Santa Caterina: istantanee di un passato che riemerge

Il complesso di Santa Caterina visto dalla Terrazza Umberto I

Dalla sua terrazza la vista è mozzafiato, e ad animarla è il vociare dei bambini che proviene dal plesso scolastico che domina la piazzetta intitolata a Goffredo Angioni, risultato di spianamento e riutilizzo dell’antico Bastione di Santa Caterina, costruito dagli spagnoli durante la seconda metà del Cinquecento.

Gli edifici presenti tutt’attorno si trascinano la loro aura storica, e ciò fa intuire che anche il luogo deve essere antico e che nel tempo ha certamente subìto profonde modifiche e diverse destinazioni d’uso.

Si sa con certezza che nel XIV secolo faceva parte delle fortificazioni meridionali del Castum Càlari, e che questo spazio aveva funzioni militari di supporto all’attigua Torre del Leone. Tra il XVI e il XVII secolo, il sistema venne poi ulteriormente ampliato con una piazzaforte di nuova concezione, formata da baluardi bastionati più rispondenti alle strategie di guerra rivoluzionate dalla polvere da sparo.

A rendere suggestivo questo spiazzo carico di storia è però il mistero che vuole che inglobati nelle viscere del Bastione di Santa Caterina ci siano i resti di un’antica chiesa duecentesca: la Beata Vergine degli Angeli. Le indagini eseguite da un ingegnere e da un architetto, che pochi anni fa si occuparono del restauro della galleria Umberto I, tracciarono infatti la presenza di una pianta articolata, oltre che di un importante pozzo che alimentava tutta l’area di questa parte del quartiere.

Ingresso in quota

In alcuni documenti risalenti al 1523, e in particolare in una relazione del Marchese di Pescara, Fernando de Avalos, condottiero fidato di Carlo V, si legge che il pozzo veniva chiamato “Fontana Bona” e che era collocato presso l’omonima torre oggi scomparsa; un secolo più tardi la cisterna diventava invece “Fonte di Santa Caterina”, dalla successiva intitolazione della prospiciente chiesa che fu realizzata nel 1641, e che era parte integrante del convento già esistente da pochi anni.
Dalle stesse carte si apprende che nello stesso secolo la fontana fu oggetto di alcuni interventi funzionali al suo sfruttamento, e che venne realizzata anche una macchina per l’estrazione dell’acqua, caratterizzata da un motore a vento dotato di noria con tubi di canna, a supporto di un altro mulino orizzontale. All’interno della fontana vi erano poi un serbatoio capace di contenere fino a 4 metri cubi d’acqua, la volta della sorgente e una garrita.
Il Pozzo di  Santa Caterina continuò a svolgere un ruolo importante nell’approvvigionamento idrico del quartiere fino al 1867, anno in cui venne ultimata la costruzione dell’acquedotto comunale.

Sempre dietro suggerimento del Marchese de Avalos, venne progettato anche un baluardo dotato di scarpa che avrebbe dovuto estendersi fino alla porta che dal borgo della Lapola conduceva fino a Villanova. Questo bastione, noto nei documenti come Terraple de la Fontana Bona (Baluarte de la Ciudad, Baluarte del Trabuc e Bastione di Santa Caterina), dopo un primo tentativo di realizzazione da parte del viceré Dusay (vice sovrano dal 1491 al 1508) vide finalmente la luce tra il 1530 e il 1532.

Testimonianze di tutto ciò si troverebbero oggi in un affresco conservato all’interno dell’Episcopio cittadino, che documenterebbe anche l’esistenza di ciò che fu, presumibilmente, un tempio di epoca romana. Secondo l’affresco parrebbe infatti che già nel medioevo l’area fosse delimitata dalla porzione orientale delle fortificazioni del Castrum, ed in particolare qui dovevano essere collocate anche le due torri, quella della Fontana Bona a pochi metri a sud- est dell’attuale plesso scolastico, e quella della Manayra, verosimilmente situata in corrispondenza delle scalette che oggi da via Nicolò Canelles scendono verso la Terrazza Umberto I.

Interno dell’ipogeo

E se siamo in grado di sapere con certezza quando fu edificato il bastione, non si sa invece con precisione quando vennero demolite le due torri, che comunque non compaiono più nelle piante già dall’inizio del 1700, cioè quando gli austriaci, ormai insediati nella rocca, ne trasformarono la parte superiore in piazzetta pubblica delimitandola con i primi edifici dell’epoca.

Il baluardo dedicato a Santa Caterina fu uno dei primi ad essere destinato a verde pubblico cittadino, in seguito alla perdita delle funzioni difensive militari. Successivamente, una serie di interventi ne determinarono un ridimensionamento, fino all’ultimo del 1882, quando fu demolita la porzione meridionale, portandola a filo con l’ottocentesco Palazzo Boyl.

La conformazione attuale del Bastione di Santa Caterina, raggiungibile sia delle vie del Fossario e Nicolò Canelles, che dai gradini presenti al culmine della Terrazza Umberto I, risale alla fine del XIX secolo, ovvero a quando furono dismesse le strutture difensive bastionate che svettavano sulla città.
Il sottosuolo della piazza racchiude invece ancora tutta una serie di ambienti, disposti paralleli fra loro, con una successione insediativa piuttosto articolata, ma priva di soluzione di continuità. L’utilizzo del livello sottostante risale probabilmente all’età Eneolitica sarda, e va poi certamente ad attraversare l’epoca fenicio-punica, le fasi romane repubblicane, imperiali, tardo antiche, bizantine, medievali e rinascimentali, fino ad arrivare all’età moderna e contemporanea.

La prima frequentazione del sito lascia in eredità una piccola porzione residua interpretabile come tomba a pozzo verticale, che, scavata a circa tre metri di profondità rispetto al pavimento dell’attuale piazza, doveva dare accesso a una cavità ipogea formata da tre spazi che avevano evidenti analogie con le sepolture collocabili cronologicamente con la Cultura del Monte Claro (circa 2400-2100 a.C.).
La grotticella sepolcrale venne purtroppo compromessa dalla realizzazione del grande ambiente sotterraneo destinato alla racconta dell’acqua, tanto che oggi risulta appena individuabile. È da considerare tuttavia come una traccia interessante, perché permette di avanzare ipotesi sulla presenza umana in una zona della città finora inedita, in un periodo poco o mai considerato, come la Preistoria.

Prospetto principale del plesso scolastico di Santa Caterina

Nei meandri di Santa Caterina è invece ancora presente, nella sua interezza, la struttura ipogea, di probabile destinazione idrica, scavata nella roccia calcare. Profonda circa 7,80 metri rispetto al piano attuale di calpestio, appare tuttora coperta, verosimilmente dall’ultima fase d’uso dell’area, da una volta a botte in mattoni. La cavità, realizzata secondo la morfologia tipica delle cisterne di epoca fenicio – punica, presenta in sezione una forma a bottiglia  che nella parte più alta risulta larga circa 1,20 metri, mentre sul fondo arriva a raggiungere i 4,10 metri.

In una seconda fase, presumibilmente in epoca romana, per via di alcune problematiche legate a continue infiltrazioni, lo stesso ambiente venne trasformato in un luogo di culto, forse un ninfeo o un mitreo, che comportò degli interventi volti a modificarne l’iconografia, ma non a cancellarne completamente il sistema di canalizzazione idrica presente al suo interno.

La camera, con estremità orientale absidata, nei lati lunghi e al di sopra di uno zoccolo alto circa 50 cm, presenta delle pareti scandite da sette nicchie arcuate, tre sul lato meridionale, quattro su quello opposto, che penetrano nella roccia per circa 60 cm.  Nei muri in corrispondenza dei pilastri delle nicchie si trovano invece degli incavi rettangolari poco profondi, forse destinati ad ospitare elementi decorativi.

All’interno dell’ipogeo principale si aprono, inoltre, altre due stanze contrapposte, a pianta rettangolare, scavate ancora nelle pareti della cavità. Il locale identificato nel lato meridionale risulta profondo circa 3 metri, alto poco meno di 2 metri, e provvisto di una teoria di tre ulteriori nicchie realizzate a basso rilievo.
Sfruttando un’altra cisterna più piccola a pianta quasi circolare, nella stessa epoca venne ricavato anche l’altro spazio più modesto, che risulta unito all’ipogeo maggiore solo successivamente, e in seguito all’abbattimento di una parete divisoria.

Antica macchina da stampa

La riconversione della cisterna ad uso funerario richiese la realizzazione di un ingresso in quota, ricavato nello spessore roccioso e dotato di scalini, tuttora presente all’estremità occidentale del sito.

Nell’ultima fase di utilizzo l’ambiente venne abbandonato e riutilizzato presumibilmente come cimitero. Al suo interno rinvennero un consistente numero di scheletri umani, non integri, ma adagiati in deposizione secondaria, frutto probabilmente di una sistemazione di resti ossei trasportati e collocati nell’ipogeo da un luogo di culto situato nelle vicinanze.

Venne ritrovata anche una fossa di forma oblunga, realizzata forse in seguito alla prima defunzionalizzazione del locale. Nel coperchio di un sarcofago, un’iscrizione funeraria, databile tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C., ricordava una ragazzina di nome Valeria di quindici anni ( DM/VALERIA/VIX NN XV/[V] II_II P/PAJRENT/FEC ).

Dismesso in epoca tardo antica, l’ipogeo venne trasformato in discarica, finché, a partire dal medioevo, fu rioccupato e sfruttato in maniera intensiva. Dal XIII secolo ebbe anche una funzione militare, individuata in tutta una serie di ambienti da connettere ad alloggi chiaramente legati alle strutture difensive che impegnarono il sito fino all’età moderna. Nello specifico, sono ancora presenti una porzione occupata da una pavimentazione in pietrame, individuabile in varie pezzature, massi di riuso legati da malta e calce, e muretti realizzati in grossi blocchi che si ipotizza possano essere il residuo sopravvissuto di un trabuco, la macchina d’assedio e di difesa inserita nel bastione in età medievale.

Lo spazio in superficie venne invece utilizzato per la realizzazione di un edificio dotato di locali quadrangolari, che sembrerebbe aver conosciuto una continuità di vita, seppure con una sopraelevazione nel tempo dei piani d’uso.

Caratteri tipografici

Durante i raid aerei del febbraio 1943 gli spezzoni mutilarono gravemente la Terrazza Umberto I, mentre dai racconti orali non risulterebbero interventi distruttivi sul soprastante Bastione di Santa Caterina. Un ordigno caduto alla base del parapetto dello stesso bastione creò però una profondissima voragine nella sottostante loggia che comportò un trascinamento verso il basso degli strati di terreno superiori. Tali danni furono colmati da cumuli di macerie reperibili nelle immediate vicinanze, e dopodiché, anche sulla cavità sotterranea calò il silenzio per circa sessant’anni.

Oggi prospiciente la Terrazza di Santa Caterina si trova il bel caseggiato dai colori pastello dell’istituto comprensivo intitolato alla stessa santa senese.
Progettato dall’ingegnere Tito Ciaroli nel primo decennio del XX secolo, è una sobria costruzione di tre piani, poggianti su uno zoccolo in pietra bugnata, caratterizzati da cornici marcapiano. Le aperture che si dispongono simmetricamente rispetto all’ingresso principale hanno cornici diverse in ciascun livello, ma tutte ispirate al linguaggio classico con timpani e architravi. Un cornicione aggettante sormontato da vasi ornamentali conclude l’edificio, che ripete le stesse caratteristiche anche nei lati sulle vie Nicolò Canelles e del Fossario.

L’attuale plesso scolastico prende il posto della casa domenicana di Santa Caterina da Siena, edificata nel 1638 per volere di padre Francesco Tommaso Melis-Cao, e finanziata con una cospicua donazione elargita da una sua zia, donna Antonia Melis-Forest. Si ipotizza che l’antico convento possa essere stato a sua volta realizzato sulle fondamenta di un altro precedente e più antico impianto religioso, intitolato a Santa Maria degli Angeli.

Antico banco scolastico

L’antico convento sospeso sopra la città, che con gli archi del suo chiostro arrivava fin sopra il ciglio dello strapiombo dell’attuale via del Fossario, odorava dei profumi d’incenso e risuonava dei canti sacri che provenivano dalla chiesa portata a compimento nel 1641, affascinando spesso con il suono delle sue melodie chi si trovava a passare in prossimità dell’istituto religioso. Al suo interno ospitava anche delle giovani educande, appartenenti alle famiglie più in vista della città, alle quali veniva impartita un’educazione che non per tutte era finalizzata alla professione monastica.

La sera del 27 dicembre 1747 sulla città imperversava la furia di un uragano. Le fortissime raffiche di vento avevano paralizzato i cagliaritani, costringendoli a rintanarsi all’interno delle loro abitazioni, mentre fuori una pioggia ininterrotta batteva i vicoli e le anguste vie del quartiere, trasformando gli stretti camminamenti in fiumi d’acqua.
Le cronache dell’epoche raccontano che, alle 9 della sera, un luminosissimo lampo rischiarò a giorno la cupola del convento di Santa Caterina, e che dopo un insolito tonfo sordo la furia dell’eccezionale vento iniziò a moderarsi improvvisamente.
Ci volle un po’ prima che gli abitanti dell’antico borgo si potessero rendere conto di cosa fosse accaduto, e che l’intera ala est del complesso monastico si era sbriciolata precipitando nel sottostante terrapieno, che oggi è parte integrante della passeggiata di viale Regina Elena.

Il primo intervento di soccorso, che fu eseguito al buio e sotto la pioggia, avvenne nella più totale confusione da parte degli abitanti delle case vicine. Oltre ai morti, si contarono diversi feriti, e tra le suore, che per loro sfortuna erano ancora ospiti del convento in quel periodo di festività natalizie, se ne riuscirono a portare in salvo solo due.

Gabinetto dentistico

Lo sgombero delle macerie durò diversi giorni, poi si iniziò la ricostruzione dell’ala crollata, che venne però ripristinata a debita distanza dal ciglio dello strapiombo.

Nel frattempo, anche se in pessime condizioni, la parte del convento rimasto in piedi venne subito rioccupato da alcune suore, e nel 1899 era ancora abitato da due sorelle ultra ottantenni. Nel 1905, poi, deceduta anche l’ultima residente dell’edificio, tutta l’area e il complesso sopravvissuto al crollo vennero ceduti al Comune di Cagliari per risanare via Nicolò Canelles e prolungare la passeggiata del bastione.

Le demolizione avviata nel 1907, che porterà alla costruzione della scuola di Santa Caterina, non avvenne senza sorprese. Gli operai che si ritrovarono a lavorare presso il cantiere, all’interno di un profondo pozzo trovarono le spoglie di decine e decine di monache sepolte dentro una fossa comune. L’orrore di una tale scoperta fu però superato dal ritrovamento di due cadaveri di fanciulle con il capo mozzato. Gli scheletri, deposti in modo ordinato e ancora vestiti, appartenevano, come sembra, a due sorelle morte di qualche malattia a metà dell’800, e sepolte in tutta fretta nei meandri del convento sotto richiesta dei loro familiari.

Ingresso della cisterna punico-romana presente nei sotterranei dell’edificio scolastico

La scuola elementare di Santa Caterina, sorta in quella che allora era la piazza dedicata alla santa senese, oggi si affaccia su uno slargo che vuole rendere omaggio al professor Goffredo Angioni. Il piazzale vede probabilmente la luce già nel 1908, mentre il palazzo, che per motivi di sicurezza venne costruito con un ulteriore lieve arretramento rispetto al costone di roccia, non è possibile datarlo con precisione, poiché un incendio, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, ne distrusse parte dell’archivio riducendo in cenere una grande consistenza di documenti. È certo però che era già funzionante nel 1910, poiché, alcune immagini, in quell’anno lo ritraggono splendente per la potente illuminazione ottenuta con moltissime torce di bengala che ossequiarono la presenza del re Vittorio Emanuele II e della regina Elena in visita a Cagliari.

Oggi al suo interno si conserva una cisterna di epoca punico – romana, e possono essere visitati una classe con banchi, cattedra, lavagna e corredi scolastici d’epoca; un gabinetto dentistico risalente ai primi anni del Novecento, un’antica stamperia e diverse strumentazioni belliche.

La scuola di Santa Caterina nel lato di via del Fossario

Si è inoltre riusciti a risalire anche ai nomi delle sfortunate donne decedute in quel tragico 1747, mentre si recavano al coro per pregare: la sorella del Giudice D. Francesco Cadello, Suor Giacinta Deliperi, Suor Luigia Claveria, Suor Anna Bastida, Suor Giuseppa Manconi, Suor Giovannina Orrù, Suor Paola Maria Otgier, Suor Laurica Nin, Suor Anna Maria Deidda, Suor Anna Silvestre, Suor Dionigia Pastor, Suor Ignazia Pastor; mentre fra le educande non sopravvissero al crollo del convento Donna Pepica Solinas, Donna Caterina Solinas, Donna Pepica Manca, Luigia Delvecio, Agostina Terragona, Pepica Terragona, Pepica Puggioni, Maria Grazia Marcello.
Si salvarono solo Suor Peppa Galcerini e Donna Francesca Sanna.