, si apre silenziosa e delicata, e dove non è difficile incontrare almeno una consorella delle Ancelle della Sacra Famiglia in meditazione.

Una cronaca francescana manocritta, redatta durante la seconda metà del Settecento, ricorda come il monastero del Terz’Ordine regolare, sotto il titolo di Elisabetta, fosse stato riformato in un convento di clarisse della Regola di Santa Chiara. Il miracoloso rinvenimento del simulacro dell’Immacolata Concezione, avvenuto attorno al 1573 proprio nella più antica abbazia, avrebbe dunque inaspettatamente mutato il destino successivo del monastero di Santa Elisabetta in quello della Purissima Concezione di Maria, scelta come nuova patrona.

L’attuale tempio, ora di proprietà del Fondo Edifici di Culto del Ministero degli Interni, venne edificato nel XVI secolo inglobando il già esistente e contiguo convento, il quale, anticamente, ebbe un ruolo di grande importanza nella vita religiosa e civile del quartiere, rocca fortificata e centro fisico, sociale e politico della città di Cagliari.

I promotori del cenobio furono ancora una volta alcuni personaggi dell’alto rango, che con questa iniziativa intendevano venire incontro all’esigenza, sentita nei ceti sociali più elevati, di un luogo che accogliesse le giovani donne, che, soprattutto per motivi di strategie familiari, non erano destinate al matrimonio.

L’ubicazione all’interno delle mura del borgo, sede degli apparati del potere politico ed ecclesiastico, connotava quindi il convento come una precisa espressione del ceto dirigente cittadino. Si deve però in particolare alla devozione di Gerolama Rams Dessena, appartenente verosimilmente a una famiglia cagliaritana di origine iberica, la riorganizzazione del monastero della Concezione di Maria, la cui volontà era quella di mettere fine alla diffamazione che colpì le cinque religiose ospitate al suo interno, poiché, ancora appartenenti all’Ordine delle terziarie, non erano soggette alla legge della clausura. Durante le opere di carità e di misericordia erano solite fare visita nelle case degli ammalati, e per questo motivo, non mancavano quelli che, eccitati da tetra bile, calunniavano le innocenti religiose, interpretando malamente il loro operato.

Sullo sfondo, il presbiterio e l’altare barocco in legno dorato

La chiesa, che oggi risulta inglobata per tre lati nelle strutture dell’antico convento, edificato a sua volta in un grande spiazzo delimitato dalle fortificazioni medievali e cinquecentesche del lato occidentale del Castellum Castri (il cosiddetto Bastione della Concezione), venne costruita a partire dal 1540 sopra un’aula di culto preesistente, forse la chiesa romanico pisana dedicata a Santa Elisabetta, principessa d’Ungheria vissuta nei primi decenni del ‘200. La sua fondazione fu invece finanziata dal lascito di monsignor Pastorelli, dalle offerte dei fedeli, dalle rendite dotali delle monache nobildonne, e soprattutto dalla famiglia di Giovanni Gerolamo Brondo che, nel 1587, investì ingenti risorse personali per portare a compimento un programma architettonico in più fasi, che terminerà con la realizzazione di un maestoso presbiterio che fungerà da scenografico mausoleo per l’intraprendente cavaliere e i suoi familiari.
Il grande impegno economico che permise di rifinire sfarzosamente la chiesa, denotava senza ombra di dubbio anche l’estrazione sociale delle monache, che risultavano in gran parte appartenenti alla cerchia familiare dei nuovi ceti dirigenti sardo-catalani, consolidatisi tra fine del Quattrocento e primi decenni del XVI secolo.

Nel 1855, con la prima soppressione degli ordini religiosi, l’effetto dirompente delle leggi eversive si abbatté anche sul monastero e sulla chiesa della Purissima Concezione, e oltre ad avviare irreversibili trasformazioni architettoniche, determinò la dispersone di splendide opere d’arte e di corredi sacri. In una seconda fase saranno poi gli sventramenti urbanistici a completare il deterioramento della residenza ecclesiastica, alterandone la sua immagine originaria.
La riconversione monastica non permette più di apprezzarne la storia, intricata e affascinante, e il completo patrimonio artistico, ma consente, quanto meno, di scongiurare l’obblio su questa straordinaria architettura.

Il complesso religioso oggi risulta quasi impercettibile dalla strada, poiché, trattandosi di un prospetto modesto che passa quasi inosservato, nulla fa pensare che al suo interno si celi invece un luogo di culto così bello e solenne.
La partitura lineare della facciata esterna è infatti interrotta solo da un’apertura di forma circolare che sormonta l’arco di ingresso, e a caratterizzarla ci sono appena due oculi in corrispondenza delle cappelle laterali, e una piccola finestra rettangolare che illumina la sacrestia.

Per giungere alla chiesa si deve superare un modesto cancello in ferro battuto che si apre su un piccolo atrio voltato a botte. Il vestibolo conduce all’originale portale d’ingresso, risalente al XVIII secolo, che si presenta architravato e con lunetta ogivale sulla quale insiste un arco a sesto acuto poggiante su capitelli traforati, il tutto sormontato dallo stemma nobiliare della famiglia Brondo, che ne deteneva il patronato.

Ma bastano pochi gradini e l’interno della chiesa si svela d’improvviso bello, lucente e silenzioso, e si distingue per l’eleganza formale con la quale i costruttori seguirono i precetti dell’architettura gotico-catalana.

L’alta bifora e la tribuna murata

La struttura, edificata in pietra cantone, disegna una navata unica, divisa da un arco a sesto acuto in due campate voltate a crociera, realizzate in pietra a vista con gemma pendula al centro.

Raccordato mediante un altro arco, il presbiterio, a pianta quadrata e di dimensioni ridotte rispetto all’aula, è invece situato al di sopra di un’antica cripta, ed è coperto da una bella volta stellare, con peducci istoriati, nervature e gemme pendule, che rappresentano probabilmente i padri della Chiesa. Il presbiterio accoglie un sontuoso altare barocco in legno dorato, al di sopra del quale è posizionato un dipinto della Purissima.

Anche le sei cappelle presentano un’analoga copertura a volta stellare e, realizzate a pianta rettangolare, sono inquadrate da archi gotici.

La chiesa è illuminata da alte bifore che si aprono sulle pareti laterali della navata, e da finestre ad oculo nelle cappelle laterali. Sempre sulle pareti laterali si possono scorgere anche le due antiche tribune del monastero, oggi però murate.

Lapide funeraria del XVIII secolo appartenente a Lucrezia Wirtz

Il tempio custodisce ancora l’altare originale di forme classiche d’influsso rinascimentale, ma possiede anche un importante corredo di statue e arredi sacri: un maestoso Crocifisso ligneo del XVI secolo, di scuola napoletana, a grandezza naturale; la “Pala di San Gerolamo” attribuita alla Scuola di Stampace; il trittico “Tre Santi Annunciazione e Pietà tra i santi Pietro e Paolo”, datato 1593; quindi il pulpito in marmi policromi, un lavabo risalente al Seicento, le statue della Purissima, di San Francesco e di Santa Chiara, e numerose altre opere risalenti al XVIII secolo.

Le volte in origine dovevano essere completamente decorate, similmente alle arcate delle chiese catalane che furono modello per quelle del XVI secolo in Sardegna e in particolare a Cagliari, all’epoca controllata dagli aragonesi e influenzata da Barcellona attraverso la numerosa popolazione ispanica residente, mentre i pavimenti originali settecenteschi resistettero per una buona parte fino gli anni Sessanta del secolo scorso, quando vennero rimossi completamente.

Dopo tre secoli di vita, il monastero iniziò a vivere momenti di decadenza economica, e la congregazione religiosa fu soppressa dalle leggi anti ecclesiastiche nel frattempo emanate dai primi governi subito dopo l’Unità d’Italia.

Il monastero divenne casa e ricettacolo di altri due conventi soppressi, quelli di Santa Chiara e di Santa Lucia, risuonando di canti, preghiere e di voci femminili fino a quando, nel 1867, venne acquisito dallo stato e trasformato nella sede della Scuola Normale Femminile, divenuta poi Magistrale.

La chiesa parve invece uscire dall’oblio nel 1904, quando fu restaura e riaperta al culto (grazie ad una considerevole somma raccolta da un comitato costituito dalla nobildonna Giuseppina De Magistris di Castella) in occasione del cinquantenario del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. 
Dopo quella luminosa parentesi però, sulla Purissima si stese nuovamente il velo dell’oblio che durerà fino al 1933, ossia quando l’arcivescovo Ernesto Maria Piovella l’assegnò, con alcune cellette dell’ex monastero non usate dalla Magistrale, ad una congregazione da lui costituita che aveva il compito di occuparsi dei bambini del Castello: “Le Ancelle della Sacra Famiglia”. La nuova congregazione crebbe rapidamente, tanto da poter contare anche su quaranta novizie.

In questo periodo, i locali del mini-convento ospitarono l’associazione delle Madri Cristiane, una scuola di cucito e ricamo riservata alle ragazze del quartiere, ed un asilo infantile. Il degrado però era purtroppo una costante, e procedette per tutto il XX secolo, durante il quale si alternarono comunque diversi interventi di riattamento, ma sempre parziali e mai risolutivi, che costrinsero anche le suore al trasferimento in un altro fabbricato.

Nel 1989, gli scavi restituirono alcuni elementi riconducibili alle strutture preesistenti della chiesa della Purissima, in particolar modo una cripta utilizzata come area cimiteriale ascrivibile ad un periodo compreso tra il XIV e il XVI secolo, e alcuni frammenti di maiolica arcaica pisana.

Nel 2009 poi, dopo essere stata dichiarata bene culturale, storico e artistico, si riuscì a condurre una campagna di restauro complessiva con finanziamenti pubblici, finché nel maggio del 2012, la chiesa riprese finalmente le sue funzioni ritornando ad essere parte attiva nella vita della comunità, dei fedeli e anche dei turisti, e oggi, timida e riservata, è un piccolo capolavoro d’arte e uno scrigno ricco di storia.