Via dei Genovesi: l’antica rua Cominal

A sinistra, la parte finale di Palazzo Brondo Zapata, Palazzo de Candia e Palazzo Sanjust Cutis. A destra, Palazzo Rossi.

Si snoda stretta, sempre più stretta, tra due file di palazzi storici, seguendo parallela via La Marmora.
È una strada antica, tanto quanto può esserlo la città medievale di Cagliari, e con il suo andamento leggermente sinuoso attraversa il quartiere Castello in tutta la sua lunghezza, dall’antica Torre del Leone fino agli ultimi scampoli della cortina di San Guglielmo.

Via dei Genovesi nasce in epoca pisana, ed è parte integrante del progetto di fondazione del Castrum Calari. In quegli anni la contrada aveva preso il nome di Rua Cominal, e tale appellativo rimase anche quando gli stessi pisani lasciarono la città per far spazio ai catalano aragonesi, che in un primo momento si limitano solo a tradurre il nome della via in Carrer (o Calle) Comunal.

Confluenza con via San Giuseppe

Nel XIV secolo, con la fine del predominio di Pisa, cominciarono a farsi numerosi anche i mercanti provenienti dal capoluogo ligure, una presenza che si dimostrò costante fino al XVI secolo.
Durante la dominazione spagnola, grazie anche ai rapporti economici e finanziari che la repubblica della lanterna intratteneva con la penisola iberica, i genovesi poterono godere a Cagliari di particolari benefici.
S
i distinguevano dalla popolazione sarda perché concentrati in un apparato separato con propri consoli che li tutelavano, avevano il privilegio di poter parlare e scrivere i loro atti in italiano, e vantavano dell’appoggio di un’Arciconfraternita molto potente, sorta oltre che per scopi religiosi, anche per finalità solidali, di carattere corporativo, mutualistico ed assistenziale.
Avevano anche una propria chiesa, edificata durante il 1599 nel pietroso sentiero di campagna che conduceva fino all’ospedale di Sant’Antonio Abate, ed intitolata ai Santi Giorgio e Caterina.

La comunità dei mercanti genovesi in città diventò pian piano sempre più numerosa, tanto che ad un certo punto fu necessario trovare un luogo dove concentrare non solo gli abitanti che continuavano a giungere da oltremare, ma anche la costruzione delle loro nuove abitazioni.
Nel periodo di giurisdizione pisana erano state pochissime le schiere di case realizzate in questa via, e la cultura urbanistica lungo il suo percorso vedrà la sua vera espansione proprio con l’arrivo dei genovesi. Coloro che riuscirono ad espropriare le primitive abitazioni, sostituirono alle facciate con ballatoi in legno nuove forme architettoniche, con decorazioni sia alle finestre che ai portoni; altri, invece, si impegnarono ad edificarne di nuove, decorose e anche di pregio, benché nessuno riuscì mai a concretizzare sfarzosi capolavori.
Fu questo il motivo per il quale i genovesi riuscirono a lasciare il loro segno in città, e ne poterono scalfire addirittura il nome su una strada.

In alcuni documenti, datati tra l’inizio del XIV e la metà del XVI secolo, via dei Genovesi è citata anche con il nome di Calle de Los Palacios (la via dei Palazzi), forse proprio per la scelta degli abitanti liguri di far sorgere le loro  dimore lungo quello che ancora era solo un polveroso viottolo di passaggio.

Fu poi solo dopo il 1752 che la contrada riprese l’antico nome di Carrer Comunal, pur senza mai perdere del tutto la denominazione più antica di Carrer dels Geneves. Quando invece il Castello perse la sua funzione di piazzaforte militare e centro direzionale delle funzioni pubbliche, la strada fu di nuovo e soltanto via dei Genovesi.

Ruderi Palazzo Aymerich

Oggi, passeggiando per questa strada si possono ancora osservare diversi palazzi di una certa importanza, su cui campeggiano gli stemmi scolpiti in pietra di alcune famiglie nobiliari. A richiamare l’attenzione sono però anche certi portoni d’ingresso e i numerosi balconcini in ferro battuto che, pur nelle loro frammentarietà, sono spesso le uniche testimonianze di uno stile e di un’epoca ormai tramontata.

Il percorso permette di addentrarsi nel reticolo di vicoli stretti e trasversali che la mettono in comunicazione con le altre vie del quartiere, ma anche di scrutare piccoli dettagli incastonati nelle facciate degli edifici più antichi.

Attraversandola, la sensazione più diffusa è tuttavia quella di una strada che ha conosciuto epoche gloriose, ma che ora, dopo la seconda guerra mondiale, che con i suoi bombardamenti ha lasciato profonde cicatrici nel tessuto di questo luogo, sembra destinata ad essere avvolta dal silenzio di una città che l’ha dimenticata, nonostante il restauro di singoli palazzi ricomincino a rivelare tutto il suo splendore.

La gran parte degli edifici nobiliari realizzati lungo la strada, che spesso presentano ancora un doppio affaccio, affondano le loro radici nell’ultimo medioevo. Vale lo stesso per il tratto iniziale sinistro di via dei Genovesi, che viene infatti a crearsi solo dopo l’estensione del Castello verso sud, con un allungamento reso possibile durante il XVI secolo grazie alla demolizione di un tratto della cinta muraria pisana, che all’epoca collegava ancora la Torre del Leone con quella dell’Elefante.

A destra, Palazzo Falqui Casa di Vidal

In quello spazio, la facciata posteriore di Palazzo De Candia, realizzato intorno alla metà del XIX secolo sopra un modesto edificio preesistente, fu costruita proprio sulle antiche mura sfruttando il salto di quota del terreno, che su via Università è di circa nove metri.
In questo palazzo vi abitò donna Caterina Grixoni, vedova de Candia e madre del grande tenore Mario. L’ultimo erede rimasto vendette l’edificio all’avvocato Francesco Muntoni nel 1898, che lo abitò fino agli anni Cinquanta del Novecento. In seguito il palazzo fu ceduto ad un ordine religioso. Nel 1968, ad acquistarlo fu Benedetta Imeroni Inserra che vi dimorò con la famiglia fino a quando fu trasformato in un elegante bed and breakfast.
Nelle pareti e nella soffitta del primo piano del palazzo sono ancora presenti gli affreschi e i dipinti murali originali, voluti da Mario de Candia durante la ristrutturazione del 1846.

Posto di fronte, nella confluenza tra via dei Genovesi e La Marmora, si erge invece Palazzo Rossi. Si tratta di un edificio maestoso che, realizzato presumibilmente intorno alla seconda metà dell’Ottocento, rivela ancora alcuni dei caratteri tipici dell’architettura neoclassica. Oggi si presenta diroccato, e avrebbe necessità di un’iniezione di denaro molto potente per riuscire a perdere l’aria sinistra che lo caratterizza.

Al suo fianco si erge l’ex Casa di Rosso, un edificio fatto costruire dal ricco mercante genovese Giovanni Antonio Rosso durante il XVII secolo. Membro dell’Arciconfraternita dei Genovesi, è ricordato per le cospicue offerte e donazioni in favore della chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, e per aver ottenuto in cambio il giuspatronato sulla terza cappella a destra del tempio, dedicata alla Madonna delle Grazie. Alla morte di don Giovanni, gli succedette prima sua figlia, donna Isabella, e poi la nipote donna Angela Aurame Rosso, che, per donazione testamentaria, nel 1749 lasciò il palazzo al Collegio di San Giuseppe, retto dai padri Scolopi.
Con la soppressione degli ordini religiosi, nel 1866 venne incamerato nel “fondo asse ecclesiastico” dello Stato, divenendo sede degli Uffici del Genio Civile e della Conservatoria delle ipoteche.  La facciata dell’immobile venne ridisegnata attorno al 1870 dall’architetto Gaetano Cima, poiché interessata nel progetto di allargamento stradale, mentre oggi, completamente restaurato, è di proprietà di privati.

Via dei Genovesi

Arrivati alla confluenza con via San Giuseppe, la strada inizia a restringersi per la prima volta.
Quando ancora la città era una piazzaforte militare, per conformarsi all’atteggiamento della cultura urbanistica ottocentesca, venne predisposto un primo ridisegno del tessuto storico urbano della via dei Genovesi, che prevedeva un ampliamento delle sezioni stradali a svantaggio degli edifici esistenti.
Il progetto venne ripreso anche da Gaetano Cima nel 1858, e, inserito nel Piano Regolatore della Città di Cagliari, contemplava, per la stessa via dei Genovesi, un arretramento dei fronti edificati e la ridefinizione di nuovi allineamenti, con un allargamento regolare a cinque metri della contrada.
Il piano fu però realizzato solo in parte, tanto che le demolizioni previste per gli edifici privati rimasero perlopiù sulla carta, interessando solo alcuni lotti.

Il risultato odierno è una via che corre con un andamento discontinuo degli allineamenti dei fronti, ben lungi dall’ideale teorizzato e disegnato da Gaetano Cima.

Portico Vivaldi Pasqua

La porzione urbana prospiciente il vico I dei Genovesi ospita quello che un tempo era Palazzo Aymerich, e del quale oggi, a custodire il cuore disintegrato dai bombardamenti del 1943, rimangono solo le mura esterne. Il rudere annerito dal tempo adesso è storia e cronaca, e ogni lembo superstite di tracce antiche ricorda ormai un passato che il visitatore può solo immaginare. Ferito e cadente, a lui ci si imbatte per caso o curiosità, e chi ne ignorasse la storia potrebbe fermarsi e fantasticare come la dimora poteva essere un tempo.

La costruzione originaria fu di proprietà del casato dei Castelvì, e il documento più antico finora rinvenuto, e concernente quello che poi sarebbe divenuto Palazzo Aymerich, risale al 1569. L’incartamento fa riferimento alla compravendita di varie e distinte porzioni di immobili da parte del marchese Giovanni di Castelvì, il cui intero patrimonio familiare poté poi passare in capo ad un ramo della discendenza degli Aymerich nel 1743, a seguito del matrimonio avvenuto fra Don Gabriele Antonio e Donna Maria Caterina di Castelvi y Sanjust, e alla successiva morte del loro figlio Antonio Giuseppe, con la quale si esaurì il ramo dinastico.
L’impianto attuale di ciò che rimane dell’edificio venne realizzato sopra un substrato di origine medievale, accorpando e operando una fusione di più strutture abitative. Il palazzo, collocato a cavallo tra due principali vie del Castrum, aveva il suo lato nobile nell’ala rivolta verso via La Marmora, costituita da un piano terra e due ulteriori livelli, mentre sulla via dei Genovesi lo stabile era costituito da un piano terra e altre cinque quote. Le due antiche vie erano unite da un portico inizialmente destinato a via pubblica che, già presente nella trasformazione ottocentesca, fu inglobato nel complesso edilizio divenendo invece un sottopassaggio pedonale privato, nonostante la toponomastica novecentesca facesse ancora riferimento al Portico Laconi come ad una via pubblica.
Con la soppressione e la liquidazione dei feudi, avviata a partire dal 1835, le famiglie nobili ottennero cifre piuttosto alte per la cessione delle loro proprietà, e ciò permise all’erede marchese Ignazio Aymerich di Laconi, senatore del Regno, di sostenere la risistemazione dell’intero palazzo. Sono in tanti a ritenere che fu l’architetto Gaetano Cima l’artefice dei lavori, e che fu quindi lui a trasformarlo in uno degli edifici più imponenti dell’intero quartiere Castello, poiché, oltre che di maestosi appartamenti, poteva vantare anche di botteghe, scuderie e rimesse.
L’edificio rimase di proprietà della famiglia Aymerich fino al 1935. Dopodiché, il nuovo proprietario, Adolfo Puxeddu, lo fece frazionare in diverse unità immobiliari, ma riuscì a godere dei suoi frutti solo finché i bombardamenti del 1943 non lo ridussero in macerie. Per il palazzo si prospettò più volte l’intenzione di una ristrutturazione, ma questa purtroppo non è mai avvenuta.

Palazzo Asquer Zapata

Alcuni metri più avanti la strada subisce un secondo brusco restringimento. A farne le spese è soprattutto il Palazzo Falqui Casa di Vidal, il cui prospetto viene tagliato e arretrato solo per metà.

D’ora in avanti la strada si presenterà quindi più larga scendendo verso sud e, al contrario, decisamente più sottile, salendo in direzione nord. La sospensione del progetto del Cima permetterà ad alcuni palazzi di rimanere integri, e di conservare piccoli dettagli che sarebbero altrimenti scomparsi con i ridisegni di nuove facciate.

La via continua stretta, e in questo tratto è ancora più affascinante.

Subito dopo l’incrocio con ciò che rimane del portico Vivaldi Pasqua, spicca uno dei palazzi più antichi di Cagliari. Di forma classicista, del Palazzo Asquer Zapata, datato XVII secolo, oggi rimane però solo l’ala destra, risparmiata dagli spezzoni americani lanciati durante la Seconda Guerra Mondiale. Poco prima del suo attuale portale d’ingresso,  su cui è stato ricollocato l’antico stemma in marmo dei marchesi Zapata, è presente una semicolonna annerita dal tempo che in origine costituiva parte dell’antico portale andato distrutto nel 1943. Al di sopra del capitello corinzio corre un architrave che sembrerebbe formare un fregio liscio, oltre il quale si nota ancora l’imposta di un timpano triangolare che doveva essere verosimilmente spezzato,  in maniera da poter ospitare al suo interno lo stemma nobiliare, ora rimontato sopra il nuovo portone. La colonna e l’angolino del timpano sovrastante sono tutto ciò che rimane di quello che doveva certamente essere uno dei più bei portali dell’antico borgo del Castello.

Un paracarro, testimonianza di un’epoca ormai tramontata

Tra prospetti scrostati e altri più freschi di tempera, resistono al tempo anche tanti paracarri.
Sono diversi, realizzati in pietra o granito, e posizionati qualche secolo fa nella parte bassa degli angoli della stretta porzione della via, nel tentativo di salvare lo spigolo di un palazzo e l’entrata di un ingresso a portico dagli urti provocati dalle ruote dei carri, o  per indicare a chi guidava le carrozze dove finiva la carreggiata. Strategici in passato, restano oggi come testimonianza di un’epoca tramontata.

La via è lunga, e continua a regalare sorprese. Spesso ci si sofferma a osservare i portali e gli stemmi dei più antichi palazzi, ma quello che potrebbe davvero sorprendere, spesso, sta al di là della soglia, oltre quella barriera che non è sempre facile allo sguardo: il vestibolo. Luogo in cui le carrozze delle nobili famiglie si fermavano per far scendere e salire le personalità di spicco del periodo. Luogo intermedio fra pubblico e privato. Preludio allo scalone e al salone d’onore. È uno spazio che, all’interno delle dimore nobili cittadine, ha sempre sottolineato il prestigio del costruito, anticipando l’eleganza e lo sfarzo delle zone di rappresentanza.

E poi, ancora scalette, vicoli e portici, come quello intitolato ad Alberto La Marmora, che oggi è una scorciatoia di collegamento tra la via omonima e la via dei Genovesi, ma che, in epoca medievale, segnava probabilmente il limite orientale dell’area della Giuderia, chiudibile in corrispondenza del piccolo altare visibile nella parete destra.

Ingresso Palazzo Cao di San Marco. Lo stemma della famiglia, scolpito sul balcone, ritrae due delfini e un gabbiano nell’atto di nuotare (Cau, in dialetto campidanese, significa gabbiano).

Sicuramente di pregio e al termine del percorso, sono degni di nota anche Palazzo Siotto e Palazzo Cugia.
Il primo, realizzato durante i primissimi anni della seconda metà dell’Ottocento, oggi è sede della Fondazione Giuseppe Siotto, istituita con legato testamentario nel 1986 con l’intento di promuovere lo studio e la diffusione della storia sarda. L’edificio, che anticamente era appartenuto prima agli Alagon e quindi, nel XIX secolo, ai Floris Thorel, fu acquistato da Giuseppe Siotto durante la metà degli anni ‘20 del Novecento, che lo ristrutturò e lo utilizzò come dimora cittadina. Oggi la fondazione mantiene a sua disposizione due piani dello stabile, il giardino e l’ampia terrazza superiore. Un altro piano è invece destinato a spazio museale, a salone per le conferenze, e a biblioteca, con testi rari del Cinquecento; al suo interno è conservato anche un archivio storico e fotografico di alto valore.

Inglobato nel basamento di fondazione del palazzo, è stato ritrovato un pozzo di epoca medievale profondo oltre dieci metri, realizzato presumibilmente ampliando una preesistente cisterna di epoca romana.

Sala del Biliardo, Palazzo Siotto

Per un breve momento, già sede della Reale Udienza, Palazzo Siotto ospitò anche la Procura Generale del Re.

Poco più avanti, si erge invece Palazzo Cugia, conosciuto anche come Palazzo Nieddu o Palazzo dei Conti di Quirra. Lo stabile, oltre all’affaccio principale di via dei Genovesi, prospetta anche sulle via Santa Croce e via Stretta. La parte terminale di quest’ultima strada (l’antica Carrer del Vì(no)) durante l’Ottocento venne inglobata nel palazzo e, chiusa da un portale,  permetteva di accedere a due ampi locali, probabilmente, un tempo, adibiti a stalle o a posteggio per le carrozze.

Le notizie più antiche sull’edificio risalgono al 1598, come attestano alcuni documenti presenti all’interno dell’Archivio di Stato di Cagliari, ma testimoniate anche dallo stemma dei Carroz Centelles (primi fruitori della struttura) che protende ancora oggi sul balcone principale del palazzo.
Altre carte successive ci raccontano invece che, quasi un secolo dopo, alcuni locali del palazzo furono dati in affitto e adibiti a magazzini per il grano e per il formaggio. Dopodiché, e fino al riscatto dei feudi, ospitò la Curia del Marchesato di Quirra, per poi essere acquistato, dopo vari subentri, dall’avvocato Pietro Nieddu. Nel 1830 l’edificio subì numerosi interventi architettonici, sia agli interni che alla facciata. Nel 1860 don Pietro Nieddu, a fronte di alcuni obblighi contratti, cedette il palazzo alla Marchesa di Quirra, che rivendette l’edificio a don Gavino Nieddu e a sua moglie Enrichetta Cappai Rossi. Nel 1919 il palazzo fu diviso fra gli eredi, e nel 1979, infine, una parte del casamento viene ceduta all’Università degli Studi di Cagliari, mentre un’altra porzione dello stabile continua ad essere degli Amat di San Filippo.
Oggi la facciata di Palazzo Cugia si mostra con il suo stile neoclassico realizzato dal Cima, e si articola su due piani alti e un piano terra; al centro, un grande portale introduce in un androne ampio, con volta a botte; sul fondo, e dopo il primo pianerottolo, uno scalone centrale si suddivide invece in due rampe fino a raggiungere il piano nobile.
Sopra il portale si staglia l’unico vezzo: un maestoso balcone dalla ringhiera in ferro battuto sormontato dallo stemma dei Carroz Centelles Marchesi di Quirra. Gli interni del piano nobile, benché oggetto di recenti interventi di restauro, in parecchie stanze conservano ancora la pavimentazione originale con cementine decorate o parquet, pareti dipinte ed elementi di arredo fisso, come le porte lignee. I soffitti, in alcuni casi, sono dipinti, mentre in altri ambienti si presentano ancora con travi in legno. Così come nei piani bassi prevalgono tuttora gli ambienti con copertura a volta.

Sala Azzurra – Palazzo Siotto

Nella fase di espansione e ridisegno della Cagliari ottocentesca, intere porzioni del sistema difensivo urbano non conformi alle nuove esigenze rappresentative della città, vengono progressivamente smantellate. Questo succederà anche nella porzione finale di via dei Genovesi.
In un primo momento, il Piano Regolatore della Città di Cagliari, pensato dall’architetto Gaetano Cima, prevedeva la demolizione di un tratto della Cortina di San Guglielmo per far posto ad una nuova porta di sbocco che avrebbe dovuto collegare il Castello con una sentiero che scendeva diritto verso l’Ospedale Civile.
Il progetto rimase però solo sulla carta, perché nel frattempo la città era decaduta dal suo ruolo di piazzaforte militare.

Si concretizzò tuttavia l’abbattimento della cinta muraria, e dopo un ridisegno dello spazio, l’area venne riconfigurata con il prolungamento dell’assetto di via dei Genovesi verso l’esterno del borgo del Castello e con la costruzione di nuovi lotti di edifici rialzandoli in prossimità dell’area precedentemente occupata dall’antica cortina.

Palazzo Cugia Nieddu

Palazzi lato destro:
-Palazzo Rossi, civico 1-3
-Palazzo Ex Casa di Rosso, civico 5
-Palazzo Barca Pirisi, civico 7-15
-Palazzo Orrù, civico 17-19
-Palazzo Asquer Nin-Pilo Manca, civico 21-27

-Ruderi palazzo Aimerych, civico 29-35
-Palazzo Falqui Casa Di Vidal, civico 41-51
-Ruderi palazzo Otger, civico 65-67
-Vico I Lamarmora
-Palazzo Floris Thorel, civico 75-79

-Palazzo Lepori, civico 85-89
-Palazzo Salazar Grondona, civico 91-93
-Ruderi palazzo Duca di Mandas, civico 95
-Palazzo dell’Ospedale Civile, civico 97-103

-Portico Vivaldi Pasqua
-Palazzo Sanjust, civico 111-115
-Vico Pietro Martini

Portico Alberto La Marmora

Palazzo lato sinistro:
-Palazzo Cugia Nieddu, civico 120-124
-Palazzo Siotto, civico 114-116
-Vico III dei Genovesi
-Palazzo Fois, civico 110-112
-Palazzo Sanna Cao, civico 104-108
-Palazzo Mearza di San Fedele, civico 98-102
-Palazzo Sanjust Cadello, civico 92-96
-Palazzo Asquer Zapata, civico 86-90
-Vico II dei Genovesi
-Palazzo Ballero, civico 56-60
-Palazzo Fois, civico 54

Vico I dei Genovesi
-Palazzo Cao Pinna, civico 38-48
-Palazzo Nieddu, civico 28-32

-Palazzo Sanna Borro, civico 26-30
-Palazzo ex Scolopi, civico 24
-Palazzo Sanjust Cutis, civico 20-22
-Palazzo de Candia, civico 12-18
-Palazzo Brondo Zapata, civico 2