Maria de Requesens e l’Inquisizione

Processo ad una strega

Nel 1534 Antonio Folch de Cardona i Requesens viene nominato viceré di Sardegna dall’imperatore Carlo V.

Caller in quel periodo era una sorta di capitale del malaffare, in balia di alcuni avidi esponenti dell’aristocrazia locale.
Appena giunto in città, il nuovo governo si pone dunque come primo obiettivo quello di calcolare, attraverso accurate indagini amministrative e contabili, il danno erariale provocato di fatto dal funzionario corrotto Alfonso Carrillo.

Con la morte del Carrillo, avvenuta tre anni prima, tali nuove misure indispongono gli eredi del barattiere defunto, che con questi accertamenti rischiavano di dover rendere il grosso patrimonio accumulato dal nonno, derivato dai fondi sottratti dalle casse pubbliche del regno.

La città, nel corso della lunga battaglia legale, si spacca in due potenti fazioni: da una parte Antonio Cardona e i suoi consulenti Giovanni Antonio Arquer e Giovanni Ram, dall’altra gli eredi Carrillo con il sostegno delle numerose famiglie della nobiltà callaritana legate fra loro dalla stessa frode. Azore Zapata, in particolare, essendo direttamente interessato alla questione perché tutore dei nipoti di Alfonso Carrillo e curatore dei beni di successione, coinvolge il solidale Salvatore Aymerich nell’organizzazione di un complotto teso a screditare il partito nemico e arginarne l’iniziativa.

L’occasione fu offerta loro da un processo che l’inquisitore Andrea Sanna stava istruendo contro Dominiga Figus e Truisco Casula, due amanti diabolici indiziati per stregoneria e legati, in qualche modo, all’ambiente di corte.

L’inchiesta inizia a colpire chiunque, è come la tela di un ragno, si sparge a macchia d’olio pescando negli ambienti popolari e investendo notabili, burocrati, nobili e, naturalmente, ecclesiastici.
Chi sa usare il potere dell’Inquisizione tiene tra le briglie uno stallone poderoso, capace di farsi strada negli intricati meandri del potere. E i nobili sanno come usarla.

L’istituzione sta lavorando come suo solito, cioè estorcendo testimonianze e minacciando il carcere. Vengono coinvolte donne di malaffare, e alcuni aspetti degradanti, come l’ipotesi che vi siano cortigiane del demonio a corte, vengono opportunamente ingigantite per cercare di far cadere nella rete anche la viceregina.

Dall’interno delle celle dell’Inquisizione sarda, i due imputati per stregoneria Dominiga Figus e Truisco Casula vengono costretti a coinvolgere la viceregina Maria de Requesens, accusandola di custodire un demone all’interno di un corno di bue. Ad avvalorare questa tesi fu anche la confidenza di un’altra donna, indotta a dichiarare il falso sotto minaccia e con la speranza di evitare il rogo. Seguirono altri testimoni, pronti a giurare di aver visto la viceregina partecipare, con personalità poco raccomandabili del suo seguito, ad alcuni rituali magici officiati dalla stessa fattucchiera Figus.

La campagna diffamatoria contro la viceregina si era ormai estesa, ma Maria de Requesens aveva un nome troppo importante perché si consentisse di giudicarla a livello locale.

Fiutando il cattivo presagio, Carlo V fece giungere dall’Aragona il nuovo Inquisitore Pietro Vaguer, il quale riconosce subito la gigantesca messinscena dettata dalla volontà politica di levare di mezzo un viceré tanto scomodo con un’accusa falsa.

L’affare sembrava appianato finché il precedente inquisitore Andrea Sanna, vescovo di Ales, ancora legato alla nobiltà dell’isola, istigato da Salvatore Aymerich, decide di far riaprire il caso.

Colpendo la regina si puntava a colpire lo stesso viceré Cardona, colpevole, nel 1634, di aver avviato una politica decisa a combattere l’illegalità, i soprusi della feudalità e, soprattutto, quelli dell’inquisizione.

Maria de Requesens però, sfruttando le sue conoscenze, l’autorità del marito e le valutazioni espresse dal vescovo inquisitore aragonese, cerca di ottenere il trasferimento del processo in Spagna presso il Consiglio dell’Inquisizione Generale e Suprema, che appena ricevuta la sua richiesta, la scagiona immediatamente da ogni accusa e chiude pubblicamente l’inchiesta che aveva coinvolto tutta la città di Caller di peccati e dicerie.

Sorte diversa si abbatté invece su Dominiga Figus, Truisco Casula e tutti gli altri accusatori che vennero condannati per aver confermato, benché sotto tortura, di praticare sortilegi e di ricorrere alla magia nera, oltre che per aver falsificato le testimonianze e le accuse rivolte alla viceregina.