Via Giuseppe Manno: la passeggiata cagliaritana

Via Giuseppe Manno. A destra il palazzo seicentesco dei duchi di San Pietro, oggi sede principale del Convitto Nazionale

In principio era un pietroso sentiero di campagna, un viottolo scosceso che costeggiava il limite sud della cinta difensiva del Castello, all’epoca centro del potere politico, amministrativo e religioso dell’intera Càlari.

La strada, polverosa nei periodi asciutti e fangosa nelle stagioni di pioggia, alle estremità era chiusa da due arcigne porte, che, da una parte avevano la funzione di isolare e proteggere il duecentesco borgo della Bagnaria dalle intrusioni esterne, mentre dall’altra assicuravano il collegamento più breve con le campagne di Villanova e il piccolo villaggio di Stampace a coloro che avevano la licenza per entrare o uscire dal suburbio marinaro.
A circa metà percorso, il sentiero si snodava anche in una viuzza trasversale che saliva verso l’alto, e che, attraversando la porta incastonata nella Torre dei due Leoni, conduceva direttamente nel quartiere nobile della citta.

Durante il XV secolo, il ritmo della vita cittadina all’interno del Castello si era fatto particolarmente frenetico, e la borgata, ormai allo stremo, non riusciva più a contenere le attività economiche in continua espansione.
Per far fronte al problema dell’inadeguatezza degli spazi, lentamente, grazie alle nuove vie di comunicazione sorte nel frattempo con la zona più bassa e con il porto, e probabilmente anche per la presenza dell’ospedaletto Antoniano e della piccola cappella attigua divenuta meta costante di peregrinaggio, il viottolo sassoso posto alle pendici della roccaforte inizia a popolarsi non solo di depositi per le merci e di bazar, ma anche di piccole dimore, in gran parte scavate nella roccia.

Il sentiero prospera e assume un ruolo importante, diventando un luogo di formazione e scambio. Sorgono le prime officine, i fabbri sono quelli che si fanno notare di più, forse perché più chiassosi; a loro seguiranno anche i sarti, i panettieri e le botteghe che svolgevano un ruolo cruciale nella vita quotidiana della popolazione. In breve tempo, la strada si trasformò in un tesoro di beni e servizi in grado di soddisfare i desideri degli avventori, era un luogo vivace dove le persone socializzavano, si scambiavano notizie e conducevano transazioni commerciali.

Immagine della Vergine delle Grazie, collocata nel prospetto del Convitto Nazionale

Nel borgo alto del Castello abitava una nutrita colonia di genovesi che si distingueva per essere piuttosto dinamica ed economicamente molto attiva. La comunità si riuniva all’interno di una cappella consacrata ai SS. Martiri Giorgio e Caterina, che, officiata dai frati minori osservanti, si trovava all’interno della chiesa di Santa Maria del Gesù, nelle campagne di Villanova.
Durante il 1599 però, i dissidi sorti con i frati francescani portarono al trasloco dei confratelli liguri che, con una decisione unanime, si fecero carico, attraverso donazioni economiche e di mestiere, delle spese per l’acquisto di un terreno sopra il quale costruire una nuova chiesa.

Dopo aver scartato decine di fondi ancora isolati e immersi nella natura, la soluzione più conveniente ricadde nel sentiero che seguiva il muro di cortina meridionale che circondava e proteggeva la corte interna del Castello, prossimo alla loro contrada.

I decenni che seguirono furono pieni di sacrifici, ma dopo averla lungamente desiderata, nel 1636, i genovesi poterono vedere ultimato l’interno della chiesa. Per l’esterno invece, dovettero passare poco meno di altri trent’anni, e nel 1672, un elaborato e imponente portale di marmo, che racchiudeva un orgoglioso e grande stemma di Genova in mezzo a griffi rampanti, poteva finalmente accogliere i fedeli e i visitatori con la sua imponenza e bellezza.

Scalette Monache Cappuccine viste da via Giuseppe Manno

L’esistenza della nuova chiesa dei Santi Martiri Giorgio e Caterina dei Genovesi portò la popolazione cagliaritana a dare per la prima volta anche un nome ufficiale al primo segmento dell’antico sentiero, intitolandolo “Calle de Sancta Caterina”.

Più o meno a metà percorso, durante la prima metà del XVIII secolo, l’antica cappella appartenuta ai canonici dell’Ordine Ospedaliero di Saint Antoine en Viennos venne rasa al suolo. Al suo posto fu realizzata una nuova chiesa riconsacrata solennemente il 2 maggio 1723 dall’arcivescovo Antonio Sellent, ed intitolata a Sant’Antonio Abate, il Santo eremita protettore degli agricoltori e degli appestati.

Il nuovo tempio, influenzato dal barocco romano, che affiancava l’antico ospedale, spinse i cagliaritani a dare un titolo anche alla seconda parte del sentiero che prese il nome di “Calle de Sancti Antoni”.

Le  dismissioni delle piazzeforti comportarono un’opera di stravolgimento del tessuto architettonico e urbano. Vennero smantellate alcune parti dell’antico sistema difensivo e demoliti interi fronti fortificati; le porte, considerate un limite per lo sviluppo della città moderna, furono buttate giù aprendo nuove direttrici di espansione. La prima a cadere sotto i colpi del piccone fu la Porta Stampace nel 1857,  seguita da quella di Villanova nel 1874.

Cagliari intendeva darsi uno stile in linea con le città della penisola, e per conseguire l’obiettivo bisognava costruire palazzi e creare una rete di servizi. Quello che fino a poco tempo prima era solo un viottolo di campagna, cadute le porte, diventò una strada fondamentale per la nuova città, perché, punto di congiunzione fra i quattro borghi storici, poteva essere raggiunta facilmente da tutti i cagliaritani. In quel momento nessun altro luogo della città aveva una vocazione così spiccata a divenire l’anima commerciale di Cagliari.

Via Giuseppe Manno. Ai lati i negozi commerciali, sullo sfondo la cupola della chiesa di Sant’Antonio Abate

Iniziarono a sorgere numerosi palazzotti, vicoli e scalette di collegamento. I mercanti afferrarono l’occasione al volo e presero ad insediarvi le loro nuove botteghe. Attratti dalla varietà dei prodotti, i cittadini riscoprirono la strada, che, rapidamente, si ritrovò ad essere frequentatissima. Sollecitato dalla spinta emotiva del nuovo, la Municipalità cancellò anche le vecchie denominazioni dell’antico sentiero, intitolandolo unicamente a Giuseppe Manno (1786-1868), un’illustre uomo politico, magistrato e letterario, che studiò nel Convitto Nazionale, situato proprio nella via che oggi porta il suo nome.

L’edificio, al di là del suo carattere architettonico, sono molteplici i pesanti rimaneggiamenti avvenuti durante i secoli, merita attenzione perché le sue mura racchiudono non solo centinaia di anni di storia, ma custodiscono anche le ambizioni di migliaia di giovani studenti.

Interno della chiesa di Sant’Antonio Abate

Edificato sul finire del XVII secolo dalla famiglia dei duchi di San Pietro come abitazione privata, nel 1835, durante il regno di Carlo Alberto, passò ai religiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù che, ripreso il loro antico mestiere dell’insegnamento, lo trasformarono in un istituto di educazione. La scuola iniziò ad ospitare il Regio Collegio dei Nobili, un prestigioso educandato maschile che si era trasferito dalla vecchia sede ubicata all’interno della cittadella fortificata del Castello, e che all’epoca era ancora riservato quasi esclusivamente ai rampolli dell’aristocrazia cagliaritana.

Lo stesso istituto, dopo la concessione dello Statuto Albertino, nell’ambito del primo riordinamento generale dell’istruzione pubblica del Regno di Sardegna, cambiò ufficialmente il nome, divenendo Regio Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, in onore al primo re del riunificato Stato Italiano.

Adeguato ai tempi e, con l’introduzione della Repubblica, eliminato anche il titolo regio, il sobrio edificio accoglie ancora oggi i ragazzi e le ragazze frequentanti alcune sezioni delle scuole secondarie di primo e di secondo grado con indirizzo musicale, mentre al suo interno sono ancora presenti opere e locali di particolare  pregio, come la Sala Udienze e la Biblioteca Storica, che accoglie una delle più importanti collezioni di testi antichi di Cagliari.

Il portico Antoniano che dava accesso alla spezieria e alla casa di cura

Quella strada a forma di serpentello, ripida e scoscesa, a seconda della direzione, era ormai riuscita ad integrarsi con la città. Era divenuta un salotto elegante con i fanali a gas, dove era piacevole ritrovarsi, per chiacchierare o curiosare tra le vetrine, disposte ai due lati. Molti negozi erano dotati di tende, le signore passeggiavano in gonna lunga mentre i signori con bombetta e bastone. Gli esercizi si caratterizzavano per i  loro frontoni in legno intagliato, che riportavano i nomi del titolare scritto a lettere d’oro su cristalli neri, e per gli sportelli, che, piegandosi a libro, davano luce alle spaziose vetrine delle mercerie e delle oreficerie.

Ma si potevano acquistare anche occhiali, cappelli, abbigliamento, scarpe, tessuti, bastoni da passeggio e perfino grammofoni.

L’antico Ospedaletto di Sant’Antonio di Vienne, affidato inizialmente all’Ordine religioso degli Antoniani, dopo un susseguirsi di organismi incaricati alla sua gestione, nel 1858, in seguito al trasferimento dei degenti nel nuovo ospedale del Cima, venne suddiviso in tre porzioni e venduto a privati, mentre la parte meridionale interna al cortile fu adibita a scuola pubblica. Il portico, parte integrante del complesso Antoniano che dava accesso alla spezieria e alla casa di cura, oggi è un passaggio aperto a tutti, e collega la via Giuseppe Manno con la piazza sottostante intitolata al Santo Sepolcro.

Via Giuseppe Manno. A destra l’elaborato e imponente portale di marmo della chiesa di Sant’Antonio Abate

Nel 1915 anche in via Manno cominciano a sferragliare i tram, che s’inerpicano lentamente e rallentano, in discesa, grazie anche alla sabbia lanciata nei binari dal guidatore. L’attraversamento è cadenzato dal suono della campanella che avverte i passanti distratti, che a loro volta sorridono alla vista dell’assalto dei ragazzini che si appollaiano sui respingenti posteriori delle vetture. Data la forte pendenza, non era insolita l’uscita del tram dai binari, e quando nel 1942 fu travolto un uomo, la Società delle Tramvie decise di abolirne il transito.

L’Ottocento era finito ma i cagliaritani continuarono a riversarsi in quella strada che li calamitava. Il livello commerciale si manteneva buono. Qualche negozio aveva chiuso, ma altri ne erano sorti non meno belli e pieni di tutto ciò che si poteva desiderare. Via Manno era il punto di riferimento della borghesia cittadina e l’aspirazione di quanti non avevano adeguati mezzi finanziari. Comprare lì costituiva una sorta di status sociale a cui non si rinunciava, anche perché i commercianti erano noti e stimati per la loro preparazione professionale.

Antico negozio storico sopravvissuto al Novecento. L’attività ha chiuso nel 2023

Le bombe del 1943 colpirono duramente anche via Giuseppe Manno che, improvvisamente, si ritrova con i palazzi sventrati e la chiesa dei SS Martiri Giorgio e Caterina rasa al suolo. Il salotto è tutta una maceria.

La ricostruzione procede rapidamente, ma non sempre riesce a ripristinare. In qualche caso i palazzi rimangono a metà, come sono stati ridotti dalle bombe; in altri, si procede a rattoppi di fortuna.

La vittima più illustre è proprio la chiesa simbolo dei genovesi, le cui condizioni sono tali da rendere improbabile il recupero.

L’immediato dopoguerra è un periodo carico di entusiasmi, ma la povertà si fa sentire. Pochi soldi nelle tasche della gente e poche merci sugli scaffali dei negozi. Il periodo di magra però non dura a lungo. Con i primi accenni di normalizzazione, gli empori della strada ricominciano a riempirsi dei più svariati articoli. La gente ritorna e riallaccia il dialogo con i commercianti che sono gli stessi dell’ante guerra. Tranne qualcuno.

La strada si rinnova, la chiesa dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi viene sostituita da un anonimo palazzotto grigio, sulla cui facciata verrà sistemata un’epigrafe che ricorda la Santa, mentre su quello del Convitto Nazionale comparirà un quadro della Vergine delle Grazie, appartenuto all’antico tempio crollato. Anche il piccolo slargo realizzato di fronte prenderà il suo nome.

Scalette di via Giovanni Spano, strada di collegamento con il quartiere alto del Castello

I palazzi che si affacciano sulla via sono ormai una chiara trasformazione di precedenti abitazioni, e si caratterizzano per la fisionomia sobria e misurata.
I prospetti, tinteggiati con colori vivaci, sembrano essere frutto della mescolanza di diversi stili, e non mancano, infatti, decorazioni a timpano o fronti la cui parte inferiore sia stata rivestita di finto bugnato.
I portoni sono in legno verniciato, talvolta con un sistema di illuminazione superiore protetto da elementi in ferro battuto.
A dare un senso di movimento agli edifici senza fronzoli ci pensano solo i piccoli balconi, le cui balaustre sono realizzate in gran parte ancora in ferro battuto con diversa foggia.

Tanti interni dei locali commerciali presentano invece soffitti ancora a volta a botte in mattoncini piedi con stucchi di gesso, oppure intonacati , tutti comunque capaci di rendere particolari e unici gli ambienti.

Il rilancio della via è favorito anche dal ritorno dei mezzi pubblici. Tra il 1950 e il 1952 la strada viene nuovamente percorsa da una linea automobilistica; poi arrivano i filobus, finché, nel 2017, liberata dal transito di auto e divenuta pienamente di proprietà dei pedoni, è stata elegantemente rinnovata e lastricata con basoli in granito, dando vita ad un lunghissimo e sinuoso filo che scivola con impertinente regolarità in una festa di vetrine, luci e colori che hanno nuovamente dato alla strada quell’importanza che ha avuto per secoli. Una strada che, sotto la dura roccia del manto stradale custodirà per sempre anche una cisterna sotterranea risalente all’età romana e numerosi frammenti di anfore, piccole brocche e coperchi decorati, simili a quelli rinvenuti nel vicino sito scavato sotto la chiesa di Sant’Eulalia.

Via Lodovico Baylle: ripida discesa che collga via Manno al borgo della Marina

Le diverse trasformazioni e le stratificazioni storiche hanno certamente mutato l’aspetto originario della strada, che si ritrova oggi ad accogliere indistintamente edifici sette-ottocenteschi e altri più recenti, sorti in sostituzione a quelli polverizzati dai bombardamenti del 1943.
Gli eventi che si sono susseguiti non sono però riusciti a scalfire il prestigio di una via ancora carica di storia e di storie e, circondata da importanti vie e monumenti che ne arricchiscono il valore storico e culturale, è rimasta uno dei poli più vitali della città. Cuore pulsante di una Cagliari costantemente in evoluzione, via Giuseppe Manno è l’esempio di come uno spazio storico possa adattarsi alle esigenze della vita moderna senza perdere la propria identità, rimanendo un luogo piacevole dove poter passeggiare, incontrarsi e godere di un’atmosfera unica, nonché un punto di riferimento per il commercio cittadino, peculiarità che gli consente di tenere cucito addosso il primato di via più ambita per lo shopping.