Sotto sopra il Saint Remy

Muri medievali

Maestoso e dotato di forme eleganti e sinuose, offre molto alla vista, ma è tanto anche quello che le sue mura nascondono.

Il Bastione di Saint Remy, uno dei punti di interesse monumentale più celebri a livello turistico, venne edificato alla fine dell’Ottocento collegando i baluardi meridionali della Zecca, di Santa Caterina e dello Sperone, per unire il Castello ai borghi di Villanova e della Marina.

La grandiosa opera, seppur trasformata nel corso dei secoli, è quindi parte integrante dell’antica cittadella fortificata che cinge ancora l’attuale quartiere Castello: una roccaforte che sembrerebbe risalire all’inizio del XIII secolo, quando la Giudicessa Benedetta di Massa cedette il colle al Comune di Pisa dietro le forti pressioni di Lamberto e Ubaldo Visconti, rispettivamente giudice di Gallura e podestà di Pisa.

Questo avvenimento avviò un processo che, nella fase conclusiva, pervenne alla costruzione di una cinta difensiva dotata di torri circolari e quadrate ubicate nei punti nevralgici del tracciato, e alla realizzazione di altre tre poderose torri a difesa dei principali accessi: la torre di San Pancrazio a nord, quella dell’Elefante a ovest e quella del Leone a sud.

Nel 1326 la gestione delle opere di fortificazione passò nelle mani dei Catalani, ma le mura mantennero inalterata la struttura pisana fino al XV secolo. Le modifiche più importanti si ebbero infatti solo con l’avvento delle armi da fuoco, utilizzate per la prima volta in Sardegna in occasione della battaglia di Uras del 1470.

 

Muro medievale e più antico, realizzato in blocchi squadrati disposti secondo filari regolari e legati a secco

Di fronte ai cannoni e all’uso della polvere da sparo, il sistema difensivo di matrice medievale, caratterizzato da pareti verticali coronate da merli, si mostrava insufficiente. Occorreva pertanto abbassare le torri, potenziare gli spessori delle mura e realizzare strutture bastionate dotate di cordoni, cannoniere e pareti a scarpa dal profilo arrotondato, che avrebbero consentito di deviare i colpi in alto con effetti meno distruttivi. I nuovi baluardi dovevano inoltre essere in grado di sopportare il peso delle artiglierie e permetterne la manovra, mentre la difesa doveva essere articolata in una serie di ostacoli consecutivi e prevedere soprattutto la rispondenza tra i bastioni, in modo da poter effettuare il fuoco di infilata e il tiro incrociato.

 

La necessità di potenziare le fortificazioni urbane si manifestò concretamente all’inizio del XVI secolo, in seguito alla politica di espansione di Carlo V, entrato in conflitto con la Francia e la Turchia. La città di Cagliari fu quindi interessata, per tutto il secolo, da una serie di interventi che determinarono il nuovo volto delle strutture fortificate, da questo momento mantenuto pressoché inalterato fino alle demolizioni ottocentesche.

Canala di scolo

I primi bastioni, tra il 1491 e il 1508, vennero realizzati dal viceré Juan Dusay: quello di San Pancrazio a nord, quello di Santa Croce a ovest, quello del Balice a sud-ovest, e a sud-est quelli della Fontana Bona e del Leone, quest’ultimo non portato a compimento.

La mancanza di esperienza nel campo militare da parte del viceré non dovette però produrre risultati ottimali, dal momento che, di lì a poco, lo stesso Carlo V chiese un nuovo progetto da parte di professionisti del settore. Era il 1523.

Nella seconda metà del Cinquecento si assistette quindi al proliferare di tutta una serie di ulteriori disegni realizzati da importanti ingegneri militari, tra i quali figurano anche Rocco Capellino e i fratelli Paleari Fratino della scuola del Sangallo.

Dal XVI secolo il tratto meridionale del Castello venne difeso dal Bastione del Balice, dalla Cortina di Porta Castello e dal Bastione dello Sperone. Dai due baluardi, nei cui fianchi laterali erano ubicati i cannoni, veniva effettuato il tiro incrociato. Il lato est venne invece protetto dal fianco orientale del Bastione dello Sperone, dal Baluardo della Fontana Bona  e dal Bastione della Zecca. Quest’ultimo, denominato in origine Baluarte de Porta Villanova (o de los Caldereros), fu realizzato a ridosso del Bastione dello Sperone dal Capitano Xuarez, dal Capitano D. Juan Çanaguera e dal viceré D. Juan Coloma, dietro progetto di Jacopo Paleari Fratino. Nel XVII secolo, per un breve tempo ospitò anche la Zecca, circostanza che determinò la denominazione più nota.

Quanto al Bastione di Santa Caterina (detto anche Baluarte de la Ciudad, Terraple de la Fontana Bona e Baluarte del Trabuc), questo venne innalzato tra il 1530 e il 1532 sul fronte sud-orientale, e si estendeva tra l’attuale scuola di Santa Caterina e via Università.

Il Bastione dello Sperone (detto anche della Leona, de la Porta de la Leona, de la Porta de la Ciutat y Castel), venne invece iniziato al principio del 1500 per iniziativa del viceré Dusay. Tuttavia, il baluardo fu presto oggetto di critiche e ne seguirono una serie di suggerimenti per renderne più efficiente la difesa. In particolare, nel 1523, Francesco Ferdinando d’Avalos, Marchese di Pescara, e Gerolamo De Aragall nel 1551, consigliarono il suo prolungamento verso est, fino alle cortine di Porta Villanova (o de la Costa o de Llesques). In tal modo i suoi cannoni avrebbero potuto difendere quel lato del Castello fino a quel momento sguarnito di difese. Ad occuparsi della risistemazione furono dapprima Gerolamo De Aragall, e poi Rocco Capellino, che lo dotò di parapetto, cordone, cannoniere e orecchione.

Cunicolo gradinato

Secondo la trattatistica militare dell’epoca, il bastione avrebbe dovuto creare un corpo avanzato sul lato orientale, corrispondente a nord con l’erigendo baluardo sotto la Cattedrale, e a sud con quello presso il molo vecchio.
Il Capellino non riuscì però a rispettare le rispondenze, poiché il Bastione della Leona risultò di dimensioni ridotte e di conseguenza non adeguato alla difesa. A porre rimedio a tale situazione si impegnò l’ingegnere militare Jacopo Paleari Fratino, che lavorò a Cagliari nella seconda metà del Cinquecento.
Il Fratino si occupò anche della sistemazione dei baluardi realizzati in prossimità della Porta di Villanova e della Leona, della creazione di un camminamento per il passaggio delle artiglierie, e della costruzione della galleria che scorreva sotto il Bastione di Santa Caterina e che collegava la contrada del Balice (l’attuale via Università) con l’erigendo Bastione della Zecca, il tutto nel pieno rispetto delle corrispondenze. Lavori che furono portati a compimento tra il 1573 e il 1578.

 

L’accesso meridionale, che costituì nei secoli l’ingresso principale alla cittadella, era composto da tre cinte murarie che si aprivano con altrettante porte: quella della Torre del Leone, la cosiddetta Falsa Porta nel barbacane, e la Porta Castello (o Porta del Mare, ovvero l’attuale Porta dei Due Leoni), che si apriva nella contromuraglia. Quest’ultima, che costituiva la prima linea di difesa del Castello, muoveva dalla Torre dell’Elefante fino alla Falsa Porta del barbacane.

Porta Castello, in origine, doveva essere dotata di fossato, ponte levatoio e, come è possibile desumere da un documento iconografico del 1358, sormontata da un architrave. Oltrepassato questo ingresso si incontrava poi un sistema di ripide rampe scavate nella roccia, corrispondenti alle attuali via Università e De Candia.

Ingresso alla casamatta voltata

Tra il 1552 e il 1553, Rocco Capellino si occupò della sistemazione dell’antemurale (o cortina di Porta Castello), sul quale era intervenuto, nel 1503, anche il viceré Dusay.
Il Capellino lavorò nel tratto compreso tra la Porta del Leone e la bertesca medievale, che venne demolita proprio in quell’occasione.
La cortina muraria venne dotata di terrapieno, scarpa, parapetto, cordone e cannoniere. Servendosi di materiale di recupero, realizzò inoltre due orecchioni su ciascuno dei fianchi dei bastioni che davano alla Porta Castello. A coronare questi lavori, sopra la porta vennero sistemate due teste leonine, l’iscrizione commemorativa (eliminata poi nel 1765 e ora conservata nel Museo Archeologico Nazione di Cagliari), e lo stemma aragonese.
Da quel momento la porta venne ribattezzata Porta Duorum Leonum.

Lo spazio compreso tra il Bastione dello Sperone e la contromuraglia, entrambi risistemati da Rocco Capellino, fu occupato da un ambiente adibito a magazzino dell’artiglieria e della polvere da sparo, mentre un altro locale, ubicato oltre la Porta del Leone, fu sede del Corpo di Guardia della Porta Castello.
In particolare, il vano a ridosso dell’orecchione oggi è identificabile con una casamatta voltata, che ebbe la funzione di cannoniera, come dimostra l’apertura nel muro che si affaccia tuttora sulla via Spano.
In questo modo veniva a crearsi un sistema di difesa della porta meridionale, che prevedeva il tiro incrociato dei cannoni disposti nei fianchi laterali dei bastioni del Balice e dello Sperone.

Interno casamatta voltata, ebbe anche la funzione di cisterna

La casamatta adiacente all’orecchione dello Sperone cambiò nei secoli diverse destinazioni d’uso. Nel 1692, per ordine del viceré Lodovico de Moscoso Ossario Conte di Altamira, per un breve lasso di tempo fu adibita a carcere, per poi riprendere la stessa funzione nel 1755, quando si registrò un esubero di detenuti tale da ritenere insufficienti i locali presso la darsena. L’ambiente voltato della casamatta venne riservato al dormitorio in cui vennero sistemati, su più livelli, dei tavolati collegati tramite una scala lignea ubicata presso il fondo dell’ambiente. A nord si apriva invece un’area scoperta destinata a cortile. Tale disposizione rimase fino alla metà dell’Ottocento.

Tra il 1848 e il 1850, i carcerati furono trasferiti in altro ergastolo, mentre gli ambienti presso la Porta dei due Leoni vennero trasformati in cisterne pubbliche.
Il cortile dell’ergastolo venne coperto da una volta a botte, e furono scavati tre serbatoi per raccogliere l’acqua piovana proveniente dai bastioni soprastanti, nel frattempo lastricati.

Tra il 1873 e il 1924, il Corpo di Guardia di Porta Castello e la sala della cisterna furono ceduti alla Compagnia delle Guardie a Fuoco della città. In seguito, l’edificio fu occupato dall’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, e dall’Istituto del Nastro Azzurro. Dal 1990 divenne infine, ma per un tempo determinato, sede del Corpo di Polizia Municipale del Centro Storico.

 

Nel 1800 Cagliari svettava dal mare con le sue imponenti fortificazioni, le cui torri e i bastioni restavano a memoria delle vicende politiche e militari vissute dalla città nell’avvicendarsi dei vari dominatori: dai pisani ai genovesi, dagli aragonesi agli spagnoli fino ai piemontesi. Chiunque, pertanto, avvicinandosi alla costa, non poteva che rimanere affascinato nell’osservare dal mare il particolare profilo della città.

Tale fu anche la reazione del viceammiraglio della marina francese, Jurien de la Gravière, che nella sua opera “La Sardaigne en 1842” descrisse con precisione Cagliari.

Ai suoi occhi, la collina del Castello appariva come un’acropoli dotata di una posizione ancora strategicamente favorevole, poiché il suo colle continuava ad essere dotato di una forte pendenza che ne rendeva difficile la scalata; ma la stessa fonte documenta anche un elemento fondamentale: ormai la città aveva perso la funzione difensiva e militare e gli stessi bastioni iniziavano ad essere trasformati in passeggiate pubbliche, primo fra tutti quello di Santa Caterina.

 

Galleria di collegamento tra le cannoniere. Sul soffitto le aperture per il ricambio dell’aria. Ebbe anche la funzione di dormitorio carcerario; sulle pareti sopravvivono ancora i fori di aggancio dei tavolati. Sullo sfondo, le arcate di termine della struttura medievale della più antica cittadella fortificata

Fin dall’inizio del XIX secolo, già prima del decreto regio della seconda metà dell’800 con il quale si abolivano le piazzeforti, a Cagliari si assistette a una riconversione della destinazione d’uso delle strutture fortificate, poiché coinvolte in tutta una serie di interventi volti all’abbellimento della città.

Il “Regolamento generale per i consigli degli edili delle città del Regno di Sardegna” del 1840, e il Piano Regolatore di Gaetano Cima, portavano già indicazioni in tal senso, con riferimenti al lastrico stradale, alla conservazione delle pubbliche passeggiate, all’illuminazione notturna e all’approvvigionamento idrico.

Tuttavia, l’esigenza di decoro urbano, maturata nel corso dell’800, riuscì a sfociare solo con il progetto di Giuseppe Costa, e si concretizzò con la realizzazione del complesso del Bastione di Saint Remy e della Passeggiata coperta.

Si intervenne in un punto nodale della cittadella, il fronte sud-orientale, riprendendo comunque il suggerimento di Gaetano Cima che voleva la creazione di una facciata monumentale e la realizzazione di scalinate culminanti con un arco trionfale che mettessero in collegamento i quartieri di Villanova e Marina con il Castello.

Arcate di termine della più antica cittadella fortificata

Per tale fine, fu necessario abbattere alcuni tratti delle strutture difensive preesistenti, tra le quali il Bastione della Zecca con la sua cannoniera in casamatta e il suo basso fianco, e parte del Bastione dello Sperone. Si dovette realizzare anche un lastrico pavimentale che legasse tra loro ciò che restava del Bastione della Zecca, dei Baluardi di Santa Caterina e dello Sperone, sotto il quale dalla metà dell’Ottocento era tra l’altro già stata sistemata una cisterna per la raccolta delle acque percolanti.

Tra il 1899 e il 1902 nasceva in questo modo il Bastione di Saint Remy, da quel momento fulcro di Cagliari, e oggi tra le immagini simbolo della città.

 

Un’imponente e ripida scalinata, che parte dalla piazza Costituzione, adesso accompagna i coraggiosi avventurieri all’interno delle antiche mura del quartiere Castello, una salita che arriva fino alla maestosa terrazza Umberto I, ma che conduce anche alla Passeggiata coperta, un vasto ambiente dipinto, costituito da una pianta a tre navate, illuminato da 11 finestroni e coperto da solaio piano.

La Passeggiata coperta, conosciuta anche come “Galleria Umberto I”, durante i primi anni del Novecento divenne uno dei luoghi preferiti e più frequentati dai cagliaritani, ma nel corso della sua vita conobbe anche altre destinazioni d’uso.
Da infermeria durante la Prima Guerra Mondiale, a sede delle Scuole Complementari nel 1922, ospitò poi il festival “Primavera Cagliaritana”, e nel 1936 la mostra sull’autarchia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale vi fu collocato un ufficio del Ministero del Tesoro, diede quindi alloggio ai senzatetto, e nel 1949 fu destinata a sede della prima Fiera Campionaria della Sardegna. Molteplicità di destinazioni d’uso ebbero anche le arcate di sinistra, occupate prima da un comando dei Vigili Urbani, e poi dalla banda cittadina.

 

Particolari delle arcate della cannoniera

Durante gli ultimi decenni sono state svariate le indagini archeologiche condotte nel complesso, così come sono state altrettanto numerose le dimostrazioni di ricchezza contenute al suo interno, dove la continuità di vita e l’importante ruolo storico e politico rivestito dalla città di Cagliari nel corso dei secoli, hanno determinato un’intensa frequentazione e l’avvicendarsi di innumerevoli finalità di utilizzo.

Un altro aspetto piuttosto significativo è poi la presenza di numerose fonti di diversa tipologia, da quelle scritte, a quelle cartografiche, fino alla fotografia storica, che insieme, hanno determinato un intreccio di informazioni che, affiancandosi al dato archeologico, sono confluite in una salda ricostruzione, in cui ogni fase riveste un grande fascino: da quella punico-romana con la cisterna, a quella medievale con le mura pisane, la cava di blocchi e i percorsi viari; da quella spagnola con le strutture bastionate, fino a quella ottocentesca con il recupero di diversi aspetti della vita quotidiana di un passato non tanto lontano.

 

Cannoniera di Rocco Capellino. La struttura circolare è stata interpretata come piattaforma per sollevare i cannoni

La parte più intima del complesso monumentale di Saint Remy custodisce preziosi ritrovamenti che narrano la frequentazione del sito, e per farsi un’idea dell’importanza del luogo, al visitatore basterebbe osservare anche solo le strutture murarie individuate nella sezione alta del limite ovest della Passeggiata coperta.

In questo punto correvano le antiche fortificazioni del lato orientale che, fin dalla fase pisana, si presentavano meno spesse rispetto al resto dell’impianto difensivo grazie alla conformazione del colle, che da questa parte era particolarmente impervio. Ma è ancora presente anche un altro poderoso muro realizzato in grossi blocchi squadrati di calcare, disposti secondo filari regolari e legati a secco, che interrompe il suo percorso verso sud e che potrebbe identificarsi con la prima cinta realizzata all’inizio del XIII secolo.

Su di essa si appoggia un’altra struttura muraria costituita da bozze di pietrame calcareo disposto in maniera irregolare, che nella parte alta mostra chiaramente le tracce di risarcimenti posteriori.

È verosimile, quindi, che la seconda struttura possa essere parte integrante delle modifiche intervenute agli inizi del XVI secolo, quando l’impianto difensivo della cittadella fu adeguato alle nuove esigenze protettive conseguenti alla diffusione delle armi da fuoco.

Porzione della via delle forche

Fra i resti murari è stata individuata anche una canala di scolo situata nel limite sud, che andrebbe ad aggiungersi agli altri dati materiali annotati in una relazione che menziona, per il 1577, l’intervento di Jacopo Paleari Fratino, cui era stata affidata la ricostruzione di questa parte delle mura in seguito a dei crolli causati da infiltrazioni idriche, verosimilmente provenienti dalla soprastante Fontana Bona. In tale occasione, il Fratino inserì le cosiddette “sangraderas”, canali di sfogo che, consentendo il deflusso delle acque, avrebbero dovuto evitare il ripetersi del fenomeno.

 

Come ogni cittadella fortificata, anche la piazzaforte del Castello fu dotata di cunicoli a scopi militari, le cosiddette mine e contromine, rispettivamente gallerie di offesa e di difesa, la cui introduzione a Cagliari risalirebbe alla seconda metà del XVI secolo per volontà di Filippo II.

In alcuni casi i cunicoli furono scavati per l’occasione, in altri sfruttarono cavità precedentemente utilizzate per scopi idrici. Alcuni di essi erano situati presso l’angolo della chiesa delle Monache Cappuccine e il Bastione del Balice, un altro fu individuato sotto il Bastione dello Sperone, e un altro ancora portava alla base della Cortina di Porta Castello e confluiva in un ambiente quadrangolare sotterraneo, una sorta di cannoniera coperta.

Il basso fianco meridionale del Bastione della Zecca, addossato al Bastione dello Sperone, era collegato con quest’ultimo attraverso una galleria sotterranea, il cui accesso è ancora visibile nelle fotografie d’epoca della fine dell’Ottocento, che ritraggono i baluardi del lato sud-orientale di Castello prima della costruzione dell’attuale Bastione di Saint Remy.
A progettare questi percorsi ipogei fu verosimilmente Jacopo Paleari Fratino.

I documenti d’archivio mettono in evidenza sia i percorsi dei cunicoli che le vie d’uscita, e descrivono un ambiente quadrangolare sotterraneo, scavato nella roccia e originariamente coperto da una volta a botte. L’ingresso al vano avveniva da nord attraverso un cunicolo gradinato e aperto tramite una feritoia localizzata a sud-est.

Lo spazio anulare situato al di sotto della scalinata monumentale dell’attuale Bastione di Saint Remy conserva invece i resti della cannoniera iniziata dal Capellino e ampliata dal Paleari poco più di vent’anni dopo. Si tratta di un ambiente a pianta rettangolare, voltato a botte, e orientato in senso nord-est/sud-ovest.

 

Galleria di collegamento

Quando, alla fine dell’Ottocento, si decise di realizzare la scalinata del Bastione di Saint Remy, la porzione sud-occidentale delle antiche strutture venne demolita per lasciare spazio alle fondamenta della nuova costruzione. Tuttavia, sul lato nord-ovest, si individua ancora un ambiente che comunica con la cannoniera tramite un accesso voltato a botte.
Si tratta di una sala che originariamente doveva essere dotata di una ricca decorazione architettonica, come dimostrano i resti della volta a crociera, in un secondo tempo sostituita da un solaio piano.

Nella stessa area, inoltre, è presente anche parte di una cisterna ascrivibile al periodo punico o romano, una cava di blocchi calcarei e due percorsi viari di epoca medievale.

La cisterna si presenta ancora rivestita da un cocciopesto di ottima fattura e, allo stato attuale, presenta una forma troncoconica. La parte superiore venne tagliata, quando, in epoca successiva, nel sito fu impiantata una cava di cui restano le incisioni praticate nella roccia per estrarne i blocchi. Nel momento in cui venne edificata la casamatta del Bastione dello Sperone, nel XVI secolo, la cisterna venne riempita di macerie e coperta da muri che sorreggevano un sistema ad archi su cui poggiava la piattaforma di manovra dei cannoni. A ridosso della cisterna, e obliterata dalle strutture murarie della cannoniera cinquecentesca, si può ancora identificare anche la cava di blocchi, che altro non era che una piccola porzione di uno scavo a cielo aperto di maggiori dimensioni, che verosimilmente doveva svilupparsi verso sud.

Particolari dei resti murari

Uno dei due percorsi viari individuati è formato da una strada acciottolata, costituita da pietrame di fiume allettati su uno strato di terra e calce con andamento N/S. Si presume possa trattarsi della via che metteva in comunicazione la cittadella fortificata di Castello con gli altri borghi di Villanova e della Lapola. La strada conduceva al luogo in cui era sistemato il patibolo, situato oltre la porta che introduceva a Villanova, e sembrerebbe essere stata realizzata entro il XV secolo. Successivamente, quando poi in questo punto venne edificata la casamatta, venne ricoperta da uno strato di calce e su di essa vennero impostate le strutture murarie della nuova fortificazione.

In evidenza vi è anche un altro percorso viario in cui si possono osservare chiaramente i solchi lasciati dalle ruote di carro. Questa strada, il cui uso va ascritto ad una fase precedente all’acciottolato, doveva collegare presumibilmente Castello con Lapola. Dalle fonti si evince che metteva in comunicazione i due borghi, che presentava un percorso lungo e sinuoso, e che sembrerebbe corrispondere almeno parzialmente alle attuali vie Barcellona e Manno.

I profondi solchi lasciati dai carri testimoniano che la strada venne percorsa a lungo e con mezzi pesanti. È noto infatti che i carri dell’epoca erano dotati di ruote piene e dentate per superare la forte pendenza, che erano trainati da buoi e che percorrevano di continuo tracciati prestabiliti.

Attraverso questa strada dovevano quindi giungere in Castello i prodotti agricoli e ogni altra mercanzia, poiché è risaputo che la porta meridionale aveva costituito per secoli il solo accesso principale alla città per scopi commerciali, dal momento in cui era vietato qualunque ingresso dalla Porta di Altamira, se non per ragioni militari.

 

Interno della Porta Duorum Leonum

I dati stratigrafici dimostrano l’esistenza di almeno due fasi dell’ambiente, cui corrispondono un diverso impianto e differenti piani di frequentazione.

Nella prima, l’ambiente era più largo e delimitato da muri ricoperti da uno spesso strato di intonaco. Nella seconda, invece, vennero tirate su altre strutture murarie, realizzate in grossi blocchi squadrati, che andarono a restringere il complesso. Ciò è dimostrato da tutta una serie di tamponamenti murari, la cui rimozione, avvenuta durante i lavori archeologici del XXI secolo, ha permesso di riscoprire una parte dell’impianto originario.

La cannoniera venne utilizzata fino alla fine del XIX secolo, quando, in seguito all’abbandono del carcere e alla sistemazione dei serbatoi idrici, dovette conoscere forti rimaneggiamenti. Durante l’ultimo scavo archeologico è stato messo in luce anche un butto che ha restituito una quantità straordinaria di materiali che documentano molti aspetti della vita quotidiana della fine del XIX secolo: ceramiche di produzione locale e di importazione siciliana, recipienti in vetro e metallo, piccole cornici, i resti di una sveglia e di una piccola cassa lignea, utensili da lavoro e oggetti legati all’abbigliamento personale. Tra i reperti elencati nell’inventario, tuttora presente negli archivi della Soprintendenza, vi è segnalata anche una lanterna in bronzo, ancora dotata di un piedistallo in ferro. È verosimile ipotizzare che il reperto rinvenuto sia ascrivibile ad una delle prime lucerne utilizzate nel quartiere. È noto infatti che l’illuminazione notturna a Cagliari fu introdotta solo all’inizio dell’Ottocento, utilizzando lanterne a olio. Erano verosimilmente di piccole dimensioni e dovevano fornire una luce piuttosto fioca, tanto che venivano spostate secondo la necessità. Solo più tardi, nel primo quarto del secolo, venne approvato il progetto della Società Agraria ed Economica di Cagliari di illuminare con lanternoni l’intera città, in sostituzione delle luci poco funzionali collocate in precedenza.

A sinistra: la Porta Duorum Leonum; a destra: l’ingresso alla casamatta voltata, che ebbe anche la funzione di cannoniera

Un altro reperto di particolare importanza è il blasone della città di Cagliari. Si tratta dello stemma araldico introdotto in seguito alla concessione di Carlo Emanuele II nel 1766, che decretò la sostituzione delle armi aragonesi con quelle dei Savoia, rappresentate dalla croce bianca su campo rosso.

 

La parte meno conosciuta del monumentale Bastione di Saint Remy oggi è uno dei percorsi archeologici più interessanti della città. È uno spazio affascinante che fin dalla sua realizzazione ha continuato a snodarsi silenzioso attraverso ambienti rocciosi che trasudano secoli, ma dove è ancora possibile riscoprire la storia di una parte delle antiche fortificazioni dei bastioni e della storia di una Cagliari che non esiste più.

 

Riferimenti bibliografici:
Cisci Sabrina – Cagliari, Bastione di Saint Remy.
Indagini archeologiche presso il complesso monumentale Passeggiata Coperta – Porta dei Due Leoni.
ArcheoArte, 1,117-143.
http://archeoarte.unica.it
sabrina.cisci@beniculturali.it