
Leonardo nacque nel castello di Vedone, in un villaggio vicino ad Orleans, alla fine del V secolo.
I suoi genitori erano dignitari alla corte dei Franchi di Clodoveo, durante il regno dell’imperatore d’Oriente Anastasio, e in lui erano riposti grandi speranze non solo per la gloria della famiglia, ma anche per la futura affermazione del potere monarchico.
Il fanciullo fu battezzato con rito solenne dal vescovo di Reìms, Remigio, che in seguito si interessò anche della sua educazione cristiana, mentre a fargli da padrino fu proprio Clodoveo, sovrano della dinastia dei Merovingi.
Crebbe tra precettori severi, dignitari accorti, funzionari esperti e soldati valorosi. Faceva grandi progressi nello studio, ma sentiva anche una forte attrazione per la preghiera e la vita di Gesù a Nazareth lo turbava, tanto che, mentre la sua mente infantile si nutriva di racconti leggendari delle gesta degli antichi eroi, dei suoi antenati, e dei re dei Franchi Sali, nella sua anima si sviluppavano invece i germi di quella bontà naturale che con gli anni gli avrebbero fatto vibrare le corde del cuore davanti alle afflizioni della vita.
Approfittando della generosità della famiglia, andava in aiuto dei mendicanti, dei prigionieri e dei pellegrini, e, seppure continuasse la severa educazione che lo avrebbe portato un giorno ad essere un uomo di corte, nel suo cuore si faceva invece forte il desiderio di una vita umile e dal contenuto profondamente umano. Remigio fu il solo ad intuire le sue ispirazioni e, coscienzioso, dopo una matura riflessione, lo introdusse al servizio di Dio e dei bisognosi.
Re Teodorico, figlio e successore di Clodoveo, mostrava disappunto per la scelta fatta da Leonardo. Provò a farlo desistere e a convincerlo a rimanere nel mondo della corte, ma il giovane rimase impassibile davanti alle lusinghe del sovrano, e anzi, fu allora che decise di rinunciare alle ricchezze, agli onori, alla sicura carriera civile, politica, militare ed ecclesiale che molti coetanei invece gli invidiavano, scegliendo di allontanarsi dal castello e di ritirarsi nel monastero di Micy, nei pressi di Orleans.
Alla morte dell’abate San Mesmino di Noblac, Leonardo lasciò però anche il monastero e, accompagnato solo da un bastone e da una bisaccia, cercò un ritiro solitario nella foresta, un luogo più adatto al suo ideale di religioso, dove poteva cibarsi di erbe, di frutti selvatici, e dormire sulla terra nuda.
Impegnato in una movimentata battuta di caccia nella foresta di Pauvain, Teodeberto I, figlio di Teodorico, venne avvisato delle improvvise doglie della giovane moglie Visigarda.
Riusciti vani i tentativi dei medici di corte per salvare la sua sposa, qualcuno suggerì al re di raccomandarsi alle preghiere dell’eremita Leonardo, che, trovato nelle aspre e selvagge foreste, venne accompagnato al castello dove si raccolse subito solitario in preghiera.
Durante la notte, il religioso incrociò per la prima volta lo sguardo della regina, e prima di dissolversi nuovamente nelle tenebre della fitta boscaglia, le tracciò un semplice segno di croce.
Alle prime luci dell’alba, la sposa del re, liberata dalla morte, diede alla luce un bambino vivace e dalle guance paffute.
Teodeberto cercò quindi Leonardo per ricompensarlo del bene ricevuto, ma l’eremita rifiutò l’ingente ricchezza donata ed esortò il re a dare ai poveri quanto avrebbe dovuto ricevere lui. L’eremita accettò soltanto la porzione di selva che sarebbe riuscito a circoscrivere in un giorno cavalcando il suo somarello, utile per la sua missione.
Negli anni, il cuore di quella foresta conquistata avrebbe visto nascere prima un monastero, con una cappella dedicata alla Madonna e un altare dedicato a San Remigio, e poi un villaggio, che venne intitolato “Nobiliacum”, ossia, dono del re.
Oggi lo stesso monastero è intitolato a San Leonardo de Noblat.
Affascinati dall’aurea di Leonardo, erano tanti quelli che sceglievano di vivere e lavorare accanto al religioso, di conseguenza, con il passare del tempo, la comunità si allargò smodatamente.
Sorsero nuove capanne, vennero disboscate altre porzioni di foresta, e ci fu altra terra da dissodare e da far fruttificare.
Ma mancava l’acqua.
Un giorno i seguaci del Santo provarono a perforare il terreno, ma senza successo.
Percepita la disperazione del suo popolo, Leonardo pensò allora di ricominciare la sua vita solitaria nella selva, e quando iniziò a pregare, l’acqua zampillò d’improvviso limpida e fresca.
Appena si sparse la notizia, alla foresta di Pauvain iniziarono ad accorrere da tutte le parti: prigionieri, schiavi, miserabili, poveri e spiriti agitati, che, in segno di gratitudine, deponevano ai suoi piedi le catene, i flagelli e i ceppi delle prigioni. Fra loro c’erano però anche numerose schiere di malati, che da Leonardo ricevevano invece la guarigione.
Tutto a un tratto, all’eremo arrivarono perfino uomini d’armi e molti nobili, spinti in quell’oasi di pace per una supplica, ma Leonardo non faceva distinzioni, accoglieva tutti, e invitava alla preghiera e al lavoro, che regolavano la vita della comunità che continuava a crescere.
Dopo la morte dell’eremita, avvenuta il 6 novembre 559, ai crocicchi delle principali vie di comunicazione incominciarono a spuntare piccole edicole a lui dedicate. Gli stessi tempietti, nel tempo, lasciarono poi il posto a numerosi santuari, ai quali, nella gran parte dei casi, vennero annessi anche degli ospedaletti e dei ricoveri per i pellegrini di passaggio.
Durante la seconda metà del XII secolo, lungo un’importante arteria di comunicazione che da Pisa portava a Porto Pisano, viene fondato un ospedale dedicato a San Leonardo di Stagno, una fondazione che, sorta intenzionalmente nei pressi del ponte dell’Ugione, a ridosso della banchina portuale, aveva il compito di ospitare marinai, viaggiatori e vagabondi, senza nessuna distinzione di ordine sociale.
La devozione a San Leonardo era dunque arrivata anche in Italia e, attraverso la Toscana, giunse in Sardegna, e quindi a Càlari.
Con il passare degli anni, l’ente assistenziale annoverò tra le sue proprietà molti ospedali, chiese, cappelle e domus, ubicati principalmente a Livorno, Pisa e in Sardegna, dove, fra le altre, nel secondo decennio del XIII secolo era stata realizzata anche la casa ospedaliera di San Leonardo di Bagnaria.
L’ospizio cagliaritano, che con tutta probabilità condivideva con la casa madre pisana la stessa vocazione solidale nei confronti dei malati di lebbra, era destinato anche ai marinai e a coloro che si ammalavano durante la navigazione. Per tale ragione, per la sua realizzazione fu scelto un sito localizzato in prossimità del porto, corrispondente oggi ad un’area posta poco più in basso della chiesa di Sant’Agostino nuovo, in quegli anni molto vicina al mare, se si considera che la linea di costa dell’epoca era più arretrata rispetto a quella attuale.
Sorto quindi l’ospedale, che inglobava anche una piccola cappella, il selciato sul quale si affacciava la costruzione venne intitolato Viae de San Leonart, una denominazione che venne conservata anche dopo la demolizione del vecchio tempietto, e quando già da qualche secolo era ultimato il santuario intitolato al vescovo di Ippona, che diede successivamente il nuovo nome alla strada.
Ai due ambienti, costituiti in origine solo dal sanatorio e dalla chiesetta, venne poi aggiunto anche un monastero dove vivevano i conversi, una piccola cucina con dispensa ed una corte in cui scorrazzavano pochi animali e venivano custoditi gli starelli di orzo. Il retro del complesso conduceva invece in un grande orto, e ad una vigna comprensiva di una piccola cantina.
Il patrimonio immobiliare veniva amministrato da un rectoro, affiancato dal custode dell’ospedale, mentre i conversi, chiamati anche frati, erano invece dei laici che chiedevano di essere accolti come collaboratori nella conduzione delle mansioni quotidiane. I lavori più umili e gravosi venivano però svolti dagli inservienti volontari, che in genere erano uomini e donne guariti da qualche male, e che prestavano aiuto nella pulizia del malato allettato e nelle manovre di posizionamento degli ospiti nei giacigli.
Nel 1257, l’ospedale e la chiesa di Stagno, con tutte le proprietà, vennero affiliati al monastero femminile pisano di Ognissanti, dal 1263 in ordine di Santa Chiara. Da quel momento anche il sanatorio di Bagnaria venne governato direttamente dalle monache, che comunque, almeno inizialmente, non modificarono l’organizzazione amministrativa e assistenziale preesistente.
Intorno agli anni Venti del XIV secolo però, per l’ente cagliaritano iniziò un periodo di decadenza che determinò non solo un totale cambiamento nella gestione dell’ospedale, ma anche nella locazione delle sue pertinenze, passando quindi dalla conduzione diretta dei priori a quella dei semplici locatari, al pari di una qualunque azienda agricola che dalle proprietà poteva garantire rendite più o meno proficue.
In seguito alla conquista aragonese dell’isola, la struttura, ormai non più ospedaliera ma solo chiesastica, entrò invece a far parte dei beni della Mensa arcivescovile di Caller, mentre le pertinenze e i terreni confinanti con l’orto vennero concessi dalla corte regia a privati cittadini.
Nel 1564, la Confraternita dell’Orazione e della Morte, in quegli anni ancora ospitata nell’edificio religioso di San Leonardo, venne dotata di una propria chiesa, e nel giro di poco tempo lasciò la sua vecchia sede per trasferirsi nel nuovo tempio intitolato al Santo Sepolcro, ultimato qualche anno prima.
La chiesa di San Leonardo viene menzionata ancora nel 1580, contrassegnata tra gli edifici più notabili dell’appendice della Lapola insieme alle chiese di Sant’Eulalia, di Sant’Antonio e di Sant’Agostino, ma è probabilmente proprio la costruzione di quest’ultimo tempio, ubicato a poca distanza, che decretò prima l’abbandono definitivo e poi la demolizione della chiesetta pisana di San Leonart, un evento che spinse successivamente a intitolare con una nuova denominazione anche l’antico selciato, che divenne carrer de Sanct Augustin.