Via del Duomo e la chiesa di Nostra Signora della Speranza

La Cattedrale di Santa Maria e la Chiesa di Nostra Signora della Speranza

Breve, stretta e ombrosa: così si presentava in origine l’odierna via del Duomo, un viottolo che, fino all’arrivo degli aragonesi, ha ospitato gli artigiani pellicciai, abili sarti che a partire dall’epoca pisana diedero vita a fiorenti botteghe, frequentate dai più importanti signori del borgo.

La strada iniziò a cambiare volto durante il XIV secolo, quando le numerose botteghe vennero sostituite da più distinte residenze, dimora delle nuove famiglie nobiliari giunte nel frattempo in città dalle terre iberiche.

Nel 1331, nel lato ovest della parte settentrionale del carrer dels Pelliciers, vengono innalzate le mura del fronte meno significativo dell’emblema del governo cittadino che, in quanto sede delle magistrature locali, rivestirà un ruolo importante anche per lo sviluppo delle strade adiacenti, tanto che perfino l’angusta via del Duomo incomincerà ad avere una discreta importanza.

A frequentare la strada sarà infatti anche la classe feudale che per lungo tempo ebbe il maggior peso politico nella struttura sociale sarda, poiché, dal momento in cui gli Aymerich, marchesi di Laconi, iniziarono a ricoprire il ruolo di “prime voci” dello Stamento militare (uno dei tre bracci in cui era diviso il Parlamento sardo, costituitosi nel 1355 sotto Pietro IV d’Aragona), le riunioni dell’Ordine vennero dirottate all’interno della loro cappella familiare, che ancora occupa un cantuccio riservato antistante il Duomo; lo stesso edificio diverrà anche la sede in cui si conserveranno le carte prodotte fino alla sua soppressione, avvenuta il 29 novembre 1847.

Il culto della Beata Vergine Maria della Speranza (con le varianti riconducibili alla liturgia della Madonna in attesa) a cui era dedicata la cappella, giunse a Cagliari durante la prima metà del XIV secolo proprio con la famiglia catalana degli Aymerich, al seguito dell’Infante Alfonso il Benigno. Non si conosce con certezza la data della sua edificazione, ma si può presumere potesse essere già attiva fin dall’inizio della seconda metà del ‘400, poiché Martino Aymerich, consigliere della città, nel suo testamento datato 28 settembre 1466, espresse il desiderio di essere sepolto accanto al fratello Nicola, all’interno della stessa cappella gentilizia appartenuta al casato di famiglia.

Ambiente centrale della Chiesa di N.S. della Speranza – Sullo sfondo, il grande arco (ph 2010)

Sul fondo della chiesetta, dietro l’altare, si può ancora notare un grande arco murato (percettibile anche nella parete di via del Fossario), così come una porticina nell’ultima cappella laterale.
Questo secondo particolare è da ricollegare agli anni dei lavori programmati in occasione del rinnovamento della cattedrale, e a quando, durante gli anni Sessanta del Seicento, l’arcivescovo don Pedro Vico ordinò che il Santissimo Sacramento venisse trasferito nella cappella della Madonna delle Grazie, in prossimità dell’area cimiteriale. La stessa cappella, tramite un lungo corridoio, venne quindi collegata con la vicina chiesa della Speranza, per consentire ai canonici e ai cappellani di officiare fintanto che la cattedrale fosse rimasta in restauro.

Per come è giunta a noi, le ristrutturazioni sono probabilmente successive al 1535, poiché sia nella chiave di volta della campata centrale, che nello stemma scolpito sopra il portale della facciata prospiciente l’odierna via del Duomo, è ancora ben visibile l’aquila bicipite della famiglia nobilliare, che fu concesso da Carlo V solo dopo la presa di Tunisi nel 1535 a Salvatore Aymerich signore di Villamar.

Durante il Settecento la via si ritrovò al centro di un intenso rinnovamento estetico che coinvolgerà le architetture private, secondo il linguaggio tardo-barocco piemontese.
La piccola chiesetta dedicata alla Beata Vergine di Nostra Signora della Speranza aveva già visto l’occlusione del prospetto principale e la realizzazione ex-novo di un’altra facciata prospiciente l’Antico Palazzo di Città, a sua volta rimaneggiato con l’arrivo dei piemontesi e l’ingresso di nuove figure all’interno dell’apparato amministrativo cittadino.

Al palazzo comunale iniziarono quindi a seguire tutta una serie di pregevoli dimore: l’edificio fino al 1754 appartenuto a don Luigi Barbaran, nel 1773 divenne sede della Reale Insinuazione; i palazzi contigui erano invece di proprietà di famiglie blasonate che, in un modo o nell’altro, contribuivano con il loro potere a dare un’immagine illustre oltre che al viottolo, anche all’antico borgo nato alcuni secoli prima come centro satellite della capitale del Regno.

Discendendo lungo la via, che già da tempo aveva ormai preso il nome di calle de la Esperanca, in onore al piccolo oratorio che principiava la strada, si distinguevano poi i due palazzi di don Pietro Maria Lai, giudice della Reale Udienza; il primo edificio venne in seguito acquistato dalla famiglia dei Lostia di Santa Sofia, la quale, durante l’Ottocento, cedette alcuni locali del piano superiore all’amministrazione comunale, che a sua volta li inglobò nella struttura dell’Antico Palazzo di Città.
Subito dopo, si elevava la dimora di don Carlo Pullo, in precedenza appartenuta a don Antonio Cao, un altro nobile che, insieme al Lai, nel 1773, fu giudice della Reale Udienza. Il palazzo venne successivamente acquistato dagli Amat -Flores d’Arcais.

La terza cappella come si presentava nel 2010 – a sinistra si può ancora intravvedere la cornice della porticina che collegava la Speranza alla cappella della Madonna delle Grazie

Al fianco dell’antica chiesetta, invece, seguivano l’antico Seminario Tridentino, Palazzo Falqui (dal 1766), Palazzo Otger dei conti di Monteleone (dal 1766), e il Palazzo del Capitolo di Cagliari, parte del quale divenuto poi, nel 1772, di proprietà di don Bernardino Pes di Villamarina.

L’incessante via vai di nobili e signori nella strada, ora ribattezzata dai nuovi dominatori con il nome di calle de la Seu, continuò fino al 29 novembre 1847 quando, con la “fusione perfetta con gli stati di terraferma”, la Sardegna adottò le leggi e gli ordinamenti piemontesi rinunciando all’assetto istituzionale e normativo vigente fin dal XIV secolo. Ma già prima di quella data, il centro economico e vitale della città aveva pian piano iniziato a spostarsi fuori dal borgo fortificato, tanto che ad un certo punto sull’antico quartiere scese definitivamente il silenzio.

Interno della chiesa oggi dedicata a San Saba il Santificato (ph 2022)

I Pes di Villamarina avevano già abbandonato il loro palazzo per trasferirsi altrove, e le sue mura, tra il 1842 e il 1865, divennero il luogo di ritrovo della più alta società cagliaritana che ancora sopravviveva all’interno del Castello. Il locale era chiamato “casino filarmonico”, e al suo interno si svolgevano balli e feste specie nel periodo di Carnevale. Poiché però nessuno pagava l’affitto, il circolo, di punto in bianco, ebbe lo sfratto.
Dopodiché, nel palazzo insinuarono la propria sede la Società Agraria ed Economica, e la Casa Madre delle Pie Suore della Redenzione, un’istituzione che aveva il fine di aiutare le ragazze in difficoltà. Nel 1939, infine, l’edificio fu acquistato dalla Questura di Cagliari che lì vi rimase fino a quando fu sventrato dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Gli spezzoni incendiari delle bombe lasciarono una grossa cicatrice: demolirono quasi completamente l’antico palazzo, aprendo al sole la parte centrale della via, spezzandola di fatto in due. Gli edifici vicini, che affiancavano la proprietà dei Pes di Villamarina, vennero consolidati con speroni in muratura e lo spazio liberato dalle macerie, che oggi cattura lembi di cielo e di luce, è stato solo di recente sistemato a luogo di sosta con aiuole e panchine. La piazzetta è dedicata a Maria Lai.

Particolari dell’interno della Chiesa della Speranza

Oggi a disturbare il silenzio di quello che è considerato un vicolo stretto e rapido, sono il fragore dei passi del passante distratto, e le voci che rimbombano di chi sceglie di percorrere quella via, dove è facile imbattersi nei sorrisi degli abitanti del luogo.

Il canto sublime delle donne col capo velato che, in certe giornate, risuona nella via, invita invece il visitatore a sbirciare all’interno della chiesetta dedicata a Nostra Signora della Speranza, che è ancora lì, avvolta nelle sue vesti cinquecentesche, ad osservare i mutamenti dei luoghi che la circondano.

Il piccolo tempio degli Aymerich, dal 2016, ospita gli immigrati di culto ortodosso radicati a Cagliari. Molti arrivano dall’Ucraina, ma anche dalla Russia, dalla Romania e dai Balcani. Sono persone spesso sole e lontane dagli affetti, e in questa modesta parrocchia da loro intitolata a San Saba Santificato, hanno forse trovato un modo per stare vicini e ricostruire un nido familiare.

La facciata della chiesetta medievale rimane, come allora, molto semplice, e denota ancora oggi le architetture in stile gotico catalano, pensate durante la sua costruzione.

Mostre in pietra nell’Antico Palazzo di Città

Al visitatore si presenta con un portale, preceduto da una scalinata, sormontato da un architrave retto da mensole decorate. Lo stesso ingresso appare sovrastato anche da una lunetta e da un arco di scarico ogivale, mosso da una triplice modanatura a toro che prolunga i fasci di colonnine che fiancheggiano gli stipiti. La soluzione di continuità è data dai capitelli che ripetono la ricca decorazione a carattere fitomorfo, che contraddistingue anche i peducci del sopracciglio del portale, i capitelli di imposta delle arcate, e le mensole tardo-antiche su cui impostano i costoloni delle volte all’interno dell’aula. Al di sopra ospita un semplice campanile a vela, e tra le due finestrelle rettangolari che danno luce all’interno, spicca l’antico stemma gentilizio della famiglia degli Aymerich di Laconi.

L’interno svela un semplice oratorio di matrice catalana coperto con volta a crociera.

La soglia dell’ambiente, osservato da questa prospettiva, appare rivolto ad ovest, e con asse longitudinale leggermente ruotato rispetto a quello della cattedrale e a quello della vicina Sacrestia dei Beneficianti, tanto che, per anni, si è creduto che l’oratorio degli Aymerich ne fosse il prolungamento. Lo Spano riteneva infatti che la cappella potesse essere parte integrante del chiostro dell’antica canonica.
A
destra dell’aula sono presenti tre piccole cappelle, di pianta rettangolare quelle laterali, quadrata invece quella centrale, tutte comunque con costoloni modanati e chiave di volte, che comunicano tra loro e con l’ambiente centrale mediante archi a tutto sesto. In fondo, è collocato un altare murato, dietro il quale si trova il grande arco, memoria, forse, del primitivo ingresso.

La luce che illumina l’ambiente penetra dalle due finestre rettangolari che, a modo loro, provano a movimentarne anche l’aspetto esterno. Diverse per stile dal resto dell’edificio, si pensa possano essere state aggiunte in un momento successivo alla realizzazione dell’antico tempio.

Cornice realizzata in trachite rossa residuo dell’antico palazzo dei Pes di Villamarina

In ricordo dei vecchi fasti, oltre alla chiesa, nella strada è rimasto ben poco, ma un occhio attento può comunque leggere parte di alcuni dettagli dell’aspetto originario dell’Antico Palazzo di Città, che si presentava con un impianto gotico risalente alla sua edificazione in epoca aragonese.
Di questo periodo, durante gli ultimi restauri avvenuti fra il 1986 e il 2009, sono state rimesse in luce le originarie mostre in pietra delle finestre che affacciavano sul lato di via del Duomo, di fronte alla chiesetta di N.S. della Speranza. Le ampie aperture gotiche erano caratterizzate da una sobria modanatura che correva lungo tutto il perimetro, all’interno della quale è ipotizzabile anche la presenza di elementi superiori che suddividevano l’apertura di una bifora con due soprastanti lastre lavorate per simulare dei passaggi traforati.

Nella via del Duomo era rivolto anche il fronte più antico e più significativo, dal punto di vista costruttivo, dello scomparso palazzo Pes di Villamarina, poiché unico edificio nell’abitato di Cagliari a presentare cornici e archi realizzati in trachite rossa.
Dell’antica facciata oggi rimangono solo due porzioni, inglobate nei contrafforti realizzati nel dopoguerra al fine di consolidare gli edifici salvatisi dai bombardamenti.
Nel rinforzo architettonico posto a settentrione è ancora presente, intatta, la cornice di una finestra in trachite, quadrata e priva di modanature, mentre nel contrafforte meridionale è invece leggibile la presenza di un piccolo portale con arco a tutto sesto, sempre in trachite rossa, i cui conci si presentano molto più ampi degli esili stipiti trachitici su cui si innestano.

Chiude la via, nel lato destro, Palazzo Atzeni Tedesco. Di origine medievale, ha subìto nel tempo diversi rimaneggiamenti del primitivo impianto, e l’attuale edificio è il risultato della fusione di più lotti gotici, ovvero edifici lunghi e stretti con due soli affacci sulla strada, che hanno portato ad ottenere la forma attuale sul finire del Settecento.

Parte meridionale di via del Duomo e, a sinistra, Piazzetta Maria Lai

Nonostante trascini con sé una denominazione piuttosto recente, le notizie storiche lo riportano al 1768, ovvero a quando il palazzo apparteneva al nobile avvocato cavaliere Salvatore Durante. Successivamente, vista la sua posizione vicina alla sede della magistratura, fu abitato da alcuni giudici della Reale Udienza.
Il registro del vecchio catasto indica invece che durante l’Ottocento subì vari cambi di proprietà, fino a giungere nelle disponibilità della famiglia Atzeni Tedesco. Dal censimento della cattedrale del 1930, si apprende infine che il palazzo risulta ormai essere abitato da ben dieci famiglie, divise tra sottani, mezzanelli, primo e secondo piano.

Oggi su via del Duomo il palazzo non presenta portali d’accesso, e a differenza della facciata che prospetta in via Canelles, riccamente decorata in stile Liberty, il fronte rivolto verso questo lato risulta anonimo e caratterizzato solo da semplici balconcini con sobrie ringhiere in ferro battuto, poggianti su altrettanto sobrie mensoline in marmo, che nulla possono far pensare che, alzando gli occhi al cielo, ci si possa trovare invece dinnanzi ad un edificio con una lunga storia alle spalle, come del resto l’intera via, adesso disadorna, ventosa e quasi immota.