Il Palazzo del Conservatorio delle Figlie della Divina Provvidenza

Palazzo del Conservatorio della Divina Provvidenza, prospetto verso piazza Indipendenza

Di fianco ai basamenti della Torre di San Pancrazio, si innalza l’ex Palazzo del Regio Collegio dei Nobili, una costruzione realizzata alla fine del 1618 su iniziativa dell’arcivescovo Francisco d’Esquivel.

L’edificio, dal 1625 al 1831, era inizialmente riservato ai giovani aristocratici di Cagliari, con una susseguente estensione ai figli delle famiglie nobili decadute e prive di mezzi sufficienti per dare una conveniente istruzione alla propria prole, un’eccezione che avveniva grazie al sistema delle “piazze” gratuite (o semigratuite) offerte da sovrani e benefattori.

Con il successivo trasferimento dell’istituto maschile dal quartiere di Castello all’attuale via Giuseppe Manno, il palazzo venne poi occupato dal Conservatorio delle Figlie della Divina Provvidenza, un’istituzione che, questa volta, ammetteva solo ragazze.

Il collegio femminile venne fondato dal gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo, che da molti anni si prodigava, con la predicazione e l’insegnamento, ad educare i giovani e a diffondere la lingua italiana e l’istruzione religiosa nel popolo.

Il re Carlo Emanuele III, dopo aver preso in esame l’idea abbozzata dal pio uomo, nell’apprezzarne l’ottimo fine emanò un Regio Biglietto, datato 5 agosto 1751, con il quale assumeva ufficialmente l’ente morale sotto la sua protezione. Quando poi il fondatore gli presentò anche lo statuto contenente le regole, compilato sulle tracce di quello dell’opera della Provvidenza di Torino, il sovrano non solo lo approvò con Decreto del 5 ottobre 1751, ma gli accordò anche il privilegio di poter intitolare il convitto col titolo di Reale.

VI stazione dell’antica Via Crucis cagliaritana

A partire dal 1822, sotto il viceré conte D’Agliano, la sede primitiva dell’istituto, situata in un palazzo acquistato da don Francesco Durante nei pressi del Bastione di Santa Croce, e che si era da sempre mantenuta grazie alla carità cittadina e alle sovvenzioni statali, subì diverse riforme volte al miglioramento dell’educazione femminile.

Fu impiantata una fabbrica per la tessitura del cotone, del lino e della seta, e le allieve, oltre a seguire i corsi di buone maniere e apprendere nozioni di vita domestica, iniziarono ad essere avviate anche a quei lavori professionali che permettevano di accrescere le loro abilità manuali.

La crescita dell’istituto rese però necessaria la ricerca di nuovi locali, e per questo motivo, ottant’anni più tardi, il governo decise di cedere l’antico palazzo del Collegio dei Nobili, e di promulgare, in data 27 luglio, uno specifico pregone con il quale ordinava ai notai che nel ricevere le disposizioni di ultima volontà interrogassero i testatori domandando esplicitamente se intendessero far lasciti all’istituzione femminile.

Nel 1831 le Figlie della Divina Provvidenza prendono dunque possesso dell’attuale edificio, quasi integralmente ristrutturato e adattato alle nuove esigenze dall’ing. Enrico Marchesi, il quale aggiunge anche un’ulteriore ala verso la Torre di San Pancrazio. Al palazzo viene inoltre data una nuova facciata neoclassica, la stessa rimessa poi a nuovo, questa volta senza essere modificata, tra il 2018 e il 2019.

Targa che ricorda il Regio biglietto di Carlo Emanuele III

L’istituto, fin dalla sua fondazione, aveva il fine di salvaguardare e tutelare l’onestà delle “figlie di civile condizione”, vale a dire le fanciulle di famiglie nobili rimaste prive di qualsiasi sostegno materiale e morale, in seguito alla morte di entrambi i genitori o all’incapacità del genitore superstite di provvedere al loro sostentamento e alla loro educazione. La Casa perseguiva il fine di formarle secondo i valori cristiani e istruirle nei lavori attinenti al loro sesso, così da essere ammesse a servire le case dei signori o diventare buone madri di famiglia in caso di degno matrimonio.

Il ricovero era amministrato da una congregazione composta da un Protettore, che doveva essere il viceré, e da quattro direttori, due ecclesiastici e due laici, tutti di nomina regia, mentre l’andamento della scuola era affidato a diverse madri, che dovevano convivere nell’istituto posto alle dipendenze di una direttrice.
L’istruzione era impartita da una sola maestra, e comprendeva anche la lettura, la scrittura e l’abaco, ritenute necessarie per far sì che potessero distinguersi dalle altre fanciulle orfane di umili origini, che venivano invece escluse dal beneficio e delle quali a pochi interessava che se per vivere dovevano chiedere l’elemosina, giudicata invece un disonore per “le figlie più civili”.

Una discriminazione oggi certamente non comprensibile né condivisibile, ma frutto di una mentalità del tempo in cui la società era caratterizzata da modelli di gerarchie cetuali, fortemente marcati, contrapposti ed escludenti, in quanto l’accesso all’istruzione era privilegio di pochi, mentre per la stragrande maggioranza della popolazione era sufficiente l’acquisizione di un bagaglio di nozioni elementari nella prospettiva di poter esercitare un mestiere. Per questi motivi l’iniziativa promossa dal padre Vassallo e sostenuta dall’autorità di governo regio, indubbiamente encomiabile, considerato il numero limitato delle giovani educande ammesse alla frequenza del conservatorio, scelte sulla base di un parametro di classe discriminatorio, in realtà non ebbe alcun impatto concreto nel sostegno all’infanzia femminile più debole e bisognosa, sia sul piano della realtà urbana che territoriale.

Sulle ragazze abbandonate, orfane, o che si trovavano in situazioni di disagio e di pericolosità, e che spesso vagavano per le strade o erano ospitate da donne di depravata condotta, sia che fossero native di Cagliari o che fossero solo residenti, continuerà a vigilare attentamente il Padre d’Orfani, con l’adoperarsi a collocarle a servizio presso case onorate, in modo da tutelarne la moralità con l’impedire che “… la debolezza del sesso vinta dalla calamità e dall’abbandono cada vittima della seduzione”.

La massima aspirazione per ciascuna educanda era comunque quella di essere collocata prima dei 25 anni, poiché al raggiungimento di questa età le allieve venivano licenziate dall’istituto.. a tal proposito, si narra che qualche uomo possa essersi recato presso il collegio per trovare moglie, e che proprio per questo motivo abbia preso anche l’appellativo di “orfanotrofio delle zitelle”.

Cappella interna

Strutturalmente, l’edificio, di stile neoclassico, racchiude perfettamente il lato est di piazza Indipendenza. Si presenta in un elegante prospetto articolato su tre livelli, impostati su una zoccolatura in pietra squadrata, con paramento in finto bugnato a listoni nell’ordine inferiore e nelle due ali laterali, e una semplice intonacatura nella specchiatura centrale. Le strette aperture al piano terreno sono sormontate da lunette, mentre al piano nobile le finestre sono architravate; all’ultimo piano, invece, semplicemente riquadrate da cornici. A conclude la struttura vi è un robusto cornicione modanato, che nasconde perfettamente la copertura a falde con coppi.

Posta sulla facciata del palazzo, un occhio attento può osservare anche un’edicola in ghisa realizzata in stile neogotico che rappresenta la VI stazione dell’antica Via Crucis cagliaritana, commissionata da Monsignor Ernesto Maria Piovella alla fine degli anni ’20 del Novecento.

Palazzo del Conservatorio della Divina Provvidenza

Lo statuto dell’ente fu modificato nel 1849, e nello stesso anno si deliberò di dare maggior importanza all’istruzione. Nel 1851, all’interno del conservatorio fece seguito l’apertura di un ulteriore istituto femminile, accessibile anche a ragazze esterne, che aveva lo scopo di formare insegnanti che avrebbero poi diffuso l’insegnamento e l’educazione nei paesi della Provincia. Nel 1857 venne impiantata perfino una Regia Scuola di Metodo, elevata poi a scuola superiore, ma trasferita poco dopo in altra sede.

Il conservatorio, all’interno del quale dal 1885 al 1889 insegnò anche suor Giuseppina Nicoli, funzionò da collegio per ragazze fino agli anni Novanta del Novecento.
Le Figlie della Divina Provvidenza, che chiudono definitivamente alle loro spalle il portone dell’istituto nel 1999, lasciano però un vincolo preciso: “in caso di cessione dell’immobile dovrà essere a uso servizi di carattere assistenziale o a quello ricettivo, con esclusione di quello residenziale privato e commerciale”.

Così, andate via le suore e passato alla gestione della fondazione “Istituti Riuniti di Ricovero Minorile”, il complesso finisce più volte all’asta, andate però sempre tutte deserte. Si deve arrivare al 2018 per vederlo nuovamente avvolto in una grigia impalcatura.

Palazzo del Conservatorio della Divina Provvidenza visto dal Terrapieno

La ristrutturazione dell’elegante palazzo, con vista mozzafiato dal prospetto che si affaccia sul Terrapieno e che poggia sulle imponenti arcate della muraglia di contrafforte che domina il Castello, nonché inserito armonicamente nella piazza dell’ex Museo Archeologico, ritornerà a vivere come foresteria solo negli anni Venti del XXI secolo, con tanto di sala riunioni, cappella – di interesse artistico, caratterizzata da volte a botte decorate da stucchi policromi -, e poco più di una ventina di stanze destinate ad ospitare trasfertisti, studenti e professionisti che alloggeranno a Cagliari per breve tempo.