San Fulgenzio e il Cristianesimo

San Fulgenzio da Ruspe

È l’inizio del V secolo quando nel territorio dell’Impero Romano cominciano ad imperversare le popolazioni barbariche di origine germanica, tra cui i Vandali di Genserico. Nel 429, lo stesso sovrano vandalo, dopo aver percorso la penisola iberica, attraversa lo stretto di Gibilterra per stabilirsi nel centro dell’Africa settentrionale e per fondare un regno in una delle provincie più romanizzate e più ricche dell’Impero.

Le fonti antiche dipingono il dominio vandalico come assolutista e crudele: i proprietari terrieri romani vengono cacciati brutalmente dai loro possedimenti e viene imposto un rigoroso arianesimo che tende a soffocare il cattolicesimo. Di fatto i Vandali hanno ora il pieno dominio del Mediterraneo occidentale e ne saccheggiano le coste: la Sicilia, la Sardegna, la Corsica con le Baleari e le altre provincie nordafricane cadono davanti al nuovo e spietato re, tanto che nella pace del 474-476 l’imperatore Zenone ne riconosce tutte le conquiste.

Nel continuare la politica filoariana dei suoi predecessori, Trasamondo inizia a proibire alle comunità cattoliche anche di eleggere nuovi vescovi, allo scopo di provocarne l’estinzione, per così dire, naturale.
La trasgressione di tale editto per i vescovi ribelli significa solo una cosa: l’esilio.

In Sardegna giungono un centinaio di ecclesiastici, e fra questi spiccano i nomi di Fulgenzio di Ruspe, del vescovo di Cartagine Feliciano e, secondo alcune fonti, anche di quello di Ippona, che avrebbe portato con sé i resti di Sant’Agostino.

Tra i prelati che furono ospitati a Cagliari dal vescovo Brumasio si distinse senza dubbio, per cultura ed autorevolezza, Fulgenzio di Ruspe, il quale, nel manoscritto “Vita S. Fulgentii”, viene tratteggiato come “la lingua e l’ingenium”, oltre che narrato come un oracolo per i numerosi fedeli che accorrevano a lui per chiedergli consiglio.

Nei circa quindici anni complessivi di permanenza in  Sardegna (508-523) Fulgenzio realizzò un cenobio nella periferia cagliaritana, oggi non più identificabile, ma comunque localizzato nell’area dove sorge la basilica di San Saturnino Martire.
Si trattava di un vero e proprio centro di preghiera e di cultura che, lungi dall’essere un luogo di isolamento, come avrebbe voluto Trasamondo, si trasformò in una vera e propria “cassa di risonanza”. Il cenobio fondato da Fulgenzio, in quanto centro di cultura oltre che di preghiera, possedeva anche un proprio scriptorium, e da esso uscì il prezioso codice Basilicano, ora conservato all’interno della Biblioteca Vaticana, che contiene il De Trinitate di Ilario di Poitiers, le cui note marginali sarebbero state scritte di pugno da Fulgenzio, o comunque da un personaggio gravitante nell’orbita di questo monastero.

I vescovi esiliati in Sardegna durante il dominio vandalico ricevettero sostegno morale ed aiuti materiali da Simmaco (498-514), il quale, eletto vescovo di Roma, dopo aver superato la rivalità del diacono Lorenzo, dovette esercitare il suo ministero in un periodo particolarmente tormentato, in cui erano fortissime le ingerenze del potere politico.

Le figure di Fulgenzio e di Simmaco, che grandeggiano nel panorama di quei tempi così convulsi, fungono per così dire da cerniera fra l’età tardo-antica e quella alto-medievale.

Ma chi era Fulgenzio di Ruspe?

San Fulgenzio da Ruspe *

La sua vita è descritta nella “Vita S. Fulgentii”, un testo redatto nel 533 ed attribuito ad un suo discepolo, il diacono cartaginese Fernando, morto intorno al 546.

Fulgenzio apparteneva alla ricca famiglia senatoriale romana dei Gordiani che aveva dimorato a Cartagine. Nacque a Thelepte, oggi Nedimet-El Kedima, presso Tunisi, nel 476. Sua madre Mariana curò con diligenza la formazione cristiana e culturale di entrambi i suoi due figli, ma Fulgenzio in particolare dimostrò presto una intelligenza vivace ed una ottima memoria. Benché giovane, venne presto incaricato dalla madre a gestire l’amministrazione dei beni familiari, e per le sue doti gli fu affidato anche l’incarico di procuratore delle imposte della sua provincia. Si era in questo modo assicurato una vita agiata, dedita alla cura dei beni terreni, non privi di mondanità.

La sua fede e l’amore per lo studio lo tenevano ben ancorato all’applicazione della Bibbia, e fu proprio questa lettura a fargli nascere nel cuore una santa inquietudine per la sua condotta di vita.

A poco a poco cominciò ad allontanarsi dalle occasioni mondane e dalla sua cerchia di amici. La conversione piena arrivò però solo dopo la lettura del commento al salmo 36 di Agostino, che lo convinse a darsi totalmente all’ascesi. Si decise così ad indossare l’abito monastico: dapprima rimase a vivere in casa dedicandosi alle comuni occupazioni familiari ed amministrative, ma poi per completare il dono di sé, entrò nel monastero di Fausto, dove maturò la sua impostazione spirituale.

Le persecuzioni di Unerico (re dei Vandali) fecero però disperdere la comunità di Fausto. Fulgenzio trovò allora rifugio nel monastero vicino guidato dall’abate Felice, del quale divenne inizialmente un fidato collaboratore, per poi dividerne addirittura l’autorità abbaziale. Ma le continue invasioni e le insidie degli ariani costrinsero anche la comunità di Felice a spostamenti continui, che non risparmiarono Fulgenzio e i suoi confratelli alla prigione.

Attratto dalla solitudine perfetta del deserto e dalla lettura delle opere di terra degli eremiti, dopo la liberazione passò pellegrino per Roma dove conobbe persone illustri, con le quali instaurò anche importanti rapporti epistolari. Fu ordinato vescovo a Ruspe nel 502, e durante il suo ministero venne esiliato per ben due volte in Sardegna.

Durante gli anni trascorsi in esilio fondò numerosi monasteri, pur rimanendo combattuto tra la vita cenobitica e quella verso la totale solitudine.

Anche lui, come Agostino, resse la sua piccola diocesi di Ruspe sullo stile monastico, dove viveva poveramente e dedicava gran parte del suo tempo alla preghiera corale e alla composizione di opere dottrinali e pastorali. Aveva spiccata attitudine alla predicazione, e si racconta che il vescovo di Cartagine, sentendolo predicare nella basilica di Furnos, pianse di commozione.

Morì a Ruspe il 1 gennaio dell’anno 527.

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*L’altorilievo, di Bottega Umbra, risale al XVI-XVII secolo ed è conservato presso la diocesi di Terni.