Santa Igia: la capitale sepolta

Scorcio dello Stagno di Santa Gilla

Santa Igia fu la capitale del Giudicato di Càlari dal IX secolo fino al 1258, quando venne distrutta dai Pisani.

La prima apparizione dei musulmani nelle coste sarde, nel 700 d.C., portò il terrore ovunque. La loro fama di predoni spietati si diffuse in tutta l’isola creando un’atmosfera di insicurezza e paura.
Una prima conseguenza fu lo spopolamento delle città costiere che col passare dei secoli furono completamente abbandonate. Lo stesso clima di tensione portò al trasferimento, graduale ma definitivo, anche della popolazione cagliaritana, che si stabilì nei pressi dell’attuale stagno di Santa Gilla, una posizione facilmente difendibile da attacchi sia da terra che da mare.

Santa Igia non la si può considerare una prosecuzione di nessun’altra Cagliari, neppure di quella punico romana, poiché sorse dal nulla. Come nuova città non aveva niente in comune con le altre, e quando fu distrutta dai Pisani, scomparve per sempre. Ora giace sotto le costruzioni della Cagliari moderna e i ruderi che nel corso degli anni sono riemersi, sono stati anche frettolosamente ricoperti.

Lentamente, dal 700 al 900 d.C., Santa Igia si ingrandì e diventò un vasto centro cittadino. La si può immaginare con un tessuto urbano costituito da viuzze strette e abitazioni civili che, una accanto all’altra, lasciavano pochi spazi, circoscritti da mura possenti dominate da alte torri che davano l’illusione di sicurezza agli abitanti.

La città, a partire dall’VIII secolo, fu inizialmente residenza dei più abbienti, che come è intuibile, avevano molto da perdere da eventuali attacchi musulmani, al contrario dei poveri che potevano perdere solo la vita.

La nuova capitale era dunque dotata di una reggia dove risiedevano i Giudici, di una cattedrale, dedicata a Santa Cecilia (dalla cui contrazione deriverebbero i toponimi di Santa Igia e Santa Gilla, come ancora viene chiamato lo stagno cagliaritano), di almeno altre due chiese (Santa Maria di Cluso e San Pietro dei Pescatori, quest’ultima ancora esistente), e di palazzi ed edifici civili e religiosi, oltre che guarnita delle consuete strutture urbane di una normale cittadina medievale. Il porto lagunare costituiva il vero polmone della città, e difatti l’unico collegamento con i dominatori di turno avveniva tramite il mare.

La sua ubicazione rimane dibattuta, anche se i saggi di scavo del 1983 hanno confermato le descrizioni degli studiosi del passato che, fino alla fine dell’Ottocento, potevano ancora osservare le rovine della capitale perduta in una vasta area compresa tra l’isoletta lagunare di San Simone, le sponde dello stagno di Santa Gilla, la parte occidentale del moderno quartiere Sant’Avendrace e il colle di San Michele, estremo avamposto settentrionale del territorio cagliaritano, successivamente fortificato dagli Spagnoli. La presenza del colle e dello stagno fornivano una difesa naturale importante per l’abitato, che comunque venne cinto di mura e da fossati, quantomeno nell’ultimo turbolento periodo in cui Santa Igia e il Giudicato si trovarono al centro degli interessi delle repubbliche marinare di Pisa e Genova, nonché del Papato.

Poco si sa invece delle vicende storiche almeno fino alla fine del XII secolo, quando il Giudice Guglielmo IV (discendente del ramo paterno dei filo-liguri Obertenghi, marchesi di Massa, e per ramo materno dai Lacon-Gunale, per lungo tempo unica casa regnante di tutti i giudicati) ruppe la tradizionale alleanza con Genova, cercando l’appoggio di Pisa per invadere il Giudicato filo-genovese di Torres. Costantino II, però, non solo fu capace di respingere l’attacco, ma contrattaccò, invadendo a sua volta il territorio cagliaritano.

In seguito, intervennero anche Pisa e Genova che si fronteggiarono in una battaglia svoltasi nel 1197. I Genovesi ebbero la meglio e occuparono Santa Igia, tra saccheggi e distruzioni, per poi rientrare trionfanti a Genova.

Guglielmo IV, nonostante la disfatta, continuò a regnare più o meno autonomamente fino alla morte, avvenuta nel 1214. Gli successe la figlia Benedetta che, dopo essersi posta sotto la protezione del papa, andò in sposa a Barisone Torchitorio IV (figlio del Giudice di Arborea).

Dopo la tragica e prematura scomparsa del marito, Benedetta, suo malgrado, viene costretta a sposare in seconde nozze Lamberto Visconti, Giudice di Gallura, il quale aveva già ottenuto per conto di Pisa, sotto la minaccia di un’invasione, la concessione per la fortificazione del colle di Castello, antica sede del Castrum Romano, con lo scopo di farne un presidio per meglio curare gli interessi economici della città madre.

A nulla valsero le esortazioni di Benedetta al Papa Onorio III di sfruttare la propria autorità morale per arginare l’ingerenza pisana. Anche sotto il primogenito successore di Benedetta, Guglielmo V, il Giudicato si trovò infatti stretto tra la pressione dei Pisani e l’onerosa alleanza con Genova.

Con il Giudicato di Giovanni Torchitorio V, detto Chiano, primogenito di Guglielmo V, l’asse giudicale-genovese tentò un colpo di mano, riuscendo ad invadere Castel di Castro. Chiano, in questo frangente, concesse ai genovesi il privilegio di occupare la rocca, in cambio dell’autonomia nella gestione del Giudicato. I Pisani però non stettero a guardare, e sancita un’alleanza con il Giudice arborense Guglielmo di Capraia, con quello di Gallura Giovanni Visconti, e con il Conte di Donoratico, tutti desiderosi di ampliare i propri territori, mossero alla volta di Cagliari, assediando Santa Igia e riconquistando nuovamente il Castro.

Dopo la morte di Chiano (assassinato in battaglia nell’ottobre del 1256), l’investitura di giudice passò a suo cugino Guglielmo Salusio VI di Cèpola (figlio di Maria, secondogenita della giudicessa Benedetta), che ratificò un vero e proprio atto di vassallaggio nei confronti di Genova, rinnovando solennemente gli accordi già stipulati da Chiano.

Nel 1257 però, Guglielmo di Capraia, dopo aver sorpreso una flotta genovese di supporto al Giudice cagliaritano, riuscì a riconquistare l’intero territorio, e a Guglielmo di Cepola non rimase altro che rifugiarsi a Genova, dove morì dopo aver fatto testamento al comune ligure.

Santa Igia venne risparmiata, in un primo momento. Secondo gli accordi di resa, l’amministrazione sarebbe dovuta passare nelle mani di Pisa e i genovesi avrebbero dovuto abbandonarla. Ma forte del testamento di Guglielmo di Cepola, Genova disattese i patti, e Pisa, riorganizzata l’alleanza con i giudicati di Arborea e Gallura, pose nuovamente sotto assedio la città. Stavolta, il 20 luglio del 1258, Santa Igia venne totalmente distrutta dall’alleanza sardo-pisana, con tanto di spargimento di sale sulle rovine.

Il Giudicato di Càlari, dove diversi secoli prima era scoccata la scintilla dell’autonomia giudicale, cessò la sua esistenza, finendo per essere diviso tra Pisa, Arborea, Gallura e Donoratico.

Nonostante le scoperte del 1983, il sito, già provato dall’attività di spoglio per la costruzione dell’adiacente quartiere di Sant’Avendrace, dagli anni successivi fu oggetto di varie opere di cementificazione (viabilità, Porto Canale, centro commerciale e altra edilizia varia). Le accalorate proteste degli studiosi ottennero solo la possibilità di qualche saggio preventivo, con la puntuale conferma che sotto i loro piedi giacevano le vestigia dell’antica capitale giudicale, Santa Igia, la città sepolta due volte.

Note. Il Giudicato di Càlari