Via Santa Croce

Palazzo Cugia, un tempo di proprietà della famiglia Carroz Centelles marchesi di Quirra. Il palazzotto a destra oggi ospita il MUACC

In principio era un lungo e stretto sentiero, che, racchiuso all’interno della cinta muraria pisana, partiva da quella che all’epoca era la porta ovest del Castello, e che solo dal 1307 inizierà ad essere sovrastata dalla Torre dell’Elefante.
Nella parte iniziale, la strada lambiva una vasta rientranza occupata da una schiera di abitazioni disposte a semicerchio, poi, con un andamento quasi rettilineo ma in forte elevazione, percorreva l’orlo del costone del colle fino al punto in cui oggi sorge la cinquecentesca chiesa di Santa Maria del Monte. Infine, superava il Fosso di San Guglielmo, sino a raggiungere il ripido clivo dell’odierna via Fiume, voltava a destra, e andava a congiungersi con la porta nord dell’antico borgo medievale.

Il tratto di mura che caratterizzava il sentiero era suddiviso in nove cortine da otto torri: le prime sei, procedendo verso nord, erano rotonde, mentre le ultime due, rettangolari. Disposte ad una distanza uguale, oggi si conoscono solo i nomi della Torre Mordent, della Torre d’en Fores, della Torre della Fontana e della Torre Pilastris.

Impedito, nella gran parte del tempo, il transito alla popolazione, la strada veniva tenuta libera per consentire ai difensori del Castrum, in caso di assedio, di raggiungere immediatamente le poche scale incorporate nelle mura che conducevano al cammino di ronda delle cortine e nelle torri.

Interno del MUACC

Durante il Cinquecento, la necessità di opporre un’efficace resistenza a sistemi di offesa ormai evoluti, rese indispensabile la programmazione di nuovi interventi costruttivi sulle strutture pisane, non più adatte a contrastare i tentativi di espugnazione dei presidi, a resistere all’urto dei nuovi strumenti di guerra e alla potenza esplosiva della polvere da sparo.

Fu dunque inevitabile irrobustire le cortine e proteggerle con baluardi poligonali, dotando questi ultimi di possenti murature esterne e di tramezzature interne, intervallate da terra e altro materiale.  Il progetto si proponeva di ricreare una barriera capace di assorbire con maggiore successo l’urto dei proiettili, caratteristica che non avrebbe avuto la vecchia cinta fortificata, più alta ma molto meno spessa.
Questi adattamenti causeranno però la scomparsa della maggior parte delle strutture di età precedente, e gradualmente, comporteranno anche la sparizione delle torri, che nella nuova pianificazione non solo risulteranno inutili, ma andranno addirittura a ritrovarsi all’esterno del circuito.

Antico pozzo raggiungibile da una delle sale del MUACC

Il riassetto difensivo del colle e la progettazione dell’attuale Bastione di Santa Croce lo si devono innanzitutto all’ingegnere cremonese Rocco Capellino, inviato in Sardegna da Carlo V, benché un ruolo di spicco lo ebbero dopo di lui anche i fratelli Giovan Giacomo e Giorgio Paleari, due ingegneri militari ticinesi al servizio della Spagna di Filippo II.

Al cambio di strategia difensiva, i progettisti si preoccuperanno innanzitutto di ricostruire la cinta posta alle spalle dell’antico borgo ebraico, frettolosamente ripopolato dagli spagnoli dopo la cacciata della comunità israelitica, e lo spazio che in questo modo era andato a ricrearsi, venne subito munito di una casamatta pentagonale, di una casermetta dotata di un’ampia cisterna e di magazzini.

Tra il 1567 e il 1568, il Capellino fece rinforzare anche la Cortina di Santa Chiara (oggi è nota come Bastione di Santa Croce), aggiungendovi un muro scarpato. Nel vertice, tra la faccia e il lato sinistro, furono poi avanzati, verso l’esterno, anche un mezzo baluardo e una garitta, dando in questo modo alla roccaforte una conformazione trapezia con un fronte e due fianchi.

Le torri Mordent e della Fontana, poste lungo il vecchio tratto di mura pisane, vennero spianate, e al loro posto eretto il Bastione di San Giovanni (ri-intitolato poco tempo dopo a Santa Croce).

Parte superiore di via Santa Croce

La nuova cinta fortificata, rispetto a quella pisana, si ritrovò quindi spostata di una settantina di metri a ovest, e il dislivello creato, che verrà terrapienato, determinerà la formazione di nuovi spazi, utili non solo alla funzione militare, ma anche e soprattutto alla Compagnia di Gesù, nel frattempo giunta a Caller.

Il 1492 era stato un anno infelice per la comunità ebraica. Prima che il decreto di Granada, emanato dai re cattolici di Spagna, ne cancellasse ogni traccia, l’area contigua alla cinta pisana era stata il cuore pulsante della Giuderia, e in quegli stessi spazi gli ebrei vi avevano costruito non solo le loro abitazioni, ma anche una sinagoga. Dopo la loro cacciata, sul finire del Quattrocento, l’area fu assegnata ai padri gesuiti, i quali iniziarono accurati lavori di stravolgimento su tutto il quartiere, mirati a un evidente simbologia che cancellasse il ricordo dei precedenti abitanti. La sinagoga venne dapprima riconvertita al culto cristiano, e poi, vista la possibilità di espansione del tempio rispetto al suo nucleo iniziale, abbattuta e inglobata nella nuova chiesa, che vede posata la prima pietra sul finire del 1594.

All’epoca, per sradicare ogni residuo di ebraismo dalla memoria storica dei quartieri e dalla mente dei suoi abitanti, Ferdinando di Trastamara, detto “Il cattolico”, adottò la consuetudine di far intitolare alla Santa Croce ogni chiesa cristiana sorta sulle vestigia di una sinagoga distrutta. Questo avvenne anche nel tempio gesuitico di Caller, i cui padri, però, non si limitarono solo a rinominare la nuova chiesa, ma chiesero di intitolare con lo stesso nome di Santa Croce anche la lunga via adiacente, rimasta senza nome per quasi tre secoli.

Portico di via Santa Croce

Nel 1563, Giovan Giacomo Paleari, detto il “Fratino”, inizierà i lavori che porteranno alla forma definitiva della Cortina di Santa Chiara. Si occuperà principalmente della realizzazione dell’orecchione Nord, che darà all’insieme la tipica forma pentagonale, e che costituisce tuttora la struttura geometrica del bastione. La cortina franò una prima volta durante il 1577 e, ricostruita, crollò ancora nel 1598. Per vederla finalmente ultimata si dovrà attendere il 1692.

Altri lavori di rafforzamento delle mura, munite di bombarde e di altre armi da fuoco capaci di scagliare verso il nemico palle di pietra e di metallo, verranno attuati anche durante il Seicento dall’ingegnere Domenico Bruno, e poi nel Settecento dall’ingegnere militare Felice de Vincenti, incaricato da Vittorio Amedeo II.

Durante il 1728, lo stesso de Vincenti iniziò i lavori per la costruzione della caserma che avrebbe ospitato il primo corpo militare storico del Regno di Sardegna. L’edificio fu realizzato sul terrapieno del Bastione di Santa Croce e, con il titolo di San Carlo prima, e di Carlo Emanuele III poi, rimase presidiato fino al 1867.

Con i Regi Decreti n.3467, del 31 dicembre 1866, e n.3786, del 23 aprile 1867, Cagliari fu cancellata dall’elenco delle piazzeforti e dal novero delle fortificazioni del Regno d’Italia. Con la pubblicazione delle ordinanze, le mura, i baluardi, le torri, le porte e tutte le opere a carattere difensivo, una volta dismesse passarono prima al Regio Demanio e poi, dal 1876, all’amministrazione municipale.

Ingresso dell’ex Caserma San Carlo. Negli angoli è ancora presente una coppia di paracarri. I due blocchi avevano la funzione di proteggere l’ingresso dell’edificio dai carri che prercorrevano la strada

L’odierna via Santa Croce, che risale all’epoca della stesura del piano di ricostruzione post bellico approvato nel 1947, si presenta nella forma ripulita dei restauri eseguiti tra 1982 e il 1984, e oggi le strutture fortificate residue appaiono pienamente inserite nel tessuto cittadino.
Il tratto che dalla Torre dell’Elefante arriva fino all’antica Caserma San Carlo si mostra ancora nelle imponenti forme bastionate del periodo spagnolo, ma al posto della grandiosa cinta muraria che dominava l’angusta strada, il baluardo si apre come uno balcone aereo inondato di luce, con una vista che si allarga su vasti panorami che spaziano dai tetti di Stampace fino a tutto il Largo Carlo Felice, dal porto e il luccichio del mare fino allo stagno di Santa Gilla.

Durante il Novecento furono apportati numerosi lavori, e nel tempo varie costruzioni hanno subìto importanti trasformazioni.
Nel 1906 Dionigi Scano riportò allo stato originario la Torre dell’Elefante, eliminando le tamponature in muratura e ripristinando gli impalcati lignei. Fece demolire le abitazioni che nel frattempo si erano addossate tutt’attorno, e la casamatta che dava accesso alla torre venne sostituita da una piccola scala.
Nel 1901 si dedicò anche al restauro del Bastione di Santa Croce e dell’antica caserma soprastante, che assunse poi la forma definitiva con i lavori eseguiti tra il 1997 e il 2000.

Porzione mediana di via Santa Croce. Palazzo Azara apre la schiera degli edifici

Percorrendo la strada da nord verso sud, sono evidenti i rimaneggiamenti apportati. Nel corso dei secoli la via ha mutato profondamente la sua identità, sia nella struttura urbanistica che nell’aspetto architettonico degli edifici. Il tragitto, più largo rispetto a quello duecentesco, oggi scende sinuoso fino al portico che scavalca la via, e a disturbarne il silenzio è solo il fragore dei passi degli studenti che si accingono ad entrare nei locali dell’università, un tempo appartenuti ai padri gesuiti.

La città moderna, sorta in questo segmento solo dopo la demolizione di una parte della Cortina di San Guglielmo, prende avvio con il ridisegno dello spazio e la costruzione di nuovi lotti di edifici, rialzandoli in prossimità dell’area precedentemente occupata dall’antica cinta muraria. L’attuale forma viene dunque a ridefinirsi con nuovi palazzotti, o con la ristrutturazione di quelli già esistenti, in ambo i lati della strada, che in questo tratto porta quasi alla sensazione di muoversi in un corridoio invece che in una via.

Via Santa Croce. Sullo sfondo la Torre dell’Elefante

Nella parte destra è infatti un lungo muro cieco a delimitarla, che va poi a caratterizzarsi con dieci aperture, presumibilmente destinate ad ingresso per autoveicoli.
Subito dopo, in aderenza, prende invece avvio l’antica Caserma San Carlo, che, persa la sua originaria funzione militare nel 1867, passò prima al Regio Demanio e poi al Municipio di Cagliari. Trasformata in un piccolo ghetto, e abitata da alcune decine di famiglie ridotte in stato di miseria, il caseggiato e tutta l’area di pertinenza militare furono soggetti a degrado. A darle il colpo di grazia ci pensarono però gli spezzoni della Seconda Guerra Mondiale, che procurarono gravi danni alle strutture.
Dopodiché vi trovarono rifugio gli sfollati, mentre oggi, ancora di proprietà del Comune di Cagliari, dopo un complesso restauro, la struttura è stata suddivisa in due porzioni: la prima parte è diventata un centro culturale polifunzionale che ospita mostre, convegni, seminari e concerti, mentre il lato posizionato oltre il portico è stato trasformato in residenze abitative.

Palazzo Pintor

Il lato sinistro della via si contraddistingue invece per la presenza di edifici distinti, e a dare principio alla strada è la mole laterale dell’antico palazzo dei Carroz Centelles dei marchesi di Quirra. Interessato, nel corso dei secoli, da diversi cambi di proprietà, la conformazione attuale risale alla seconda metà del Settecento, mentre la facciata odierna, di epoca Ottocentesca, venne commissionata all’architetto Gaetano Cima, e rimanda allo stile neoclassico.
L’ala settentrionale del palazzo fu acquistata dall’Università degli studi di Cagliari solo in tempi recenti e, fatta oggetto di importanti restauri, i primi due piani dell’edificio oggi ospitano il MUACC, il Museo Universitario delle Arti e delle Culture Contemporanee, inaugurato il 17 marzo 2021. Il progetto è rivolto alla valorizzazione del patrimonio artistico dell’università, con una programmazione continua di mostre e di altri eventi pubblici.

Ritornati in strada, la via si affaccia sulla breve piazzetta che ospita la cinquecentesca chiesa di Santa Maria del Monte, raggiungibile discendendo due rampe di scale. Al di là della curva si impongono invece le mura laterali dell’antico collegio gesuitico.

Acquasantiera di epoca romana

Superato il portico che sovrasta la strada, a catturare l’attenzione è il portale d’accesso dell’ex Caserma San Carlo che, pur sfregiato da una contestabile ristrutturazione avvenuta nel 2021, custodisce ancora una iscrizione in lingua latina che ricorda la realizzazione del quartiere militare ad opera del viceré Carlo Amedeo Battista di San Martino d’Agliè, marchese di Rivarolo, durante il regno di Carlo Emanuele III di Savoia.

D’improvviso, poi, un bagliore invade la strada, più larga rispetto al tratto precedente, e che si apre come una finestra a mezz’aria sospesa su una luce intensa.
L’intero lato destro dell’antica Cortina di Santa Chiara è oggi un belvedere sul quale soffermarsi ad ammirare non solo le incredibili vedute sulla città, ma anche la spettacolare vista del tramonto e il cielo incorniciato dal profilo della Torre dell’Elefante. La sua posizione invidiabile, quasi a sembrare incastonata tra cielo e terra, nell’immaginario collettivo è divenuta un tutt’uno con il Bastione di Santa Croce, tanto da esserne diventata parte integrante e avere preso anche il suo nome.
Sulla terrazza, attrezzata con tavolini e sedie per i clienti dei localini che si trovano lungo la parte opposta, si può assaporare il piacere di una mite serata estiva, oppure pranzare o fare colazione riscaldati dal tiepido sole invernale.

A sinistra, invece, ancora edifici.

Elemento scultoreo di epoca medievale

Sette scalini realizzati in pietra di recupero conducono alla piazzetta Santa Croce, sulla quale si affacciano la basilica omonima e il lato più corto dell’elegante Palazzo Azara.
Eretto, quest’ultimo, in stile neoclassico durante la seconda metà del XIX secolo, si presenta con una suddivisione in quattro piani, e con finestre sul lato di via Santa Croce decorate da timpani e cornici. In corrispondenza del secondo e del terzo piano spiccano invece una serie di balconcini con ringhiere in ferro battuto. L’interno conserva ancora gli antichi pavimenti di maioliche dipinte a mano e alti soffitti affrescati.
L’edificio, realizzato sopra una parte della primitiva piazzetta, inglobò fra le sue mura il palazzo dell’annona cittadina e la duecentesca fontana pubblica, di cui oggi, a memoria, rimane una lapide marmorea situata nel vano scale. L’epigrafe, posta proprio al di sopra dell’antico pozzo, rammenta il fatto che la Fontana di Santa Croce e i sotterranei furono sistemati a spese dell’erario cittadino, al tempo di Filippo IV.

CIVITAS INCLYTA CALARIS CAPUT ET PRIMAS TOTIUS
SARDINIAE REGNI HORREA HAEC CUM FONTE
EX PROPRIO AERARIO EXTRUI IUSSIT
AD COMMUNE PATRIAE COMMODUM VIGILANTIBUS
CONSULIBUS PETRO IOANNE OTGER I.U.D DOMICELLO HIE
RONYMO FADDA PETRO PIU IOANNE ANTIOCHO CORO
NA ET AUGUSTINO CANI SUB INVICTISSIMO
NOSTRO HISPANIARUM RAGE PHILIPPO IIII
ANNO DOMINI MDCXXX

In anni successivi alla sua edificazione il palazzo diventò anche sede museale, e al suo interno vennero custoditi una ottantina di pitture provenienti dalla Chiesa di Santa Teresa e dalla scomparsa Chiesa di San Francesco di Stampace.

Palazzotti sotto la Torre dell’Elefante

Palazzo Pintor chiude la serie dei primi cinque edifici.
Il fabbricato nasce durante l’Ottocento da congiunture economiche favorevoli che hanno consentito l’accorpamento di più lotti di unità confinanti. Le più antiche case a schiera vennero fuse insieme attraverso un intervento globale di ristrutturazione che comprese non solo l’assetto interno ma anche l’aspetto esteriore dello stabile.
Risparmiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, venne nuovamente modificato alla fine degli anni Ottanta, quando il Comune di Cagliari predispose una serie di lavori per adattare gli spazi ad una nuova destinazione d’uso.

L’ingresso principale di via Santa Croce oggi è destinato alle proprietà private dei due piani alti, mentre l’accesso secondario delle scalette conduce ad una zona seminterrata con pozzo luce che si sviluppa in lunghezza. Il vano è suddiviso in due ambienti, separati da una parete aperta al centro con un’ampia arcata, evidenziata da blocchi di pietra.

Il soffitto, voltato a botte, è caratterizzato invece da dei filari trasversali, gli stessi che ricoprono in parte anche la parete di fondo e ridisegnano la centina di un’arcata cieca a sesto acuto. Lo stesso motivo si ripete nelle pareti laterali delle arcate che sovrastano le finestre, evidenziate queste ultime da cornici in pietra.

Parte meridionale di via Santa Croce. Sullo sfondo, la chiesa di San Giuseppe Calasanzio

All’interno è presente un’acquasantiera riconducibile per fattura all’epoca romana, ed un altro elemento scultoreo costituito da due basi e da un piano rettangolare realizzato con materiale di reimpiego, presumibilmente di epoca medievale. Una lastra in pietra che sovrasta un camino riporta una stemma gesuita, mentre un locale ricavato al di sotto della pavimentazione conduce ad una cisterna.

Oltre le scalette si dirama infine una seconda schiera di palazzotti disposti a semicerchio che, ubicati all’ombra della duecentesca Torre dell’Elefante, concludono l’ultimo tratto dell’odierna via Santa Croce.