Il Giudicato di Càlari

Chiavi rinvenute nei pressi della chiesetta medievale di San Pietro dei Pescatori, sorta nell’antico insediamento di Santa Igia

I giudicati furono un fenomeno storico peculiare della Sardegna, e il Regno di Càlari, chiamato anche Pluminos, era uno Stato sovrano e perfetto, poiché aveva facoltà di stipulare accordi internazionali. Il suo territorio, per metà montuoso con parte del massiccio del Gennargentu, le alture del Sulcis Iglesiente e del Sarrabus, e metà pianeggiante con il Campidano e la valle del Cixerri, si estendeva per circa 8226 km² nel meridione dell’isola, ed era limitrofo in massima parte con il Regno d’Arborea; ma toccava anche il Regno di Torres a sud di Orgosolo, ed il Regno di Gallura all’altezza della grotta del Bue Marino, nell’odierna località di Dorgali.

Si calcola che vi abitassero quasi centomila persone, di cui un terzo liberi; i restanti due terzi, o poco più, erano costituiti da servi e da schiavi esotici.

Il regno, con tradizioni bizantine, durò circa 358 anni, dal 900 circa al 1258, ed ebbe almeno dieci generazioni di sovrani noti appartenenti a sei casate: Lacon-Gunale, Lacon-Gunale di Torres, Lacon-Massa, Lacon-Serra, Lacon-Massa-Serra, Massa.

L’impero era diviso in 16 (poi 17) curadoriàs o partes (circoscrizioni o province) chiamate Barbagia di Seulo, Campidano (o Civita), Cixerri (o Sigerro), Colostrai (o Tolostrai), Decimo, Dòlia (o Parte Olla o Bonavòlia), Gerrei (o Villasalto), Gippi (o Parte Ippi), Marmilla meridionale (dal 1206), Nora, Nuraminis, Ogliastra, Quirra, Sarrabus, Siurgus (o Seurgus), Sulcis (o Sulci o Sols), Trexenta.

La capitale giudicale era Santa Igia (contrazione di Santa Cecilia, Santa Gilia o Santa Gilla), nata urbanisticamente a partire dal 703 o 704, quando gli abitanti della Karalis romana, minacciati delle scorrerie arabe, avevano cominciato a sfollare e si erano rifugiati sopra un terreno sopraelevato, ai bordi dello stagno di Santa Gilla, difeso naturalmente dalle paludi della zona di San Paolo, e già conosciuto e frequentato fin dai tempi nuragici e fenicio-punici.

L’abitato di Santa Igia divenne de iure capitale dello Stato (anche se in realtà, nel medioevo, non esistevano le capitali come oggi le intendiamo noi perché le corti erano itineranti) al momento del trasferimento ufficiale da parte dell’autorità di governo (intorno al 900-934), che si dotò di una struttura cittadina con cinta muraria e castello, porto lagunare (controllato all’imboccatura della Scafa), reggia, episcopio, cattedrale ed altri edifici pubblici. Si conta che vi risiedessero circa quindicimila persone di ogni ceto e condizione.

Abbattuta per guerra nel 1258, le sue vestigia, del tutto ignorate, si trovano ora sotto le case e le strade cagliaritane di via Brenta e via Simeto, nel quartiere di Sant’Avendrace.

Il Regno di Càlari aveva una archidiocesi e tre diocesi suffraganee, da cui dipendevano tutte le parrocchie. L’archidiocesi di Càlari, con sede a Santa Igia, comprendeva il territorio delle “curatorìe” di Campidano, Colostrai, Decimo, Gippi, Nora e Nuraminis. La diocesi di Sulcis, con sede in Tratalìas, era formata dal territorio delle “curatorìe” di Cixerri e Sulcis. La diocesi di Dòlia, con sede a San Pantaleo, dal territorio delle “curatorìe” di Dòlia, Gerrei, Siurgus, Trexenta (esclusa l’isola diocesana di Suelli). La diocesi di Suelli, con sede a Suelli (territorio diocesano di Dòlia) era infine formata dal territorio delle “curatorìe” di Ogliastra, Barbagia di Seulo, Quirra, Sarrabus.

Si suppone che la viabilità arrivasse a collegare, bene o male, tutti i paesi del regno, come dimostra il meccanismo di convocazione delle coronas de curadorìa per l’elezione dei rappresentanti popolari nel parlamento giudicale, la Corona de Logu Calaritana. Ma la strada principale era quella che, partendo dalla capitale Santa Igia, arrivava a Decimo e da lì si diramava a sud verso Capoterra, per aggirare lo stagno di Santa Gilla ed arrivare a Sarroch, Nora, Teulada, e agli altri paesi del Sulcis; a ovest, per raggiungere Siliqua, Domusnovas ed i paesi del Cixerri; a est per arrivare -via Monastir- a Senorbì, Suelli e alla Barbagia di Seulo e all’Ogliastra; a nord, per passare da Villasor, Serramanna e Samassi lungo il rio Mannu, fino a Sanluri ed oltre il confine dello Stato.

Nelle strade giudicali passava spesso anche la Corte, che era itinerante poiché seguiva il re nei suoi continui spostamenti attraverso il reame, per celebrare le corone giudiziarie, per controllare l’operato dei funzionari pubblici, o per apprendere quali potessero essere le esigenze della gente.

Nelle questioni civili e penali la giustizia era applicata secondo un codice di leggi chiamato Carta de Logu Calaretana (legge dello Stato cagliaritano).

La Corte giudicale comprendeva anche l’ufficio mobile della Scrivania statale che redigeva gli atti di governo, che non ebbe però il tempo di maturarsi in Cancelleria stabile organizzata e certificata, perché terminò la sua attività con la caduta del giudicato nel 1258.

Al momento dell’intronizzazione da parte della Corona de Logu (il parlamento giudicale), i re calaritani assumevano in alternanza (ma non si sa per quale ragione), uno dei nomi di governo Salusio o Torchitorio, aggiunto al nome personale.

Non esistono fonti storiche che raccontano degli iniziali giudici del X secolo, ma sicuramente uno dei più gravi avvenimenti militari capitato a questi sconosciuti governanti riguarda un attacco da parte dei musulmani Fatimiti (Sciiti seguaci di Fatìma, figlia di Maometto), i quali avviarono un esercito di 30 navi verso terre cristiane, espugnando la città di Genova, e passando anche per la Sardegna, facendo strage dei suoi abitanti.

Nel corso del X secolo non si ebbero altri episodi di rilievo. La vita scorreva povera ma serena, ogni tanto qualche nave partiva da Santa Igia o arrivava dall’altra sponda del Tirreno dove crescevano d’importanza le città marinare di Genova, Pisa e Amalfi.

Dopo l’anno Mille compare finalmente il nome del primo sovrano noto: Mariano Salusio della dinastia dei Lacon-Gunale. Nel 1058 gli successe il figlio Orzocco Torchitorio, il quale, forse, dovette sostenere alcune oscure lotte con il giudicato di Arborea, che decurtarono la diocesi di Càlari. Seguirono nel 1084 Costantino Salusio II, nel 1090 Mariano Torchitorio II, e nel 1130 il figlio Costantino Salusio III, morto intorno al 1163 senza discendenza maschile, col quale si spense anche la casata dei Lacon-Gunale di Càlari.

Nel XI secolo la grande novità fu la ripresa dei contatti politici e commerciali, religiosi, economici e culturali con la Terramagna, l’attuale penisola italiana.

I primi stranieri a giungere nel Regno di Càlari furono, nella primavera del 1066, i Cassinesi, che ricevettero in affiliazione alcune chiese oggi quasi tutte scomparse. Poi fu la volta dei Vittorini di Marsiglia, benedettini ricchi e potenti, indefessi agricoltori, esperti salinieri e bonificatori, che rinvigorirono il giudicato. Godevano della protezione della Santa Sede da quando erano diventati abati Bernardo (1064-1079) e Riccardo (1079-1106), molto amici del papa Gregorio VII, il quale li aveva aiutati ad ottenere dal giudice Orzocco Torchitorio I di Càlari le chiese di San Giorgio e di San Genesio, in agro di Decimo e Uta, per fondarvi un monastero, e infine ad avere, nel 1089, il priorato dell’eremo abbandonato di San Saturno, con il colle di Balnearia (Bonaria), le saline di Quartu (le cui rendite venivano sottratte non senza difficoltà all’arcivescovo), e le peschiere di San Bartolomeo servite dallo scalo marittimo di Portu Salis (oggi Su Siccu).

Dal XI secolo in poi il Regno di Càlari è da considerarsi in seno alla Santa Romana Chiesa benché i suoi sovrani non furono mai disposti a lasciar invadere dal clero i pubblici poteri. I sacerdoti intervenivano insieme ai liberos nelle curie locali, prendendo parte alle più importanti faccende dello Stato, e dalle file del clero regolare e secolare venivano spesso scelti gli ambasciatori e i fiduciari del re per le relazioni con i potentati stranieri.

Le istituzioni laiche e religiose si presentano saldamente intrecciate anche nei rapporti con le città di Pisa e di Genova, divenute dopo il Mille due potenti repubbliche marinare in lotta per l’egemonia sul Tirreno liberato dalle minacce arabe. Il Regno di Càlari propese, all’inizio, ora per l’una ora per l’altra, favorendo a volte i mercanti liguri a volte quelli toscani, oppure l’Opera del duomo di Santa Maria di Pisa e l’Opera del duomo di San Lorenzo di Genova, i due organismi pii che provvedevano al mantenimento e conservazione delle rispettive cattedrali, ma che, in realtà, fungevano da tramite diplomatico fra i governanti sardi e quelli continentali.

Mariano Torchitorio II ed il figlio Costantino Salusio III, fra il 1084 e il 1163, si avvalsero delle forze delle due repubbliche marinare per difendersi da imprecisati attacchi interni o esterni al regno. E tali rimasero anche quando scoppiò il conflitto aperto tra i due comuni italiani per il controllo della Corsica, continuato anche dopo l’equa spartizione dei sei vescovati dell’isola minore voluta da Innocenzo II nel 1133. Costantino Salusio III, non avendo avuto eredi maschi, dopo aver concesso la figlia primogenita in matrimonio a Pietro, fratello del re di Torres Barisone II, e la secondogenita Giorgia al ligure Oberto Obertenghi, marchese di Massa e Corsica, diede la terzogenita, Preziosa, al console di Pisa Tedice della Gherardesca, quando nel 1161, a dodici anni dalla seconda crociata, si trovava di passaggio in Toscana diretto in Terra Santa per visitare il Santo Sepolcro.

Morì qualche anno dopo, facendo terminare la casata dei Lacon-Gunale di Càlari.

L’anonima figlia maggiore di Costantino Salusio III, sposando il logudorese Pietro, figlio cadetto del re Gonnario di Torres, gli trasferì il nome dinastico di Torchitorio III. Costui regnò con molte traversie nel Calaritano. Durante il suo turbolento governo, Pietro cambiò più volte politica estera, fino all’accordo del primo ottobre 1174 con Genova a cui diede il monopolio del commercio franco dai tributi.

Pietro Torchitorio III morì nel 1187 senza discendenza maschile, così il trono passò al nipote Guglielmo, figlio di Giorgia de Lacun-Gunale e del ligure Oberto Obertenghi, marchese di Massa e Corsica. Guglielmo Salusio IV, della nuova casata dei Lacon-Massa di Càlari, fu un sovrano terribile, sempre in guerra con gli altri giudicati, e tramite un’intelligente politica matrimoniale riuscì a controllare quasi tutti i troni isolani. Avendo avuto dalle sue due mogli solo tre figlie femmine, diede la maggiore, Benedetta, a Barisone de Lacon-Serra, figlio dello sconfitto Pietro I d’Arborea, e la terzogenita a Ugone I de Bas-Serra, sovrano d’Arborea. Infine, sposò la secondogenita a Mariano II di Torres. Morì nel 1214.

Con lui cambiò ancora una volta la dinastia sul trono di Càlaris che andò, di diritto, al marito di Benedetta, l’arborense Barisone, divenuto, ora, Torchitorio IV.

Barisone Torchitorio IV de Lacon-Serra non visse a lungo. Morì intorno al 1217 lasciando un figlio maschio, Guglielmo Salusio V, che, essendo ancora in fasce, doveva essere rappresentato nel governo da un vicario (un giudice di fatto). Lo assistette la madre Benedetta, risposatasi più volte, e infine costretta dai suoi tre patrigni a prendere come marito Lamberto Visconti, prepotente sovrano di Gallura, e originario di Pisa, il quale, dopo aver rifondato Olbia con il nome di Terranova, aveva forzato i riluttanti giudici calaritani (Barisone ancora in vita e Benedetta sua futura moglie) a concedere ad un gruppo di imprenditori pisani la licenza di costruire, fra il 1216 e il 1217, vicino a Santa Igia, una roccaforte di circa 20 ettari che venne chiamata Castel di Castro di Càlari, e che era posta sulla collinetta dov’erano i ruderi del castrum dell’antica Karalis romana.

Morta Benedetta (1232), il quindicenne Guglielmo Salusio V de Lacon-Massa-Serra, prima di assumere a diciotto anni la pienezza dei poteri, dovette sottostare, all’ultimo, anche alla luogotenenza della zia Agnese.

Sposò una nobildonna del casato Serra ed ebbe da lei due figli, uno dei quali Giovanni Torchitorio V, detto Chiano, che gli successe in un anno fra il 1244 e il 1254.

Si sa poco sul governo di quest’ultimo re, e non sono ben noti gli avvenimenti che in quel lasso di tempo minacciarono l’integrità dello Stato. Soprattutto non si conoscono le fattezze della città pisana di Castrum Càlaris, cresciuta ormai d’importanza politica ed economica con il porto di Bagnaria autonomo, e aperto alle navi militari toscane oltre che a quelle commerciali. Sebbene ancora sotto il controllo giudicale, lo scalo costituiva comunque un prossimo pericolo per Santa Igia e per il regno che tendeva ad essere di preferenza filo-genovese.

Non passò troppo tempo, e il 20 aprile 1256, Guglielmo Salusio V cedette la rocca sulla collina al Comune ligure, suscitando la comprensibile violenta reazione dei Pisani che lì vi risiedevano.

Nell’estate dello stesso anno, Chiano fece appena in tempo a sposare una Malocello genovese, quando fu assassinato a Santa Igia da sicari pisani agli inizi di ottobre. Prima di morire, indicò (alla Corona de Logu) come suoi possibili successori i cugini Guglielmo e Rinaldo, figli della zia materna Maria Serra, e di un certo marchese Russo. Per una serie di circostanze regnò alla fine Gugliemo di Cèpola, col nome dinastico di Salusio VI.

Quest’ultimo giudice, durante il suo governo, fu forse ancora più filo-ligure dei suoi predecessori, tanto da eseguire i suggerimenti dei Genovesi che gli impartirono di scacciare tutti i Pisani dal Castrum Càlaris. Per questo fu attaccato nel 1257 da una coalizione militare formata dagli altri tre giudicati filo-pisani e dallo stesso Comune di Pisa, i quali, convergendo dall’entroterra e dal mare, assalirono prima il Castrum e poi Santa Igia, che si arrese il 20 luglio 1258 al quattordicesimo mese di guerra, venendo completamente rasa al suolo.

Guglielmo riuscì a fuggire a Genova, dove, in quello stesso 1258, morì senza discendenza.

Il Giudicato di Càlari terminò così, dopo circa 358 anni di regno.