Piazza Martiri d’Italia

È uno slargo stretto e allungato, visivamente molto simile ad un imbuto, che ha preso il posto della vecchia Porta Villanova, abbattuta nel 1874. L’area della sua configurazione, all’epoca indicata come piazzetta Villanova, oggi è uno dei luoghi di passaggio più frequentati di Cagliari, e va a formarsi grazie alla confluenza, ad occidente, di via Giuseppe Manno e via Giuseppe Mazzini, che sfociano entrambe, ad oriente, su piazza Costituzione.

Il Monumento ai Caduti delle Guerre di Indipendenza. A destra Palazzo Rossi

Piccola ed elegante, la piazza è circondata da diversi negozi, mentre al centro, nella parte più larga, ospita il monumento ai Caduti delle Guerre di Indipendenza, realizzato dall’artista piemontese Giuseppe Maria Sartorio.

Lo scultore elaborò un’alta stele in pietra che in origine poggiava sopra un basamento quadrilobato, cinto da una bassa inferriata lavorata in ferro battuto.

L’opera, inaugurata il 16 agosto 1866, era stata commissionata all’artista piemontese su iniziativa di un comitato di ex soldati sardi che avevano militato nell’esercito del Regno di Sardegna. Gli ex combattenti promossero una sottoscrizione in tutta l’isola, e furono molte le famiglie che vollero contribuire per commemorare e tramandare il ricordo di coloro che sacrificarono la loro vita per l’unificazione dell’Italia.

Sulla sommità della stele è scolpita una corona d’alloro realizzata in marmo bianco di Carrara, mentre alla base sono invece presenti diverse decorazioni, fucili, cannoni e altri oggetti bellici, tutti realizzati in bianca roccia calcarea; ad attirare l’attenzione è però una grande data: 1870, ovvero XX settembre 1870, la Battaglia di Porta Pia con cui si pone fine al potere temporale del papa e Roma viene annessa al Regno d’Italia.

Nel lato sud, lo scultore sistemò un medaglione con il ritratto di Vittorio Emanuele II, circondato dalla bandiera, da fasci di armi e insegne militari, mentre nel fianco est scolpì lo stemma della città di Cagliari affiancato da due scudi nei quali sono incisi i nomi delle località di Custoza e Marsala. A ovest, intorno allo stemma cittadino e alle date 1860-1866, vengono ricordate Goito e Cernia, mentre nel lato nord all’interno degli scudi, appaiono i nomi di Novara, San Martino e Porta Pia.
Tutte le quattro facce del monumento riportano incise le date delle battaglie e i nomi dei soldati sardi caduti durante le Guerre d’Indipendenza.

Particolare del lato nord

Nel 1933, per recuperare spazio nella piazzetta e migliorare il flusso del traffico cittadino, si decise di trasferire il Monumento ai Caduti delle Guerre di Indipendenza nel Parco delle Rimembranze, accanto alla sede della Legione dei Carabinieri appena costruita, dove ci rimase per circa sessant’anni.

Nel frattempo, fino alla fine delle imprese fasciste, il piccolo slargo ospitò la Società del Tiro a Segno Nazionale, che aveva la finalità di curare l’istruzione nell’impiego delle armi e di coltivare l’esercizio del tiro.
Poi, nel 1995, su richiesta dell’Amministrazione comunale, la colonnetta del Sartorio fu finalmente ricollocata nella sua sede originaria, ma, priva dell’antico cancelletto, venne impostata su una base di pietra che a sua volta poggiava sopra due gradini ottagonali.

La stele svetta ancora oggi con il suo bagaglio di storia, così come la piazzetta, che custodisce alcune targhe che vogliono serbare il ricordo di altri personaggi e avvenimenti passati. Sullo spiazzo si affaccia anche la casa dove visse lo scrittore, politico e militare, Emilio Lussu: Palazzo Rossi, identificabile per il suo stemma con le iniziali di Lorenzo Rossi, e per gli elementi decorativi in legno in stile Liberty riportati e ripetuti sui vari riquadri presenti sulle ante del portone, che si caratterizza anche per un elegante battaglio metallico a forma di mano.

Particolare del lato est

Il 31 ottobre 1926, durante una manifestazione fascista a Bologna, il sedicenne Anteo Zamboni sparò un colpo di pistola contro Benito Mussolini, mancandolo di poco. La reazione fascista non si fece attendere e la furia contro gli oppositori al regime si scatenò in ogni parte d’Italia. In molti caddero vittime delle violenze, altri riuscirono a darsi alla fuga, le loro case vennero saccheggiate, le sedi dei giornali distrutte.

Il terrore si respirava ovunque.

Nella lunga lista degli avversari da eliminare era presente anche il nome di Emilio Lussu, noto antifascista e leader del Partito Sardo d’Azione.

La stessa notte dell’attentato al duce, alcuni amici più fidati del dirigente sardista corsero da lui per riferirgli che anche a Cagliari la macchina repressiva del regime si era messa in moto e la sua vita correva un grave pericolo.

La città era in fermento. I vari rioni suonavano l’adunata, i fascisti accorrevano da ogni parte per ritrovarsi nella sede centrale e preparare gli assalti.

La casa di Emilio Lussu era situata in Piazza Martiri d’Italia, al primo piano di un appartamento caratterizzato da balconcini in ferro battuto.
Non ebbe il tempo di abbandonare la città e decise di rifugiarsi nella sua abitazione, da solo, con le luci spente, un fucile da caccia e due pistole da guerra a portata di mano pronte per essere utilizzate.
Lui, così abituato agli assalti della Grande Guerra, vide la sua casa trasformarsi in una nuova trincea.

Il suo appartamento, evidentemente, quella notte non doveva essere l’unico obiettivo dei fascisti.
Sentì la colonna avvicinarsi, ma prima di arrivare a lui ebbero infatti la premura di saccheggiare la vicina tipografia del giornale democratico-cristiano il “Corriere” e distruggere lo studio legale dell’avv. Angius.
La colonna era comandata da Giovanni Cao di San Marco, vecchio compagno di Emilio Lussu.

Particolare del lato ovest

Una volta ammassatasi di fronte alla casa di Lussu, la brigata fascista riuscì senza troppa fatica a sfondare il grande portone principale. Solo la porta dell’appartamento ora faceva da ostacolo alla furia delle camicie nere.

La colonna si divise quindi in tre parti: un gruppo di fascisti cercò di forzare la porta dell’appartamento, un altro cominciò la scalata ai balconi, e l’ultimo fece il giro della casa per passare dal cortile sul retro.
Di fronte al palazzo, sulla piazza, la folla simpatizzante incitava gli aggressori alla grande impresa.

Battista Porrà, aiutato dalla folla, fu il primo che riuscì a raggiungere il balcone. Gli porsero il ramo di un albero vicino per forzare la persiana chiusa e fu a questo punto che Lussu, armato della sua pistola di guerra, sparò verso di lui.
L’assalitore, colpito a morte, cadde nella strada sottostante, tra le braccia dei camerati.

Nel frattempo, impaurita, la folla lasciò in tutta fretta la piazza. Più volte Cao di San Marco tentò di riordinare la colonna ma i suoi appelli furono vani. Al processo contesterà il ruolo svolto, dicendo di essersi trovato nella piazza solo ed esclusivamente per difendere Lussu dall’aggressione fascista.

Mezz’ora dopo, polizia e carabinieri avevano accerchiato la casa, almeno mille erano le forze militari presenti nella piazza. Il questore e il commissario si presentarono alla porta di Lussu e lui, ancora armato, fece entrare, con le mani alzate, solo il commissario. Appurata poi la presenza di “autorità legali”, venne ricevuto nella casa anche il questore.

Di fronte alla comunicazione dell’arresto, Emilio Lussu cercò, con il codice penale in mano, di far leva sulla legittima difesa e sull’immunità parlamentare, era un deputato, ma tutto ciò non servì. Fu ammanettato e condotto in carcere.

Particolare del lato sud

Al fascista ucciso vennero concesse onorificenze e funerali solenni, con la partecipazione delle autorità, la magistratura, il prefetto e le camicie nere provenienti da tutta la provincia.

Per la morte del fascista Battista Porrà, Emilio Lussu rimase invece in prigione per tredici mesi.
Nonostante le fortissime pressioni a cui fu sottoposta la magistratura sarda, Lussu fu assolto per legittima difesa. I fascisti però non potevano lasciare impunito l’assassino di una  camicia nera, e, nonostante l’assoluzione, Lussu non venne scarcerato ma deportato a Lipari dove avrebbe dovuto scontare una condanna a cinque anni di confino.

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, nell’estate del 1929, l’armungese, insieme a Carlo Rosselli e a Fausto Nitti, riuscì a mettere in atto una clamorosa fuga…