In tanti sono approdati sulle rive di questa città seguendo le rotte più consuete dei commerci, dai tempi più antichi e fino al secolo scorso. Ed è forse per questo che Cagliari e i suoi abitanti hanno un rapporto un po’ difficile con il mare, sentito spesso come portatore di conflitti e nuove dominazioni.
Popolo di mare singolare dunque, quello dei sardi e dei cagliaritani in particolare, che non hanno costruito la propria ricchezza sulla navigazione e sulla pesca, anche se nonostante questo, ieri come oggi, ci sono persone che nel golfo vivono ancora grazie ai doni delle sue acque.
È difficile dire quale sia la cultura predominante. E dal punto di vista etnico, il cagliaritano, cos’è? è sardo? spagnolo, catalano, pisano, piemontese? Tutti hanno lasciato qualcosa, e questo ne ha forse in parte compromesso l’originaria identità culturale, sebbene, allo stesso tempo, abbia contribuito a costituire anche il crogiolo etnico della popolazione odierna.
Persa tra Europa e Africa, Cagliari appartiene a nessun luogo, poiché non è mai appartenuta fino in fondo davvero a nessuno, agli spagnoli, agli arabi, ai fenici più di tutti, ed è come se non avesse mai avuto nemmeno un destino, anche se la realtà urbanistica e archeologica della città mostra ovunque i segni delle varie epoche storiche che ne hanno costruito la struttura, il carattere, la socialità, la bellezza. Le tante città che nel tempo si sono sovrapposte su questo golfo hanno avuto uno sviluppo differente e si sono spesso cancellate a vicenda durante i secoli, ma sotto i nostri piedi abbiamo sicuramente quello che resta della città punica, romana e bizantina, e ci sono innumerevoli indizi che consentono di fare delle ipotesi per provare a capire da dove proveniamo.
Cagliari sono dunque molte città che si sommano nello spazio e nel tempo, ognuna sostituendo l’altra o annettendola, facendo di quell’agglomerato rosa che si vede da lontano, e che lontano spinge il proprio sguardo, un’enorme e sedimentato testo pieno di pagine di storie.
L’epoca fenicio-punica (800 a.C. – 238 a.C.)
Stabilire cronologicamente quando sia nata Cagliari è un’impresa di non facile soluzione. Sicuramente il sito in cui sorse il tessuto urbano moderno era già occupato in epoca preistorica e da popolazioni neolitiche. Dal neolitico antico (VI-V millennio a.C.) sino agli esordi dell’età del bronzo, le strutture insediative di queste popolazioni sono probabilmente collegate alla necessità di sfruttamento delle risorse peschifere, mentre nel periodo compreso tra l’età del bronzo e l’età del ferro si perfeziona lo sfruttamento a scopo agricolo del territorio a scapito della vocazione marinara.
Tuttavia, le prime testimonianze umane nell’area cagliaritana si attestano nel periodo neolitico della “Cultura di Ozieri” (periodo che va dal 3.200 al 2.800 a.C.), in numerosi ripari sotto roccia nella zona di San Bartolomeo e del colle di Sant’Elia, dove si ha anche notizia di una Domus de Janas distrutta nei primi anni del 1900. Ma ci sono tracce di piccoli insediamenti abitativi anche nella zona di piazza d’Armi e di Buoncammino, in viale Trieste e in via Is Maglias, tutti agglomerati che farebbero pensare ad un primo germe del nucleo urbano.
Non diversa è la situazione nel periodo denominato “Cultura di Monte Claro” (tra il 2.700 e il 2.200 a.C.), così chiamato perché i primi ritrovamenti di questa fase furono fatti proprio nel colle cittadino e nelle sue vicinanze (sepolture rinvenute all’interno dell’ex clinica psichiatrica, in via Trentino e in via Basilicata, grazie a ritrovamenti fortuiti dovuti a scavi edilizi), dove si evincono tracce di villaggi nell’area compresa tra Sa Duchessa (tra i campi sportivi universitari del CUS Cagliari e la Facoltà di Lettere) e il rione La Vega. Si trattava di piccole borgate costruite prevalentemente da pescatori, allevatori e agricoltori, stanziatisi nell’area cagliaritana e più generalmente nel centro sud dell’isola.
Del periodo nuragico si hanno pochissime notizie, con tracce ceramiche e litiche a Sant’Elia, Tuvixeddu e Monte Claro. Si ha notizia, fino al XIX secolo, anche di alcuni blocchi di pietra ritrovati sulla sommità di Monte Urpinu, forse residuo di un nuraghe ormai scomparso, o probabilmente inghiottito dalle batterie antiaeree della Seconda Guerra Mondiale.
A parte qualche dato archeologico, così come lo intendiamo in senso moderno, la città vera e propria ebbe origine verso la fine del II millennio a.C., o forse ai primi dell’inizio del I millennio a.C., allorché i fenici di Tiro cominciarono a stabilirsi lungo le coste del Mediterraneo occidentale, insediandosi in quei punti strategici uniti ai loro commerci.
Cagliari, come Nora, fu uno di quei luoghi.
Il nucleo primitivo di Krly (Cagliari, se lo leggiamo ai giorni nostri) sorse con tutta probabilità lungo le rive dello stagno di Santa Gilla, laddove le paludi e gli avvallamenti di terra permisero non solo la creazione di un porto commerciale, ma anche di stabilire fondaci, magazzini e strutture abitative. Lì era situato anche un piccolo promontorio che separava due bacini d’acqua (che fungevano da porti, utilizzati a seconda del vento) sopra il quale venne eretto un tempio dedicato a Melqart (l’Ercole fenicio – nei pressi della centrale elettrica fu rinvenuto anche un cippo con l’iscrizione della dedica al tempio).
Nel corso del VI secolo a.C., la città, non ancora capitale, si estese anche verso oriente, occupando le aree delle attuali viale Regina Margherita e del largo Carlo Felice, e installando poli religiosi e sepolcri tra le aree di Bonaria e di Sant’Elia. Nel contempo si potenziò e si creò anche il nuovo approdo prospiciente l’attuale darsena. A quel periodo risale la creazione della prima necropoli, nell’area del colle di Tuvixeddu, uno dei monumenti più insigni lasciati in eredità dai fenici. Una seconda zona cimiteriale si costituirà invece alla base dell’attuale collina di Bonaria.
Immersa in un clima di traffici e posizionata strategicamente lungo una delle rotte più redditizie, Krly prospera e si arricchisce, diventando una delle realtà più dinamiche del versante occidentale del bacino Mediterraneo.
Il quadro muta quando, a partire dalla metà del VI secolo a.C., ad essi si sostituiscono le genti di Cartagine, che trovano negli agglomerati fenici dei capisaldi per il controllo e l’egemonia del Mediterraneo occidentale. Nei tre secoli della dominazione punica, fu Nora e non Cagliari la principale città della Sardegna meridionale, ma in questo periodo è da supporre che Krly, da un insieme di piccoli nuclei insediati fra le rupi e gli stagni, si sia lentamente evoluta verso una compiuta forma urbana.
A differenza dei fenici, i cartaginesi non si limitano a commerciare, ma dai loro scali costieri iniziano una massiccia penetrazione verso l’interno per sfruttare al massimo le risorse agricole e minerarie dell’isola. Cagliari era importante anche per le saline, di cui, in questo periodo, si inizia il sistematico sfruttamento grazie al riparo naturale fornito dallo stagno e per la presenza di manodopera di importazione che poteva fornire manufatti in ferro o in ceramica. Si abbandonano i colli e si usano le grotte solo come città dei morti, si fortificano i nuclei principali e si diversificano le strutture portuali.
I principali insediamenti erano ubicati a oriente, nell’attuale quartiere di Bonaria, dove erano presenti una necropoli e un porto per l’imbarco del sale, e sul colle di Sant’Elia, con il santuario di Ashtart; a nord ovest, a valle del colle di Tuvixeddu, vi era un insediamento più cospicuo col porto lagunare per il grano; al centro, in corrispondenza dell’attuale piazza del Carmine, vi era la città punica sede dei magistrati – i sufeti -, degli ufficiali e della colonia cartaginese. Quasi niente si può invece ipotizzare per la maglia urbana, resa irriconoscibile dal sovrapporsi dello stato romano.
L’epoca romana (238 a.C. – 476 d.C.)
Ricchezza, collocazione invidiabile e dinamicità economica, attirarono fin da subito le mire della potenza nascente, che, dalle sponde del Tevere, si allargava in tutta Italia e guardava già oltre Tirreno.
I romani conquistarono gran parte dell’isola nel 238 a.C. (anche se invero il territorio sardo fu funestato da continue insurrezioni e guerre che si protrassero fino agli albori del I secolo d.C.) ed elessero Karalis (Cagliari) a loro capitale, soppiantando così il ruolo fino a quel momento svolto da Nora.
Nora, fondata dai cartaginesi, ubicata in posizione favorevole sulla rotta delle navi che sostavano per poi continuare verso la penisola iberica, e, soprattutto, vicinissima all’Africa punica, acquistò notevole importanza commerciale e politica, tanto che divenne quasi una città-stato. Ma Nora sorgeva anche in un golfo formato da un promontorio, e alle sue spalle si innalzavano aspre zone montane dove i nuragici si potevano facilmente nascondere e colpire. Per questa esigenza di difesa, i romani preferirono spostarsi e decentrarsi nella non lontana Karalis.
La nuova occupazione portò la diminuzione dell’importanza strategica della città poiché la politica di penetrazione militare romana non aveva come obiettivo gli scambi commerciali o lo sfruttamento delle risorse, bensì l’assoggettamento completo dei territori conquistati. Karalis si trovava in una posizione vantaggiosa per sacrificarla ai traffici marittimi, e per questo motivo venne elevata al rango di municipio romano, nonché a capitale dell’isola. Tale qualifica era la conseguenza di un processo di romanizzazione, ma l’eredità del mondo punico non venne dimenticata, né dalle magistrature cittadine, né dalle strutture urbane che vengono riutilizzate anche dai nuovi conquistatori.
La città di allora doveva estendersi nel lato orientale della laguna di Santa Gilla, con un porto interno dalle acque calme, facilmente difendibile, e un entroterra pianeggiante e quindi controllabile.
I colli che circondavano la città di Karalis, oltre ad essere degli osservatori naturali, costituivano un ostacolo insuperabile per i nemici e una barriera ai loro eventuali attacchi da Nord Nord-Ovest. Il lato orientale era invece protetto dalla laguna di Molentargius controllata a vista dal promontorio di Sant’Elia.
I motivi geografici e naturali, e l’entroterra pianeggiante e adatto alla coltivazione del grano, fecero nel tempo la fortuna di Karalis che da borgo diventò vera città con porto ed economia commerciale.
Con l’arrivo dei nobili romani decaduti o trasferiti per punizione in questa remota provincia isolana, la vecchia città fenicio-punica mutò però radicalmente aspetto. L’antico sito presso Santa Gilla diventò essenzialmente in quartiere povero, popolato da sbandati e portuali, mentre i nuovi signori iniziarono a costruire le loro dimore autonome e sfarzose in zone leggermente più elevate e decentrate (via Tigellio, corso Vittorio Emanuele II, viale Merello..).
La città sviluppò un foro intorno all’attuale piazza del Carmine, si abbellì con templi ed edifici pubblici, potenziò la sua vocazione commerciale e cominciò ad essere parte integrante della res publica. La popolazione, iscritta nella tribù Quirina, occupò le aree della Marina (densamente abitato e dedito ai traffici) e di Stampace (dove sorsero splendide ville e botteghe artigiane), mentre nel quartiere Castello, verosimilmente, venne installata l’acropoli. Terme, teatri, porticati, cisterne, pozzi, mercati, la città divenne un modello di sviluppo secondo il concetto romano, permettendo alla popolazione locale di vivere agiatamente. Nel II secolo d.C. Karalis raggiunse l’apice del suo sviluppo, dotandosi anche di anfiteatro.
Probabilmente a quel tempo la popolazione contava all’incirca 30.000 persone.
Vennero potenziate anche le aree di sepoltura (quelle di Tuvixeddu e di Bonaria), mentre lungo il viale Sant’Avendrace si sviluppò una sorta di “via Appia” in miniatura, con la costruzione di monumenti funebri, cenotafi, e ipogei.
Di tutto questo rimane oggi ben poco, vuoi per le distruzioni apportate dalla storia, vuoi perché le evidenze archeologiche si trovano ben al di sotto dell’attuale livello del terreno. Eppure, uno sguardo attento può cogliere mille segni della presenza romana in città. Gli scavi sotto la parrocchia di Sant’Eulalia ne sono un esempio.
Nel corso del III o IV secolo d.C. la città si dotò di nuove mura (o riutilizzò quelle già esistenti in epoca fenicia) per far fronte ai continui pericoli che risorgevano dal mare, non più solo romano.
Ma con la crisi dell’Impero romano d’Occidente, anche Karalis subì rovesci, perdendo gradualmente la sua bellezza monumentale ed avviandosi verso un periodo di decadenza. Tra il III ed il IV secolo cominciò a muovere i primi passi anche il cristianesimo. Figure come Lucifero, Fulgenzio, Brumasio, Gianuario, Simmaco, Gregorio Magno, sono intimamente legate non solo alla storia della chiesa ma anche alla diffusione della religione monoteista, prima tra le popolazioni urbane, quindi tra i pagani delle campagne.
L’epoca vandalica e bizantina (476 d.C. – 1000 d.C.)
Ancora prima della caduta di Roma nel 476 d.C., l’isola viene occupata dai vandali, una popolazione germanica, che, dopo un lungo peregrinare, passando dalla Gallia e dalle Spagne, approda nel nord Africa conquistando Cartagine. Siamo nel 439 d.C.. I vandali, rozzi ed incolti, costruiscono una possente flotta con la quale oltre a molestare le coste italiche conquistano la Sardegna, la Corsica, le Baleari e alcune località della Sicilia. Nello stesso momento, gli ariani stavano combattendo anche una dura lotta contro i cristiani ortodossi d’Africa e, approfittando delle nuove conquiste, esiliano in Sardegna vescovi e religiosi, favorendo ancor di più la diffusione del cristianesimo nell’isola. Nel 533, la Sardegna, insieme al resto dell’Africa settentrionale, viene però riconquistata dai romani d’oriente: i bizantini, guidati dal generale Flavio Belisario. L’isola, da questo momento, è accorpata alla prefettura del pretorio d’Africa, e viene retta da un dux (carica militare risiedente a Forum Traiani, l’attuale Fordongianus) e da un praeses (amministratore civile, con sede a Karalis). Inutile dire che il tessuto urbano e la sua vivacità economica e sociale vanno spegnendosi e ripiegandosi su se stessi, causa il generale impoverimento dei tempi e le massicce incursioni arabe che, a partire dal 698 d.C. (anno della caduta di Cartagine in mano musulmana), vedranno l’isola in prima linea nella lotta contro gli infedeli.
Furono anni difficili per Karalis che, non avendo alcun modo di difendersi, fu lentamente abbandonata a favore di un nuovo insediamento sorto ancora una volta sulle rive della laguna di Santa Gilla, più facilmente controllabile, e che prese il nome di Santa Igia.
Karalis, dopo circa 1600 anni dalla sua nascita, fu per sempre abbandonata, e il suo ricordo pian piano sparì, rimasero solo i ruderi a futura memoria dell’antico centro che cadde definitivamente nell’oblio.
Il periodo dei Giudicati
Dalla fine del VI agli inizi del X secolo circa, la storia di Cagliari è quasi sconosciuta. A parte qualche breve cenno in cronache e documenti, i riferimenti sono scarsi e contraddittori. Pare comunque che fino al X secolo Kalaris fosse retta da un magistrato, con il titolo di protospatharius, hypatos (cioè console) et dux, che faceva riferimento alla corte bizantina della provincia di Sardegna.
L’isolamento e la lontananza del centro di potere sviluppò però forze centrifughe che portarono ben presto i sardi a rendersi se non ufficialmente, almeno di fatto, indipendenti.
Autorità massima dell’isola, al principio, doveva essere un unico iudex (giudice), via via esautorato da luogotenenti probabilmente inviati da Santa Igia a governare le lontane zone della Gallura, dell’Oristanese e del Logudoro.
In data imprecisa, ma probabilmente sempre nel X secolo, l’unità amministrativa della Sardegna cessa di esistere e l’isola si proclama autocefala, rendendosi formalmente indipendente. Vanno così a formarsi quattro veri e propri regni autonomi, i cosiddetti Giudicati: Calari, Arborea, Torres e Gallura, retti dai membri della medesima famiglia dei Lacon-Gunale.
Il giudice della nuova Calari ebbe la propria residenza nella città sorta nella laguna di Santa Gilla, al riparo dagli attacchi dei mori, mentre la vecchia città romano-bizantina, come pare, cadde in completo abbandono. È però quasi certo che alcuni gruppi isolati vivessero quanto meno nelle appendici oggi chiamate Stampace e Marina, nonostante il fulcro del potere si fosse spostato nuovamente ad occidente, laddove i fenici avevano insediato il primo embrione della città.
Nel frattempo, i giudici sardi iniziano ad intrattenere rapporti economici (e matrimoniali) con le repubbliche marinare di Genova e Pisa, e proprio quest’ultima allaccerà relazioni indissolubili con il giudicato di Calari. È anche un periodo in cui gli ordini monastici arrivano in Sardegna e fondano monasteri in tutto il territorio. A Cagliari arrivano i vittorini, provenienti dal Monastero di San Vittore di Marsiglia, che si insediano nella basilica di San Saturno facendone sede del loro priorato.
Pisa intensifica sempre più i rapporti commerciali con Santa Igia, la capitale del regno giudicale di Calari, e questo porterà il giudicato ad una fase di declino che comporterà non solo l’alienazione di buona parte del patrimonio pubblico a favore di Pisa e Genova, ma anche un progressivo asservimento della politica stessa del giudicato agli interessi delle due repubbliche d’oltre Tirreno. Alla fine del XII secolo, scalzati i Lacon-Gunale, i Massa, di origine pisana, occupano il trono giudicale avviando il regno alla sua fase finale.
La rifondazione e la Cagliari pisana (1215 d.C. – 1323 d.C.)
Nel 1016, pressate dal papa, le repubbliche marinare di Pisa e Genova, per una volta alleate, si uniscono ai sardi per cacciare i musulmani. Pian piano, però, iniziano anche ad interferire nelle politiche dei giudicati, favoriti dalla conflittualità dei giudici, spesso dediti a trame dinastiche e ad aggressioni militari volte a delegittimare l’uno o l’altro pretore.
Con la morte del giudice Guglielmo IV, avvenuta nel 1214, i compiti di regnare il giudicato di Calari passano per successione a sua figlia Benedetta, appena andata in sposa a Barisone, figlio del giudice d’Arborea. Dopo la tragica e prematura scomparsa del marito, Benedetta, suo malgrado, viene costretta a sposare in seconde nozze Lamberto Visconti, giudice di Gallura, il quale aveva già ottenuto per conto di Pisa, sotto la minaccia di un’invasione, la concessione per la fortificazione del colle di Castello.
I pisani, che avevano già iniziato a frequentare la Sardegna, incominciano ad imporre i loro commerci in competizione con Genova e, riuscendo a ricavarne i massimi profitti, ottengono il monopolio mercantile dell’isola ed una supremazia che va oltre quella economica. I pisani si erano rivelati abili nell’offrire servizi ai giudici (come l’addestramento militare o quello marinaresco), erano degli astuti consiglieri politici ed esperti diplomatici, e i rampolli dei signori locali non di rado venivano ospitati a Pisa per ricevere un’educazione.
Con il secondo matrimonio, Benedetta viene dunque obbligata ad ufficializzare la cessione del colle su cui si fonderà il Castrum Calari, e ciò consentirà ai pisani di poter costruire una roccaforte che diventerà non solo una vera e propria città autonoma dal giudicato, ma permetterà loro anche di difendere meglio i propri interessi di mercanti.
Siamo agli albori della lunga storia del colle battezzato Castellum Castri de Kallari (Castrum Calari), primo nucleo dell’attuale città di Cagliari.
Scaltri e con le mani in pasta ovunque, abili mercanti e navigatori, ben presto i pisani si accorgono delle potenzialità del luogo in cui sorgevano le rovine della città romano-bizantina.
Fortificata e dotata di edifici, la zona diviene dunque il fulcro della presenza del comune pisano nel regno cagliaritano, e risale a questo periodo anche la prima menzione dell’esistenza della chiesa di Santa Maria, futura cattedrale di Cagliari.
Quasi mezzo secolo più tardi, dopo una moltitudine di minacce, invasioni e battaglie tra pisani e genovesi, il gioco delle alleanze diviene purtroppo fatale al giudicato di Calari e alla sua capitale Santa Igia.
Nel 1258 infatti, i pisani, insieme ad una coalizione formata dai regni sardi di Arborea, Gallura e Logudoro, attaccano Santa Igia, poiché filo genovese, distruggendola completamente e mettendo fine al giudicato.
Castrum Calari diviene il centro motore del sud dell’isola, nonché sede del potere pisano a Cagliari, amministrato direttamente da Pisa tramite un Capitano, e dotato di un proprio statuto. Le aree del borgo del Castello, chiamate partite (la Pellaria, la Marinaria, la Ferraria, la Gamurra), vengono abitate dai nuovi immigrati, raggruppati per tipologia di mestiere. Tutto ruota intorno alla piazza comunale e sulle attività del rivitalizzato porto di Bagnaria. Sorsero torri, edifici in pietra di interesse pubblico, mura, strade, e in seguito alla distruzione della vecchia Santa Igia, la chiesa di Santa Maria viene elevata al rango di cattedrale.
I sardi, invece, non potendo risiedere nel centro fortificato, abitato esclusivamente dai pisani, creano nuovi nuclei abitativi alle falde del colle, borgate che oggi prendono il nome di Stampace, Marina e Villanova.
Il possesso di Cagliari e della Sardegna diventò la fortuna finanziaria pisana, e fino alla conquista aragonese, Cagliari non è altro che un pezzo di Pisa in terra di Sardegna.
Dagli aragonesi agli spagnoli (1323 d.C. – 1720 d.C.)
Tremendo destino o fato che fosse, neanche la Cagliari pisana ebbe però vita facile e tranquilla.
L’Aragona, in piena espansione nel Mediterraneo, pone gli occhi su Sardegna e Corsica, intuendone le potenzialità. Cagliari per gli aragonesi non era però un obiettivo commerciale da rendere fruttifero con seguaci investimenti, come lo era stata per i Pisani e i Genovesi, ma rappresentava solo un’ulteriore conquista nella cornice della loro politica mediterranea.
Nel 1297, le due isole vengono infeudate alla Corona catalana da papa Bonifacio VIII che, per risolvere diplomaticamente la guerra del Vespro, (scoppiata nel 1282 tra angioini e aragonesi per il possesso della Sicilia) istituisce motu proprio l’ipotetico Regnum Sardiniae et Corsicae e lo concede in feudo a Jaime II, re di Aragona e di Valenza e conte di Barcellona, in cambio della Sicilia.
La concessione del Regnum era in realtà un atto puramente nominale, non riconosciuto da Pisa, Genova e dai sardi, pertanto, era necessario che il re catalano la Sardegna se la conquistasse con le armi.
L’isola subisce quindi la cupidigia della nuova potenza catalano aragonese, la quale giunge in Sardegna per prendersi il feudo. Dopo decine di attacchi e parecchie vittime, riesce a conquistarla con la Battaglia di Lucocisterna del 1324.
La scelta degli aragonesi sarà quella di depotenziare e demolire Bonaria, una vera e propria città fortificata, nonché luogo del loro primo stanziamento a Cagliari, e di sostituire ciascun abitante pisano fino a quel momento risiedente nel Castrum Calari con un cittadino catalano aragonese. I pisani, per far spazio ai nuovi abitanti catalani, sono dunque costretti a lasciare il castello fortificato per rientrare nella loro città d’origine, o mescolarsi alle altre genti.
Cagliari cambia popolazione ancora una volta.
La presenza degli spagnoli in Sardegna ha coperto un ampio periodo temporale, pari a quattro secoli, e secondo una consuetudine ormai consolidata dalla storiografia tradizionale, la loro dominazione si divide in due periodi: l’Età Catalano Aragonese, che va dal 1323 al 1479, e l’Età Spagnola, che va dal 1479 al 1720.
Gli aragonesi fecero della rocca di Castello la residenza del governatore e del viceré, mentre le zone limitrofe fuori le mura furono destinate ai locali. In questo contesto nacquero i veri e propri quartieri di Stampace e Villanova, mentre quello della Marina fu rinforzato con nuove mura e adibito a deposito e prima accoglienza per le mercanzie sbarcate dalle navi. La cittadella fortificata vide pian piano formarsi una valida classe di artigiani che ben presto si affermarono in tutta l’isola. Castel de Caller, come fu battezzata dagli aragonesi, divenne a tutti gli effetti capitale dell’isola iniziando quel ruolo che ancora oggi interpreta.
Nel 1469 con il matrimonio tra Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia comincia il processo di unificazione della Spagna sotto un’unica Corona, mentre nel 1535, Carlo V, primo sovrano della Spagna riunita, visita Cagliari.
A partire dal 1552, con il crescere della minaccia ottomana, Caller si dota di nuove mura, quelle stesse che ancora oggi si possono ammirare intorno al tessuto del quartiere Castello. Anche le appendici vennero dotate di fortificazioni, tuttavia abbattute nel corso del XIX secolo.
Il 1600 divenne il secolo dell’esplosione del barocco, ma anche dell’allucinato, immobile e stagnante, governo ispanico.
Si può dire che in questo periodo la città, sul piano dello sviluppo culturale ed economico, raggiunge uno dei suoi punti più bassi. Ciononostante, vi sono anche note positive. Comincia a svilupparsi nuovamente un ceto mercantile, formatosi dalle ricchezze confluite dai traffici di granaglie e di altri prodotti locali che vengono commercializzati attraverso il porto di La Pola. Famiglie iberiche, ma non solo: siciliani, liguri, napoletani, provenzali, greci, perfino sardi, ognuno apporta un tassello al nuovo modello di sviluppo.
Non fosse per l’inesperienza del governo centrale, la Sardegna potrebbe anche staccarsi dall’arretratezza endemica.
I piemontesi e il Regno di Sardegna (1720 – 1861)
Agli inizi del Settecento, Carlo II di Spagna muore senza lasciare eredi, e, per disposizione testamentaria, viene proclamato re di Spagna, con il nome di Filippo V, il diciassettenne duca d’Angiò Filippo di Borbone (nipote della sorella di Carlo II, Maria Teresa di Spagna, sposata con il re di Francia Luigi XIV), con la condizione di rinunciare per sempre ai suoi diritti e a quelli dei suoi discendenti sulla Corona francese.
Temendo l’unione di Francia e Spagna, nel 1703, Inghilterra, Olanda e Austria formano una nuova coalizione che riesce ad insediarsi a Barcellona, dove, il principe Carlo d’Asburgo, figlio di un’altra sorella di Carlo II, si fa prima proclamare re di Spagna con nome di Carlo III, per poi, due anni più tardi, riuscire a farsi dichiarare solennemente anche re dei catalano aragonesi.
La Sardegna, in questo momento, è divisa in due fazioni.
Nel 1708, un contingente militare anglo olandese agli ordini degli Asburgo bombarda il Golfo di Cagliari. Carlo III, imperatore d’Austria, riesce in questo modo ad insediare un suo viceré, aprendo le porte alla conquista dell’isola.
La maggior parte degli esponenti del partito legittimista fugge in Spagna. Da Madrid, invece, gli esuli guidati da Vincenzo Bacallar, governatore di Cagliari e della Gallura, tentano di organizzare una spedizione ed una controffensiva a favore di Filippo V, che si conclude però negativamente, e con un infelice sbarco a Terranova.
L’Inghilterra, a sua volta, domina in lungo e in largo il Mediterraneo, arrivando fino ad occupare Gibilterra e a sbarcare a Barcellona.
Con i trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714), a Filippo V viene concesso di rimanere sul trono di Spagna, ma con la controparte di Minorca e Gibilterra a favore della Gran Bretagna; i Paesi Bassi, Napoli, il ducato di Milano e della Sardegna vanno agli Asburgo, mentre la Sicilia e una parte del milanese alla Savoia.
Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II ottiene dunque il Regno di Sicilia con il relativo titolo regio. La Sardegna, invece, assegnata all’Austria, diviene da questo momento una delle principali pedine di scambio per il successivo riassetto degli equilibri europei.
Cagliari intanto stava a guardare e assiste con meraviglia al ritorno imprevisto degli Spagnoli che, nel 1717, sbarcano un contingente di 8500 fanti che bombardano la città costringendo gli asburgici ad arrendersi.
Le potenze europee, ora riunite in una quadruplice alleanza, decidono, con l’accordo di Londra, di restituire la Sardegna a Carlo III d’Asburgo, che ottiene di scambiarla con la Sicilia già in mano ai savoia, per avere una continuità con i territori napoletani già sotto il suo dominio.
Il 16 luglio 1720, a bordo di una nave inglese, arriva a Cagliari il primo viceré piemontese: Guglielmo Pallavicino Barone di St. Remy. La città, in questo modo, dopo quattro secoli di cultura iberica entra definitivamente nell’orbita italiana, diventando inconsapevolmente anche la prima capitale storica del futuro Regno d’Italia. Tuttavia, i Savoia evitano la loro visita nell’isola finché non vengono costretti a fuggire dal Piemonte, caduto in mano ai francesi di Napoleone nel 1799.
Nel 1793 i francesi sbarcano nel Golfo di Cagliari, dove vengono inspiegabilmente respinti dagli stessi miliziani sardi arruolati dai Signori, che avrebbero dovuto invece accoglierli come liberatori. Con questo comportamento leale verso i governanti di casa Savoia, gli stessi Signori speravano di ottenere alcune importanti concessioni dai piemontesi e per questo motivo mandano a Torino una delegazione sarda. Il sovrano sabaudo, invece, evita per mesi di ricevere la rappresentanza isolana, scatenando in questo modo una insurrezione che in breve tempo porta alla cacciata di tutti i piemontesi dalla Sardegna. Era il 28 aprile 1794, e quell’evento è ricordato ancora oggi con il nome di “Sa die de sa Sardigna”.
Fu dunque solo quando furono messi in fuga dai francesi che i reali piemontesi misero per la prima volta piede a Cagliari.
La situazione politica e amministrativa però non cambiò, anzi, vennero imposte nuove tasse per sostenere la spese della corte che, nemmeno in questo periodo di crisi, divenne avvezza al risparmio. Nel 1812 ci fu allora una nuova sommossa, ribattezzata “La Congiura di Palabanda”, che scoppiò a Cagliari proprio a causa della fame e della grande carestia, ma che fu soffocata nel sangue.
Nel 1838, con disposizione del re Carlo Alberto, fu abolito il feudalesimo, e nel 1847 anche il parlamento sardo. La fusione di un unico parlamento a Torino comportò a sua volta anche l’eliminazione della carica di viceré.
La Sardegna era divenuta dunque uno stato unitario, ma il fervore dell’unificazione pervadeva i grandi uomini e forse anche il popolo, tanto che con le guerre per l’indipendenza, nel 1861, il nuovo parlamento (formato dai rappresentanti di tutti gli stati annessi al Regno di Sardegna) si dovette riunire per esprimere la volontà di formare il “Regno d’Italia”, del quale Vittorio Emanuele II, senza cambiare l’ordinale, ne diventò il primo sovrano.
Non ci fu mai una dichiarazione esplicita da parte del re e nemmeno nessun annuncio che comunicava il cambiamento del nome, poiché Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, non ne volle sapere di diventare il primo re d’Italia. Per alcuni mesi ci fu solo un Regno d’Italia di fatto, evidenziato solo il 17 marzo 1861, quando la Gazzetta Ufficiale del Regno di Sardegna cambiò intitolazione diventando Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia.