L’antico convento francescano di Santa Lucia

L’antico convento francescano di Santa Lucia

In un’epoca imprecisata, la casa promossa dai seguaci di San Francesco viene suddivisa in una moltitudine di sottogruppi monastici. La famiglia femminile, ispirata allo stile contemplativo di Santa Chiara, viene a sua volta frammentata, e nell’esigenza di allestire adeguate sedi di rappresentanza per ciascuna componente scissionista, nascono le trinitarie, che abbracciano la regola del Terz’Ordine, nelle cui fila appartengono anche le suore del convento cinquecentesco di Santa Lucia.

In questo frangente, l’élite cittadina non è più riservata alla sola aristocrazia terriera, e i nuovi gruppi economici iniziano a guadagnare posizioni di prestigio anche nella nobiltà di Toga e negli Uffici ecclesiastici, mettendo in atto un’operazione che si concretizza investendo capitali nell’architettura pia e nelle opere d’arte che abbelliscono le chiese.

Le famiglie abbienti incominciano a concedere ingenti risorse, donando anche laute doti monastiche per garantire l’accesso in convento alle novizie che, più o meno volontariamente, preferiscono non aderire alla vita secolare. In alcune congregazioni terziare la clausura non costituiva infatti un obbligo, e ciò assecondava l’insorgere di una vera e propria moda che determinava gli investimenti privati in ambito religioso.

Il fenomeno si riscontrava in svariate espressioni di propaganda personale, che andavano dalla fondazione di veri e propri conventi alle costruzioni di cappelle, dai diritti di sepoltura alle commissioni di attività artistiche, fino, appunto, alle doti monacali. E per gli esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, la diffusione incontrollata delle residenze terziarie, caratterizzate da regole incerte e varie, oscillanti fra il rigore dell’osservanza e l’interpretazione libera della vita comunitaria, è un efficace strumento per consolidare gli interessi e l’immagine dei casati, e non sorprende, quindi, se fra le mura di queste case religiose era annoverato anche un alto numero di badesse e monache d’alto rango.

In questo quadro sociale è da ricondurre anche la nascita del convento di Santa Lucia, che nel 1539 fu patrocinata da Anton de Cadorna y Folch, vicario governativo in Sardegna, e da sua moglie Maria de Requesens.

Madre Angela de Madrigal è invece la prima badessa, e raggiunge il nuovo insediamento francescano insieme a dodici consorelle provenienti dal monastero di Santa Maria de Jerusalem di Barcelona.

A suo tempo, l’iniziativa del viceré fu accolta con fervore anche dalle autorità cittadine e dall’arcivescovo di Cagliari Domenico Pastorello, che misero a disposizione delle monache alcuni edifici costituiti dall’antico ospizio di Santa Lucia e dall’annessa chiesetta con la stessa dedicazione, situati nel vicum Fabrorum (l’attuale via Pietro Martini).

Per tutta la durata della sua storia, il convento divenne quindi il punto di riferimento delle giovani dell’aristocrazia e del patriziato urbano che, spinte dalle famiglie o da autentica vocazione, si dedicavano alla vita monastica.

Dalla metà del XVII secolo, il complesso ecclesiastico inizia a dispiegarsi su due fronti stradali.
Il primo nucleo, quello più antico, fiancheggiava le fortificazioni orientali del Castello, intercettando due torri (una in realtà individuata in una parete della chiesa) e un camminamento difensivo, mentre il secondo, più grande e recente, occupava una parte dell’isolato racchiuso tra la via e il vico Pietro Martini e la scomparsa calle dels Bequiters, e al quale era associata la specifica di “Casa abitazione delle religiose poste in Castello”.

Si trattava di un insediamento davvero imponente, uno dei più grandi della Sardegna, e i due edifici si ritrovano raccordati fra loro da un portico che scavalcava l’attuale via intitolata allo studioso Martini.

Durante la prima metà del XIX secolo, i tempi iniziano però a cambiare, e lo splendore della casa francescana è ormai già uno sbiadito ricordo.

Nel 1845, sperando di incrementare il numero delle novizie, le religiose inaugurano una scuola femminile, regolamentata dalla Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, i quali iniziano ad imporre una prima netta separazione tra le madri residenti nel convento e le educande.

Tra il 1866 e il 1867, con la liquidazione dell’asse ecclesiastico, il Regno d’Italia decreta invece l’incameramento del monastero da parte del Demanio, ma la chiusura dei battenti anticipa le leggi nazionali, poiché già nel 1865, le religiose sono invitate a trasferirsi nella residenza della Purissima Concezione, mentre la chiesa adiacente viene ceduta al Sacro Ordine Militare dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Tale circostanza porterà al frazionamento del convento, ma anche alla sua non facile alienazione, perché a riscuotere immediato interesse sarà solo la porzione secentesca.

Di questa parte del complesso religioso, che accolse anche la caserma militare del Carabinieri Reali, oggi ben poco rimane di visibile. All’occhio attento, o meglio, consapevole delle trasformazioni edilizie più recenti, non può però sfuggire la conformazione interna del lotto antistante l’attuale chiesa. Sequenze di arcate, probabilmente residuo dell’antico chiostro, si aprono su un giardino di modeste dimensioni, compatibile con le consuetudini organizzative delle residenze di clausura.

Nel 1894, con l’appoggio di don Felice Prinetti, segretario del vescovo, l’Opera di Misericordia voluta da Umberto e Margherita (ospitata in origine all’interno del palazzo della municipalità) acquista invece la porzione cinquecentesca dell’ex convento di Santa Lucia, e una volta ristrutturata, al suo interno trovarono spazio l’asilo intitolato agli stessi sovrani sabaudi e l’Associazione dei Luigini e delle Figlie di Maria.

Riconosciuto fin da subito come l’asilo dei poveri, l’edificio, gestito dalla superiora del Conservatorio delle Figlie della Carità, che vi destinava anche alcune suore per la scuola e per il catechismo, ospitava i bambini del quartiere che si dedicavano all’accattonaggio girovagando per la città.

Nel 1898, all’asilo si aggiunse anche un laboratorio per ragazze povere, alle quali, oltre che l’insegnamento del cucito e del ricamo, venne impartita una istruzione corrispondente alla terza elementare.

Nel 1919 le opere caritatevoli svolte all’interno dell’istituto erano già le più svariate, e ai superiori parve utile rendere autonomo l’Asilo Umberto e Margherita.

Le religiose, guidate da suor Jacob, in poco tempo erano riuscite a portare un po’ di respiro fra quelle mura sofferenti, e oltre ad inaugurare una nuova scuola di sartoria, istituiscono anche l’opera di misericordia denominata Protezione della Giovane, destinata all’accoglienza delle poverelle senza dimora. Nel 1925, l’ex convento divenne anche la residenza dell’Associazione delle Madri Cristiane e delle Damine della Carità, nonché la sede delle Cucine Economiche, all’interno delle quali la congregazione di carità sfamava i centinaia di poveri del quartiere più alto di Cagliari.

Questo fervore di altruismo suscitò il progetto di riportare a nuovo anche l’antica chiesa di Santa Lucia, che venne dedicata a Santa Luisa de Marillac, da poco beatificata.

Le ultime trasformazioni architettoniche apportate all’edificio sono dirette da Alberto Sanjust, progettista ed amministratore dell’istituto, il quale, nel 1960, realizza i nuovi locali di studio.

Oggi gli antichi fasti del convento francescano sono un lontano ricordo, e la Fondazione Umberto e Margherita è diventato un luogo dove i bambini della scuola materna e delle elementari crescono insieme agli educatori che li guidano.