La chiesa di Santa Lucia di Castello

Prospetto esterno della chiesa di Santa Lucia (ph. Novembre 2021)

Priva di una vera facciata, la chiesa di Santa Lucia si confonde con le costruzioni adiacenti e, parte integrante del contiguo Asilo Umberto e Margherita, oggi ne costituisce quasi una sorta di oratorio privato poiché mai aperta al pubblico e né tanto meno alla preghiera dei passanti.

Sotto il profilo architettonico, la ricostruzione tardo-cinquecentesca della chiesa, sorta nell’area di un ospizio intitolato alla Santissima Trinità e di un più antico tempietto, riflette il prestigio di una committenza colta e dotata di mezzi economici, nonostante non sia certo se la fabbrica coincida con l’inaugurazione del primitivo convento.

L’originario impianto sorge come aula isolata senza cappelle laterali, e sarà solo la possibilità di acquistare prestigiosi spazi di sepoltura, o di riunione, che calamiterà l’attenzione della cittadinanza abbiente, delle corporazioni di mestiere e delle associazioni devozionali, a promuovere i nuovi ambienti liturgici e l’acquisto dei sontuosi corredi decorativi che in parte ancora la caratterizzano.

Le edicole laterali sopravvissute oggi testimoniano la disorganicità delle annessioni da un progetto architettonico prestabilito, e gli unici ambienti volumetricamente definiti si aprono solo lungo il fianco destro della chiesa, dove incombe un profondo padiglione solcato da lunette. Sullo spazio adiacente insiste l’insolita sequenza di una crociera semplice affiancata da un mezzo modulo, mentre la successione dei comparti è conclusa dalla sacrestia, incastonata nei resti murari di una torre difensiva medievale.

Soffermandosi lungo il fianco sinistro della navata, si scorge invece una catena di varchi, in parte obliterati, senza apparente valenza architettonica.

Navata centrale della chiesa

Con la dismissione della residenza francescana, il Regno d’Italia incamera l’intero complesso tra i beni demaniali, programmandone l’alienazione per lotti separati.

Officiata dal Sacro Ordine Militare dei Santi Maurizio e Lazzaro, la chiesa, esula dalle trattative, continuerà a conservare la sua funzione culturale, ma la delicata operazione di vendita delle altre unità edilizie farà comunque sì che vengano realizzate delle planimetrie che raffigurano anche il piccolo santuario.

I varchi di comunicazione della chiesa con l’ex convento e le cappelle sul fianco sinistro sono purtroppo già chiuse, onde consentire la separazione fisica tra il monumento e le pertinenze destinate all’incanto, ma a margine del disegno, sono riportate le destinazioni degli originari ambienti laterali.

Racchiuso tra l’aula liturgica e il campanile, la pianta riesce a raccontarci che l’angusto spazio sotto il coro è il residuo del confessionale. Al lato del presbiterio, con volta stellare a cinque chiavi, da ascrive al 1560 circa, si apre invece una lunga galleria protetta da una grata fissa, e secondo il progettista, il corridoio è riservato alle monache. Enigmatico e sorprendente, il percorso attraversa buona parte del convento, collegando la chiesa alla grande sala voltata disposta nel versante settentrionale. Come dimostrano le cannoniere, ancora adesso visibili, la corsia è quindi il residuo di un camminamento militare cinquecentesco, dismesso per ragioni ignote, ma ancora tangente alle due torri difensive, una delle quali adiacente la sacrestia, alla quale viene unita nel tardo Seicento (la seconda, più interna, è invece inglobata nei corpi della casa francescana).
L’ampiezza contenuta della galleria, in ogni caso, poco si adatta però ad un’assemblea numerosa. Lastricata con maioliche sette-ottocentesche, è probabile venisse quindi utilizzata come intimo avvicinamento al sacramento eucaristico, dove il grande coro, sormontato dalla prima crociera, ospitava le religiose durante le funzioni sacre mascherandone la presenza.

Cappella dedicata a Lucia di Siracusa, conosciuta più comunemente come Santa Lucia

Il coro si dimostra essere un impianto architettonico di estremo interesse, evidente risultato di ripensamenti e sovrapposizioni decorative. Una coppia di modanature interrotte, addossate alle paraste centrali dell’aula, rivela però il primitivo disegno gotico e la dimensione originaria della tribuna, più ampia dell’attuale.

Un arco a sesto acuto goticamente modanato separa il presbiterio a pianta quadrangolare dallo spazio riservato ai fedeli, rispetto al quale è più stretto e leggermente sopraelevato.

La prima loggia scompare, forse, nella prima metà del ‘600, per far posto ad un nuovo coro, non meno sontuoso, sorretto da una vela con scuffie angolari. Impreziosita poi da lacunari floreali, la ghiera di comunicazione con l’aula, nonostante l’approssimativa qualità esecutiva, guardava verso un orizzonte estetico ricco di  fascinazioni plateresche.

Permane ancora, tuttavia, il mistero sull’obliterazione del fianco sinistro della navata.

Durante il Seicento le madri di Santa Lucia promuovono la costruzione di cappelle ai lati dell’aula liturgica.
Nel 1599, la badessa Beatrice de Cervellò e le consorelle avevano però già incontrato uno dei notai più affermati di Cagliari, Scipione Norfe, che sottoscrive l’acquisto di una semplice nicchia ricavata nel muro perimetrale della chiesa, e che di lì a poco, verrà poi trasformata in una santuario privato.
Il Norfe non sarà l’unico proprietario di cappelle in questo luogo sacro, poiché, nel 1601, il chirurgo Antonio Caviano lascerà in eredità una somma al convento per la celebrazione di messe all’interno della sua edicola. Dopo circa un trentennio, anche un secondo chirurgo, il navarrese Giovanni de Hidiart imiterà l’iniziativa del notaio cagliaritano, mentre nel 1645 sarà il celebre giurista Giovanni Dexart ad acquistare il diritto di sepoltura all’interno della chiesa.

Cappella Giovanni Dexart, successivamente dedicata a Santa Luisa di Marillac

Oggi l’incongruenza tra il numero delle cappelle indicato nei documenti settecenteschi e la dotazione attuale del tempio appare evidente, poiché ai nostri occhi l’interno ospita soltanto due spazi devozionali, lungo il fianco destro dell’aula liturgica, per cui è certa la trasformazione del lato opposto sopraggiunta nel corso dei secoli, sacrificando purtroppo alcuni tempietti.

Sono trascorsi poco meno di cinquecento anni dalla sua edificazione, ma l’ingresso principale della chiesa di Santa Lucia è ancora sovrastato da una cantoria, sorretta da una volta con arco ribassato. L’interno si sviluppa invece in un’unica navata con volte a crociera e due cappelle per lato; quelle di sinistra vennero inizialmente ricavate da ambienti sottratti all’ex convento, per poi essere tamponate, e infine, almeno la prima, riaperta durante gli anni Sessanta del Novecento per ricavare un passaggio di comunicazione tra l’asilo e la chiesa.

La seconda, attualmente dedicata a Nostra Signora della Guardia, è l’avanzo di un’edicola più antica, in origine coperta da una volta a crociera, purtroppo sacrificata prima dell’alienazione dell’antico convento adiacente, come la precedente.

Le cappelle del lato destro si differenziano tra loro poiché una appare con una volta a botte risalente al Seicento, mentre l’altra presenta una volta a crociera con chiari riferimenti cinquecenteschi.

Il primo tempietto si caratterizza per alcuni particolari: lo stemma sovrastante da riferirsi ad una famiglia nobiliare, forse quella di Giovanni Dexart, che sembra voler attestare proprio un diritto alla sepoltura presso la cappella, e la lapide funeraria collocata al centro del pavimento, che risale invece al 1691, e che si riferisce ad un vescovo oristanese.
La tomba gentilizia fu successivamente dedicata a Santa Luisa di Marillac dalla famiglia vincenziana, alla quale appartenevano le religiose che nel Novecento animavano l’Opera dell’Asilo Umberto e Margherita.

Particolari della cappella Dexart

La seconda edicola è uguale alla prima per dimensioni ma differente per stile. Il cornicione appare modanato lungo tutto il perimetro. La volta, a botte lunettata, ci rivela invece che si tratta di un’opera rinascimentale, perfettamente compiuta e rara, se non eccezionale per la sua epoca, da trovare in Sardegna.

All’interno della sagrestia uno sportello permetteva di attingere l’acqua da una cisterna posta nel sottosuolo. Il pozzo presenta una pianta ovale molto allungata ed una canna quadrangolare per attingere. La vasca è scavata nella roccia e la canna è realizzata in muratura. Tubi fittili ne consentivano infine l’adduzione dell’acqua dall’esterno.

Il fervore di carità che pervadeva l’ormai ex convento durante i primi anni del 1900 suscitò il progetto di riportare a nuovo l’antica chiesa di Santa Lucia, dedicandola però, come la cappella, a Luisa de Marillac, da poco beatificata.

Nessuno, tuttavia, dimenticò mai colei che per secoli aveva dato il titolo all’intero complesso francescano…

I racconti narrano di una giovane orfana di padre, appartenente ad una ricca famiglia di Siracusa, che era stata promessa in sposa ad un pagano. La madre di Lucia, Eutichia, da anni ammalata, aveva speso ingenti somme per curarsi, ma nulla le era giovato.
Fu allora che Lucia ed Eutichia, unendosi ad un pellegrinaggio di siracusani al sepolcro di Agata, pregarono la santa affinché intercedesse per la guarigione della donna. Durante la preghiera Lucia si assopì e vide in sogno Sant’Agata che le diceva: “Lucia, perché chiedi a me ciò che puoi ottenere tu per tua madre?”.

Pozzo custodito all’interno della sacrestia

Ritornate a Siracusa e constatata la guarigione di Eutichia, Lucia comunicò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo. Il pretendente, insospettito e preoccupato nel vedere la desiderata sposa cedere tutto il suo patrimonio per distribuirlo ai poveri, verificato il rifiuto di Lucia, la denunciò come cristiana. Erano in vigore i decreti di persecuzione dei cristiani emanati dall’imperatore Diocleziano, e, minacciata di essere esposta fra le prostitute, Lucia si discolpò dicendo: “il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”. Il proconsole, pieno di collera, ordinò allora che la donna fosse costretta a parlare con la forza, ma lei diventò talmente pesante che decine di uomini non riuscirono a spostarla. Il dialogo serrato tra lei e il magistrato vide ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia mettere in difficoltà l’arconte che, per piegarla all’abiura, le fece cavare gli occhi.

Lucia, cieca, non si piegò a nessun tormento fino a quando, inginocchiatasi, venne decapitata.

Oggi, l’emblema degli occhi sulla coppa, o sul piatto, è da ricollegarsi alla devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a motivo del suo nome Lucia (da Lux, luce).

…Lucia, la santa alla quale fu consacrata la chiesa il giorno della posa della sua prima pietra.