Il largo Carlo Felice

Quando Cagliari decade dal ruolo di piazzaforte del Regno di Sardegna, i modelli e gli scenari che per lunghi secoli avevano plasmato la città perdono d’improvviso la loro importanza. Le muraglie e le porte, considerate fino ad allora essenziali, iniziano ad essere percepite come un limite per lo sviluppo della città moderna, e per ovviare all’intralcio, vengono intrapresi i primi smantellamenti su alcune parti del sistema difensivo realizzato in epoca spagnola. Sarà un processo che si esaurirà solo durante la seconda metà del XIX secolo, cioè quando i cagliaritani assisteranno stupiti alla demolizione di interi settori fortificati, come è accaduto nell’antica borgata della Marina, fino a quel momento circondata da mura sui quattro fronti.

Nel lato occidentale della contrada correva la cortina che univa i bastioni di San Francesco e di Sant’Agostino; i poderosi baluardi di difesa inglobavano nei loro fianchi anche due arcigni varchi: la Porta turrita di Stampace, e quella intitolata, come il bastione, al Santo di Ippona.
L’ampia fascia libera compresa tra la muraglia della Marina e lo spazio arido e polveroso che si estendeva in direzione della campagna, e dove solo più tardi sorgeranno i palazzi Devoto, Accardo e Bacaredda, era invece occupata dalle opere che completavano il funzionamento del sistema fortificato, che includevano anche due piccole torrette, un fossato, una strada coperta e gli spalti.
La Porta di Stampace si affacciava grossomodo in quella che col tempo è divenuta piazza Yenne, un’area incassata tra la possente mole dei bastioni, che già all’epoca fungeva da punto di scambio tra i diversi centri dell’antica città cagliaritana.
A proteggere il varco, il baluardo di San Francesco, che, protraendosi dalle mura e occupando parte dell’attuale largo, contribuiva a formare quel piccolo spiazzo che appena dopo la sua nascita fu dotato di fontana e abbeveratoio.
In quello spazio, davanti ai massicci bastioni, durante la seconda metà del XVIII secolo comparvero improvvise una serie di baracche realizzate in canna. Si trattava dei venditori che fin dal XIII secolo avevano popolato lo slargo del Balice, ora occupato dal palazzo dell’Università, nelle cui bancarelle, in mezzo agli schiamazzi, si potevano acquistare fiori, carne, pesce e cereali.

Il piccolo rettangolo, ribattezzato piazza San Carlo, ma appellato subito dai cagliaritani con il nomignolo di piazza dei Cereali, si era però dimostrato fin da subito troppo stretto e con irrisorie possibilità di espandersi, incapace dunque di accogliere nuovi banchi per le mercanzie.
Con il passare degli anni, la necessità di dare una sede adeguata a quel mercato diventava pertanto sempre più inevitabile, finché, per esigenze pratiche, e intorno alla metà del secolo, i venditori vennero improvvisamente spostati nella parte alta del declivio, addossando buona parte delle bancarelle alla muraglia bastionata di San Francesco.
Quasi contemporaneamente, nel lato opposto, di fronte all’imboccatura dell’attuale largo Carlo Felice, prende avvio anche una teoria di modeste casette destinate ad ospitare stallaggi e piccole attività artigianali. Nell’ampia e polverosa spianata, una dopo l’altra, iniziano quindi ad allinearsi spontaneamente casupole in muratura, capanne ricoperte da teloni e altre baracche di canne, organizzate in una fiera confusa e maleodorante, dove i cagliaritani del tempo potevano però trovare di tutto, dai generi alimentari agli animali da cortile, dalle stoviglie in terracotta al barbiere pronto a tagliare i capelli alle signore e a sbarbare gli uomini.

Nel frattempo, le antiche fortificazioni della Marina, realizzate fra il Castello e il porto, continuano a cedere gradualmente il passo a nuove e insolite sistemazioni urbane, dando modo alla città di aprirsi sul mare e su nuove direttrici di espansione.
Allo smantellamento del Bastione di San Francesco, avviato durante il 1844, seguono quindi le demolizioni della Porta di Stampace, nel 1856, e del Bastione di Sant’Agostino con l’omonima porta nel 1864.
Le botteghe del mercato invece rimangono, e con lo scorrere degli anni diventano ancora più numerose e pittoresche.
All’abbattimento dei vecchi baluardi e al legittimo bisogno di rinnovamento, doveva però corrispondere l’edificazione di nuovi monumenti che tenessero alta l’immagine della città.
Il mercato, nonostante avesse ormai acquisito il carattere di punto d’incontro dove si comprava, si intrecciavano conversazioni, e si cucivano i panni addosso alle persone, rimaneva invece confuso, privo di igiene e di servizi, dunque non all’altezza di quello che nei progetti moderni doveva divenire un elegante centro urbano.
Nel 1858, dopo aver esaminato per bene la situazione, l’architetto Gaetano Cima decide una volta per tutte di escluderlo dal piano regolatore della città, che prevedeva invece, tra le altre cose, il disegno di una nuova strada, che, in seguito all’erezione nella sua sommità del monumento a Carlo Felice, il 4 aprile 1860 verrà intitolata proprio a quel sovrano sabaudo.

Quella lunga distesa brulla, giudicata per secoli un’area marginale e desolata, ora appariva invece ariosa e sconfinata, pronta a divenire il biglietto da visita di una città in evoluzione.
Negli spazi delle strutture in disuso, e nelle aree adiacenti, per dare risposta alle strategie dettate dalle sistemazioni urbanistiche ottocentesche, cominciano a comparire i primi cantieri, ed in particolare, si inizia a realizzare l’agognato grande viale alberato per il passeggio.
Nel 1873 poi, con l’alienazione della parte residuale dei bastioni dal Demanio di Stato al Comune, viene invece pianificato il riempimento ordinato degli spazi precedentemente occupati dalle antiche mura, ora destinati a nuovi edifici. Fra questi, il palazzo comunale, che, imponente e austero, a scadere del secolo inizia a sorgere al di fuori dell’antico perimetro fortificato, occupando una posizione strategica di fronte al porto e vicino alla nuova stazione ferroviaria.
In quello stesso anno, il consiglio comunale bandisce anche un concorso per la realizzazione di un nuovo e più ampio mercato. La commissione giudicatrice sceglie però un elaborato presentato fuori concorso dall’ingegnere capo del Comune Enrico Melis, e per ricavare lo spazio vengono rase al suolo un’area del convento dei padri Agostiniani e una parte residua della cortina muraria che era rimasta ancora in piedi.
I lavori iniziarono nel 1882 e durarono poco meno di un lustro.

L’immenso complesso era formato da due grandi fabbricati separati da una strada che oggi ha preso il nome di via del Mercato Vecchio. Il primo, con una struttura in metallo e vetro, ospitava i banchi della frutta e della verdura, mentre il secondo, caratterizzato da un colonnato in granito di Serrenti, accoglieva invece le rivendite della carne, del pesce, del pane e dei dolci.
Per circa ottant’anni il mercato sarà il vero polo di attrazione della nuova strada.
Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, l’ampia discesa si arricchisce anche di moderni palazzi, viene dotata di lampioni per l’illuminazione, e vengono piantati duplici filari di alberi, diventando non solo uno snodo essenziale per i cagliaritani, ma anche luogo di passaggio dei personaggi di rango e teatro delle più varie manifestazioni.
Agli inizi del Novecento, la strada è un proliferare di altre costruzioni, e il palazzo Accardo viene edificato proprio sopra l’area della più antica chiesa di Sant’Agostino extra muros.
Le sue fondamenta custodiscono ancora la cripta, che, tra il VI e l’VIII secolo, ha ospitato il corpo del Santo di Ippona.
Più o meno nello stesso periodo, nel lungo viale vi si trasferiscono anche numerosi negozi, in special modo di tessuti; due alberghi, “Il Popolo e “I Quattro Mori”; e nel 1906, il baraccone in legno del cinema “Reale”, che, di lì a qualche mese, avrebbe poi assunto la denominazione di “Iris”. Oggi al suo posto si innalza l’imponente palazzo de La Rinascente.

Fin dai suoi esordi come strada urbana, il largo Carlo Felice aveva però legato la sua vocazione al commercio della moneta, associando la sua immagine soprattutto alle banche.
In poco tempo il viale era infatti divenuto la cittadella del debito e del credito, dei depositi e dei fidi, delle negoziazioni e delle compravendite di titoli.
Dopo la Banca Agricola, nel 1906 l’architetto Luca Beltrami progetta il palazzo della Banca Commerciale Italiana; nel 1913 è il turno del Credito Italiano, mentre nel 1922 arriva il Banco di Roma. Nel 1935, il Banco di Napoli occupa invece il Palazzo Devoto, arrivato in città dopo la crisi bancaria sarda del 1887.
Nel secondo decennio del secolo, accanto alla Commerciale viene eretta anche la sede del Palazzo dell’Economia, poi diventato Camera di Commercio, che, con la sua presenza, contribuisce ad accentuare il prestigio della strada.
Nella primavera del 1943 le bombe cadranno a grappoli sulla città, devastandola. Nel largo vengono colpiti parecchi edifici, danneggiando non irrimediabilmente anche i grandi padiglioni del mercato.
Chiuso il capitolo bellico, quando Cagliari era ancora un ammasso di rovine, la via riprende subito, e imperturbabile, il suo ruolo tradizionale di centro degli affari. Le banche e il commercio rifioriscono, ed il bazar riacquista la funzione di polo di attrazione, finché, nel 1954, l’area dove sorgevano le strutture del brioso mercato non viene inaspettatamente ceduta a due istituti di credito.
Il tempio del commercio al dettaglio, con grande sconcerto per la popolazione, viene velocemente smantellato e demolito per lasciare posto alle sedi della Banca Nazionale del Lavoro e della Banca d’Italia.

Oggi il largo Carlo Felice è una delle più belle vie di Cagliari, delimitata dal mare e dal Castello che le fa da sfondo. È un viale alberato di 330 metri di lunghezza e 56 di larghezza, che incanta non solo per i suoi edifici otto e novecenteschi, ma anche, e soprattutto, per i magnifici alberi di jacaranda, che, dischiudendo i loro fiori, regalano uno scenario decorativo urbano di rara intensità.
In tarda primavera, le chiome degli alberi che crescono ai lati della carreggiata si uniscono formando una volta che si tinge di un’affascinante colore viola, che, contrastando con il cielo blu, profonde una luce particolare in grado di suscitare nei passanti una inaspettata meraviglia. Quando poi i petali cadono a terra, viene invece a ricrearsi un tappeto violaceo di migliaia di fiorellini capaci di tingere il grigio asfalto, trasformando il viale in un pittoresco giardino floreale.
In cima alla strada, che si differenzia nettamente rispetto alle altre vie dei borghi storici perché strette e qualche volta anche tortuose, si innalza la statua ottocentesca dedicata a Carlo Felice, di cui i cagliaritani hanno certamente tutti una conoscenza visiva, non fosse altro che per la centralità in cui sorge.
Quello che sfugge è però la consapevolezza delle vicende che precedettero ed accompagnarono il suo sorgere. Eppure, basterebbe leggere le lapidi che si trovano ai quattro lati del monumento per capire il motivo per il quale è stata posizionata proprio là. Invece solo sguardi distratti, e un’attenzione meno sfuggevole e curiosa quando invece il re di Sardegna, con elmo, corazza e clamide alla maniera degli antichi eroi romani, appare alla stupita vista dei passanti rivestito di una specie di camice rossoblù, postogli nelle occasioni di vittoria della squadra di calcio della città. Un richiamo dettato quindi dalla febbre sportiva, e non da amore per la storia di Cagliari.

Poco più in basso, una serie di tre palazzotti anticipano l’ex Palazzo Costa Marras, un edificio commerciale pluripiano con due affacci particolari realizzati durante gli anni Cinquanta del Novecento dall’architetto Ubaldo Badas.
Il fronte ridotto che guarda verso il largo, completamente cieco, in origine era caratterizzato da una serie di sculture lavorate da Giuseppe Silecchia. La piccole opere erano attorniate da piastrelle in ceramica bordeaux che davano alla facciata l’aspetto di un grande quadro astratto. Purtroppo, un discutibile intervento di restauro successivo ne ha alterato l’idea originale, trasformandolo in un fronte anonimo di color cemento.
Il secondo prospetto, molto più sviluppato nella sua profondità nella via Giovanni Maria Dettori, una strada cortissima che si addentra velocemente verso il quartiere della Marina, era stato invece progettato con una serie di pensiline trasparenti che davano sulla strada, e che permettevano ai passanti non solo di sbirciare all’interno dell’ambiente festante, ma anche di sognare e qualche volta desiderare di vivere la magia e l’emozione che regalava ai clienti benestanti uno dei primi ascensori interni installati a Cagliari.

Qualche decina di metri più a sud si innalza invece un bel palazzo chiuso da una cancellata in ferro.
Realizzato nel 1823 lungo la linea delle antiche mura, era conosciuto con il nome di “Caserma Sant’Agostino”, ed aveva la funzione di ospedale militare.
La struttura sanitaria funzionò in quella sede fino al 1848, anno in cui, con l’espulsione dei religiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù, venne trasferita nel convento gesuitico di San Michele di Stampace.
Il fabbricato del largo Carlo Felice, restaurato e ampliato per arrivare a raggiungere la capienza di circa trecento uomini, nel 1855 venne trasformato in un alloggio militare, e per circa un secolo funzionerà con il titolo di “Caserma Monte Grappa”. Il distretto militare diventò il punto di riferimento di migliaia di cagliaritani, non solo perché da lì partivano le raccomandate per la chiamata alla leva obbligatoria, ma anche perché negli archivi custoditi in quegli uffici venivano conservati i fogli matricolari necessari per il calcolo delle pensioni.
Il palazzo, arretrato rispetto alla strada, è circondato da un muro con un alto zoccolo in pietra squadrata, intervallato da colonne a bugnato e concluso da una parte superiore realizzata in mattoncini in laterizio intonacato.
L’edificio, che si eleva su due livelli oltre il piano terra, è invece scandito da una cornice marcapiano molto sobria, e ultimato con una cintura superiore arricchita nella parte centrale da un’apparecchiatura dentellata, realizzata presumibilmente per motivi strutturali. Il prospetto è inoltre adornato da finestre caratterizzate da archi a tutto sesto o ribassati: alcune aperture si contraddistinguono per le bordure sagomate, altre sono invece sovrastate da mensole, una delle quali, ancora decorata con un bassorilievo.
Superato l’arco a tutto sesto del portale d’ingresso, si accede al cortile irregolare antistante l’edificio, che, dal 1999, ospita il Segretariato Regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo.

In adiacenza, si trovano i resti dell’ex convento di Sant’Agostino Nuovo, smantellato a seguito delle leggi di soppressione degli ordini religiosi, emanate fra il 1865 e il 1866. Gli avanzi della struttura, oggi riconducibili ad appena un giardino e al retro dell’antica sagrestia, conducono fino alla chiesa intitolata al Santo di Ippona, il cui ingresso principale dà affaccio in via Lodovico Baylle.
I due edifici successivi, separati dalla strada intitolata via Del Mercato Vecchio, ospitano rispettivamente la Banca d’Italia e la Banca Nazionale del Lavoro, e occupano la superficie in cui sorgeva l’antico mercato cagliaritano. I palazzi, con le loro facciate austere e senza fronzoli, vennero inaugurati durante gli anni sessanta del Novecento, e nelle loro fondamenta custodiscono tracce di strutture murarie dell’antico borgo della Lapola e alcune delle rovine della città romana di Karalis.
Fra l’antico complesso intitolato a Sant’Agostino e la Banca d’Italia furono messe in luce strutture relative ad un edificio termale di età romana imperiale, di cui si conservavano un pilastro a mattoni quadrati e un calidarium caratterizzato da tre vasche realizzate in conglomerato cementizio rivestito da mattoncini. Fu rinvenuta anche una porzione di pavimento, costituito da un mosaico policromo decorato in stile geometrico a pelte e cerchi con inserzione di motivi floreali.
Nell’area venne inoltre individuata una cisterna con canaletta di adduzione per l’acqua, e ancora, tracce dell’ex lebbrosario di San Leonardo, risalenti al VI-VII secolo, che operava proprio nell’area dove verrà poi realizzato il baluardo militare di Sant’Agostino.

Quasi alla fine della strada, si innalza invece, silenzioso e senza troppe pretese, uno dei più antichi palazzi realizzati nel largo Carlo Felice. Commissionato dall’illustrissimo avvocato Severino Manca, l’edificio fu costruito nel 1866, e insieme a La Scala di Ferro, è stato uno dei primi alberghi della città di Cagliari. Nel corso dei decenni perseverò la sua natura ricettiva, anche se, superato il primo conflitto mondiale, cambiò diverse gestioni e proprietà.
Come Albergo Quattro Mori, al primo piano era dotato di un’ampia sala ristorante, mentre nei livelli superiori si sviluppavano le sue trenta camere.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la struttura venne trasformata in una pensione a una stella, e fino agli anni Novanta era conosciuto come Hotel Centrale. Nei primi tre piani funzionava come affittacamere, nel quarto livello vi si era invece stabilito prima un partito politico e poi l’Istituto Editoriale dell’Artigianato.
Chiuso per essere sottoposto ad un’importante opera di recupero, riunificati i quattro piani, il palazzo venne riaperto al pubblico nel 2008 con il nome di Hotel II Colonne, riprendendosi la natura turistico ricettiva che lo aveva contraddistinto fin dalle sue origini.
In fondo alla via, il palazzo de La Rinascente, che oggi rappresenta un po’ l’anello di congiunzione tra il largo Carlo Felice e la via Roma.