Lungo la via Nicolò Canelles oggi si allineano due teorie di palazzi sui quali sventolano, come bandiere sdrucite, cordate multicolori di panni stesi ad asciugare.
Stretta e scura, la strada attraversa il quartiere in tutta la sua lunghezza, correndo con un andamento leggermente sinuoso che si allarga d’improvviso nel tratto centrale all’altezza della cattedrale e della sottostante piazza Carlo Alberto.
In epoca pisana veniva chiamata Ruga Marinarorum, la via dei marinai, personaggi importanti legati ad attività marinare che una volta scesi dalle loro imbarcazioni pensarono bene di abitare distanti non solo dal porto, ma anche dallo strepitio mercantile del quartiere della Lapola.
Grazie a loro si sono potute però raccogliere molte informazioni sugli esempi di edilizia residenziale privata sita in questa strada, poiché non era raro che le mura delle loro abitazioni private facessero da sfondo alla redazione dei molti atti notarili giunti fino a noi.
Durante la dominazione aragonese divenne Carrer dels Mariners, per poi assumere, nel XVI secolo, il nome di Carres dels Cavallers, anche se in realtà la parte bassa era conosciuta come Calle de Sancta Catarina, perché odorava dei profumi dell’incenso e risuonava dei canti sacri e dei cori della chiesa del convento intitolati alla forte santa senese, mentre dal primo vicolo La Marmora fino all’altezza della cattedrale, era denominata Palacio de la Ciudad, con riferimento al Palazzo Civico.
La contrada, che compare per la prima volta in un documento pisano del 1271, mantenne ufficialmente il nome di via dei Cavalieri fino al secolo scorso, quando venne intitolata a Nicolò Canelles, in ricordo del sacerdote iglesiente che nel 1566 introdusse la stampa in Sardegna. Fatto ricordato dalla targa ancora presente nella facciata dell’edificio (sito al civico 69) che ospitava l’officina, collocata nel 1872 dai proprietari di allora, i fratelli Nieddu.
In un’altra epigrafe posizionata nello stesso palazzo viene invece citato l’illustre archeologo sardo Giovanni Spano che qui visse e vi morì nel 1878. Nel 1853 lo stesso casamento ospitò anche il famoso cartografo militare Alberto Della Marmora.
In questa strada non si trovano edifici di particolare interesse, ma richiamano l’attenzione diversi elementi architettonici, atri, scalinate, portoni e balconi in ferro che meritano di essere conservati e restaurati, in quanto, pur nella loro frammentarietà, sono spesso le uniche testimonianze di uno stile e di un’epoca che attraverso questi segni conserva gli ultimi avanzi di quella che fu la nobiltà cagliaritana.
Sul muro di un palazzo che si trova al civico 32 è invece possibile osservare una lapide che ricorda l’assassinio del viceré spagnolo Emanuele Gomez de Llos Cobos marchese di Camarassa, avvenuto il 21 luglio 1668. Un fatto di cronaca che sconvolse la Cagliari spagnola di metà Seicento e che ebbe come protagonista la bellissima Francisca Zatrillas, marchesa di Siete Fuentes, una giovane divenuta famosa per il suo esagitato moto romanzesco, denso di quella passionalità amorosa e politica che alimentò congiure, assassini, cause e sentenze capitali, deportazioni e tradimenti, sconvolgendo tutta la vita politica, religiosa e nobiliare sarda della seconda metà del XVII secolo.
Ancora oggi di quel tragico fatto, che ebbe conseguenze spaventose seguite da una catena di lutti e tradimenti, ci resta quella lapide in lingua spagnola che dà dell’episodio un’interpretazione chiaramente di parte:
“A perpetua memoria di infamia di quelli che furono traditori del re nostro signore, don Jaime Artal de Castelvì, marchese di Cea, donna Francisca Cetrilla (Zatrillas), marchesa di Siete Fuentes, don Antonio Isidoro Brondo, don Silvestro Aymerich, don Francisco Cao, don Francisco Portugues e don Gavino Grixoni, colpevoli del crimine di lesa maestà per l’omicidio del marchese di Camarassa viceré di Sardegna, furono condannati a morte, alla perdita dei beni e degli onori, demolite le loro case conservando in esse rovina eterna ignominia della loro nefanda memoria, e per essere stata in questo sito la casa da cui fu commesso il delitto tanto atroce il ventuno di luglio del 1668, si è eretto questo epitaffio”.
L’epitaffio, come lo definirono gli spagnoli, venne incastonato in un’abitazione più recente, e verso la fine del 1800, dopo circa due secoli da quella triste vicenda e per riguardo alle nobili famiglie che vi erano nominate, venne nascosto sotto uno strato di intonaco. Nei primi decenni del secolo scorso fu l’ing. Dionigi Scano, allora soprintendente per la conservazione dei monumenti e appassionato studioso di storia di Cagliari, a restituirla alla luce, rimettendo così alla vista un documento che rievoca un’atmosfera di sospetto e di mistero che ancora sembra aleggiare nella buia e umida via Canelles.
PALAZZI STORICI LATO DESTRO: Palazzo Sanjust, 120-114; serie di palazzi senza nome; vico Pietro Martini; serie di palazzi senza nome; vico II La Marmora; Palazzo Pes di Villamarina, 64-62; Palazzo Amat Flores d’Arcais, 60; Palazzo Serra di Santa Maria ex Borro Zatrillas, 58; Palazzo Melis, 54-50; Palazzo Sanna Sulis, 48-46; vico I Lamarmora; ruderi palazzo Otger; Palazzo Carboni, 38-36; Palazzo Asquer, 32-22; Palazzo Pes Viale, 4.
PALAZZI STORICI LATO SINISTRO: Palazzo Onnis Bellegrandi, 93-91; Scuola materna comunale “Suore del Sacro Costato”, 89-93; vico Pietro Martini; Palazzo Nieddu Amat Villarios, 67; veduta dal basso di piazza Palazzo; Palazzo di Città, 47-45; Palazzo Lostia di Santa Sofia, 33; Palazzo Atzeni Tedesco, 23-17; Vico I Lamarmora; Palazzo Pes di San Vittorio, 15-13; Palazzo Serra, 11-9; Palazzo Sanjust De Candia Loy Donà, 7-3 (oggi i fabbricati formano un unico edificio di proprietà delle Pie Suore della Redenzione); Scuola Santa Caterina.