A Cagliari, per quarant’anni, nella stessa area convivono due nuclei urbani: il centro giudicale di Santa Igia e la fondazione pisana di Castrum Càlari.
Durante gli anni Cinquanta del XIII secolo però, le condizioni storiche contingenti portano ad uno scontro armato tra la Repubblica di Pisa e la Repubblica di Genova, alleata del Giudicato di Càlari (Santa Igia), e l’esito urbanistico è l’accelerazione dei processi di sviluppo istituzionale dei due agglomerati oggetto della contesa, che diventano a tutti gli effetti comuni autonomi.
La vittoria militare pisana impone come conseguenza un nuovo ordine urbano dove non vi è spazio che per un solo centro: il Castrum Càlari.
Un primo piccolo nucleo, presumibilmente di privati cittadini pisani dediti alle attività commerciali, si era già aggregato spontaneamente preferendo risiedere sul colle posto a circa cento metri sul livello del mare, e non entro le mura della cittadella giudicale, ed è pertanto solo a partire dal 1215 che la Repubblica di Pisa si insedia in maniera ufficiale sull’altura da quel momento ribattezzata Castrum novum Monti de Castro, impostando la trama urbanistica sulla quale prenderà forma il quartiere odierno.
Agli inizi del Milleduecento il colle fu verosimilmente fatto oggetto di una rapida attività costruttiva, utile a predisporre solo la difesa dei versanti più vulnerabili dell’insediamento, quello settentrionale e quello meridionale, non protetti dai dirupi della collina.
Con lo stanziamento definitivo dei pisani, in breve tempo l’altura diviene invece una vera e propria rocca fortificata, che si estende per parecchi ettari, e il modello di sviluppo scelto è quello dell’aquila, simbolo di appartenenza ai Ghibellini, una fazione medievale antipapale che si opponeva ai Guelfi sostenitori del papato.
Secondo lo schema, il Castrum doveva delineare il corpo del rapace, con la testa, rivolta a nord, caratterizzata da tre torri tondeggianti: la Passarina a sinistra, la Franca al centro, e un terzo torrione a destra, demolito agli inizi del XIV secolo per far posto alla nuova torre rettangolare intitolata a San Pancrazio.
Bagnaria (l’attuale borgo della Marina), fortificata da grandi baluardi e appendice commerciale del Castello, dava invece forma alla coda dell’aquila, e la zona portuale era collegata al borgo più alto da un lungo e tortuoso sentiero che correva lungo la costa bastionata, corrispondente oggi al tratto superiore di via Giuseppe Manno e a via Barcellona.
La figura del volatile si concludeva poi con due ali spiegate, rappresentate dai borghi di Stampace e Villanova, realizzati per consentire agli abitanti della distrutta capitale di Santa Igia di essere accolti nel sistema amministrativo pisano.
Al momento dell’impianto, nel 1217, i pisani fortificarono il nuovo borgo circondandolo con una cinta muraria particolarmente alta, dritta, e a piombo sul terreno, munita di ventiquattro torri e tre soli ingressi.
Le mura si congiungevano tra loro attraverso le piccole torri disposte lungo i due lati del colle, mentre a meridione venne realizzato un sistema di dentellature caratterizzato da un tratto murario suddiviso in cinque cortine da quattro torri identiche e circolari.
Nei due punti di più facile accesso furono predisposte le porte principali della colonia, e l’ingresso al Castello poteva avvenire attraverso tre varchi sporgenti rispetto alle mura, sormontati ciascuno da una torre che rendeva possibile la difesa dall’alto. Dotate di fossato e ponte levatoio, le porte erano disposte a nord, nell’area occupata oggi dal Complesso di San Pancrazio, ma che all’epoca era ancora una spianata estranea alla cittadella fortificata; a sud, nel tratto in cui oggi sorgono la curva di via Mario De Candia e l’ultimo tratto di via Università; e a ovest, immediatamente dopo l’attuale palazzo del Rettorato.
Dalla Porta Ovest, che nel 1307 verrà sovrastata dalla Torre dell’Elefante, partiva il muro di collegamento con la Porta Nord. La muraglia, che si impostava sull’orlo del costone inclinato del colle, nella parte iniziale del percorso segnava una vasta rientranza e lambiva numerose case d’abitazione disposte a semicerchio (lo spazio corrisponde al primo tratto dell’odierna via Santa Croce); dopodiché proseguiva, da sud a nord, con un andamento quasi in rettilineo, ma in forte elevazione, sino al punto in cui oggi sorge la cinquecentesca chiesa di Santa Maria del Monte. Giungeva quindi sull’orlo del Fosso di San Guglielmo; percorreva una parte dell’orlo e seguiva la ripida salita dell’odierna via Fiume; voltava a destra, ad angolo retto, e si univa alla Porta Nord.
Il tratto di mura appena descritto, tra la Porta dell’Elefante e il Fosso di San Guglielmo, era diviso in nove cortine da otto torri (le prime sei, procedendo verso nord, erano rotonde, le altre due rettangolari), e il fronte era contraddistinto dalla presenza della Torre Mordent, dalla Torre d’en Fores, dalla Torre Fontana, e dalla Torre Pilastris.
Il tratto orientale della cortina muraria tra la Porta Nord e l’attuale piazzetta Goffredo Angioni era invece costituito da sette cortine e sei torri. Le prime cinque erano rettangolari, mentre l’ultima, circolare, seguiva l’orlo del colle che, su questo lato, si affacciava su un dirupo alto una trentina di metri.
Tra la Porta Nord e la cattedrale, procedendo verso meridione, svettavano la Torre Tudeschina, la Torre di Santa Lucia e la Torre del Palazzo Regio; a sud del Duomo vi erano invece due torri dal nome sconosciuto e la Torre della Fontana Bona. Tra quest’ultima e la Porta Sud, tra due cortine vi era infine la torre rotonda detta della Manayra.
Esternamente alla cinta muraria, a ulteriore difesa delle tre porte del Castello, vi erano le strutture di rinforzo denominate barbacani, che, messe a protezione dei varchi, si sviluppavano davanti alle porte e si univano alle cortine laterali, racchiudendo una vasta corte.
Ai piedi della cinta interna scorreva una lunga strada che veniva tenuta libera per consentire ai difensori del Castello, in caso di assedio, di raggiungere immediatamente le poche scale incorporate nelle mura che conducevano ai posti di combattimento, nel cammino di ronda delle cortine e nelle torri.
Il cammino di ronda, edificato sopra mura molto alte, dritte e a piombo sul terreno, passava davanti alle torri, nel lato interno, e questo rendeva possibile un rapido spostamento dei difensori verso le mura minacciate, o un agevole ispezione lungo tutta la cinta in tempo di pace.
L’asse di collegamento tra i due varchi principali (nord e sud) fu ripreso per tracciare anche gli altri percorsi viari del colle, che all’epoca si presentavano impervi, rocciosi e in pendenza.
La viabilità del quartiere era organizzata seguendo una planimetria programmata, tipica degli insediamenti medievali, che la vedeva suddivisa in lunghi spicchi dalle quattro principali strade che convergevano nel medesimo punto a meridione.
Le strade maggiori seguivano longitudinalmente i lati lunghi (occidentale e orientale) del circuito murario, sviluppandosi fra le porte sud (Porta a Mare, sotto Palazzo Boyl) e nord; le curvature delle strade furono realizzate invece rispondenti al vantaggio estetico di allungare l’effetto di percorrenza, di interrompere i forti venti, di determinare una migliore insolazione degli edifici, e di favorire un cavaliere alla carica nei confronti di un pedone armato di arco e balestra. Le strade seguivano anche il naturale andamento dei percorsi e del forte dislivello, che favoriva la raccolta e lo scolo delle acque.
La strada più lunga e più importante dell’impianto del Castello, tesa tra le porte nord e sud dell’abitato, era la dritta ruga Mercatorum (attuale via La Marmora), che simboleggiava la spina dorsale dell’aquila, mentre l’edificio religioso della cattedrale, volutamente realizzato a sinistra della borgata, alludeva al cuore dello stesso rapace.
Agli inizi del Trecento le mira espansionistiche aragonesi avevano iniziato a puntare sulla Sardegna, e questa occasione spinse i pisani a rivedere il sistema difensivo del Castello.
Il mutamento, mirato al potenziamento delle difese, e soprattutto delle porte di accesso del colle fortificato, vede l’abbattimento di tre piccoli torrini per fare spazio alle imponenti torri di San Pancrazio nel limite nord (1305) e dell’Elefante a ovest (1307); la terza Porta del Leone, posta a difesa della Porta a Mare, verrà invece adeguata alle nuove esigenze e fortificata solo nel 1322.
Con gli accordi di pace stipulati nel giugno del 1326, la cittadella pisana passò sotto il dominio aragonese, assumendo la denominazione di Castel de Caller.
Il periodo del governo aragonese venne a coincidere con una nuova fase di sviluppo, ma i danni provocati dalla peste e dalle carestie posero un freno alla crescita della città, favorendo piuttosto una sostanziale continuità dell’impianto esistente e lavorando solo su interventi di restauro.
Tuttavia, nel giugno del 1326 venne disposta la chiusura del lato aperto delle torri maggiori, tenute aperte dai pisani poiché le strutture che governavano le saracinesche, che permettevano l’accesso alla cittadella, se occupate dagli assalitori potevano essere compromesse con il lancio delle fiaccole che, innestando un incendio, rendevano inaccessibili sia i piani in legno che il sistema di chiusura, senza pregiudicare la muratura della torre.
Durante il XV secolo in tutta Europa inizia a diffondersi la polvere da sparo, e i nuovi strumenti di guerra portano inevitabilmente a rivoluzionare i metodi di attacco e di difesa delle città.
Nei decenni immediatamente successivi, a Cagliari venne intrapresa una lunga e dispendiosa serie di interventi costruttivi che cambieranno per sempre la fisionomia della roccaforte fondata nel XIII secolo dai Pisani. I frutti di quella campagna edilizia sono in parte ancora visibili, poiché le opere di età successiva intaccarono solo in maniera limitata gli apprestamenti difensivi di età rinascimentale, almeno quelli del vero e proprio Castello.
Più in particolare, è sotto Filippo II, durante la dominazione spagnola, che viene riformato l’intero sistema murario della città, e vengono sostituiti i baluardi pisani con dei bastioni a scarpa, storti e obliqui rispetto al terreno, ma capaci di deviare e far schizzare via le palle di cannone. Scomparve dunque la cinta alta e fine, che sarebbe certamente collassata se colpita dalle cannonate, e al suo posto mura più basse e più spesse, in modo da assorbire meglio i colpi. Le torri, divenute per lo più inadeguate, vennero spianate e sotterrate sotto i nuovi livelli stradali, permettendo l’allargamento di qualche decina di metri degli spazi circostanti. Altre torri furono invece sostituite da bastioni e da torrini più bassi, che divennero il perno dell’architettura militare nei secoli successivi.
I baluardi poligonali, dotati di possenti murature esterne e di tramezzature interne intervallate da terra e da altro materiale, riuscivano ad assorbire con maggior successo l’urto dei proiettili rispetto alle cortine medievali più alte ma molto meno spesse.
Decisamente più poderosi ed ingombranti, occuparono le zone liminari del quartiere che prima erano destinate alla ronda dei soldati, e permisero di realizzare delle grandi piazze necessarie per poter armeggiare con le armi di difesa.
I nuovi bastioni si devono all’iniziativa del viceré Joan Dusay, che fu coinvolto direttamente nella progettazione di cinque baluardi.
Il primo, sul costone roccioso posto di fronte alla Torre di San Pancrazio, e che ancora oggi è chiamato Baluardo del Dusay, proteggeva la porta sottostante dai tiri frontali.
Il secondo baluardo venne innalzato dietro la chiesa gesuitica di Santa Croce, e fu concepito per rafforzare le difese della propaggine occidentale del Castello. I restanti tre sorsero nei siti dove successivamente si svilupperanno i bastioni del Balice (noto anche come Bastione di Sant’Antonio, poiché sovrasta l’attuale chiesa omonima) e di Santa Caterina, la cui realizzazione comportò la demolizione del tratto di cortina compreso tra le torri della Manayra e della Fontana Bona.
L’ultimo tratto ad essere costruito fu il Baluardo dello Sperone (o della Leona), sorto dove poi, nel Novecento, avrà origine il Bastione di Saint Remy.
Una volta portati a compimento, i bastioni, seppur imponenti, non sembravano comunque in grado di reggere ad un attacco nemico, e per tale ragione, nei primi mesi del 1552, Carlo V inviò a Callari l’architetto militare Rocco de Capellinis.
Il sistema di difesa dei fossati, che serviva soprattutto a proteggere la città da un attacco diretto, quindi a non far avvicinare, a cavallo o a piedi, i soldati, era divenuto ormai obsoleto. Le palle di cannone erano capaci di superarli, per cui erano diventati inutili, se non addirittura un problema per i collegamenti della città. Per tali motivi, fuori dai bastioni, al posto dei fossati nel frattempo colmati, vennero creati i barbacani, vale a dire dei livellamenti minori capaci di contrastare il nemico che tentava di assalire la cittadella fortificata.
Con il passare del tempo, le tecniche di attacco e di difesa continuavano ad affinarsi e i nuovi baluardi spagnoli dovevano ora rispondere anche alla cosiddetta “legge delle corrispondenze”, ossia ad una disposizione regia che stabiliva che ciascun bastione avrebbe dovuto essere in contatto visivo con l’altro, in maniera da essere in grado non solo di difendere se stesso attraverso le cannoniere, ma capace di proteggere anche gli altri. Secondo questa logica, ogni baluardo avrebbe dovuto trovarsi in corrispondenza almeno con altri due bastioni per favorire il tiro e la difesa incrociati.
I primi interventi atti a realizzare un più robusto assetto difensivo furono condotti sul fronte meridionale del Castello, dove i bastioni del Balice e dello Sperone vengono dotati di strutture curve dette orecchioni, utili a proteggere e unire le batterie che difendevano la nuova cortina, più esposta durante l’attacco.
Terrapienati e realizzati su due livelli, la parete rettilinea, spessa circa sei metri, viene munita di un muro inclinato alla base dell’opera muraria (detto “scarpa”), di cordone e di parapetto, che incorporò e sostituì le prime strutture di rinforzo del Balice.
Venne rinnovato anche l’accesso della Porta a Mare che, spostato più a sud, fu impreziosito da due protomi leonine scolpite nel marmo con arte medioevale.
L’architetto cremonese fece demolire il vetusto barbacane della Torre dell’Elefante e al suo posto eresse una cortina che terminava nell’orecchione settentrionale del Bastione del Balice. La costruzione della porta omonima (incastonata nel lato destro delle mura realizzate appena fuori la torre) mise invece in collegamento il Castello con l’abitato sottostante di Stampace.
Il fronte nordoccidentale della roccaforte subì a sua volta ulteriori e pesanti trasformazioni. Le cortine medievali furono trasformate in un unico grande bastione, ribattezzato Baluardo della Concezione, mentre le torri di forma semicilindrica situate nelle odierne via Fiume e piazza Arsenale (Passarina e Franca) vennero portate al livello degli spalti terrapienati; la cortina che correva quasi sul ciglio del Fosso di San Guglielmo fu invece unita al Bastione di Santa Croce edificato dal Dusay.
Nel lato occidentale, rivolto verso l’odierno Buoncammino, venne realizzata una porta nota dalla fine del XVI secolo con il nome di Porta dei Cappuccini.
Nel 1563 il Capellino rinforzò anche il baluardo di San Pancrazio, realizzato dal Dusay, tamponando e riadattando l’area del fossato, e iniziando la costruzione di un’opera a tenaglia denominata Bastione del Mulino a Vento. Al suo interno verrà successivamente installato il primo nucleo sabaudo del Regio Arsenale.
Rocco Capellino non riuscì a portare a conclusioni i progetti da lui programmati, ma i suoi interventi interessarono comunque quasi tutti i bastioni e una parte non trascurabile delle muraglie.
Nemmeno questa volta il sistema difensivo si rivelò capace, organico e integrato, tanto che nel 1568 al Capellino subentrò l’ingegner Giorgio Paleari “Fratino”, chiamato a prestare la sua opera in Sardegna e a dare seguito alle direttive impartite poco tempo prima dal fratello maggiore Jacopo, che aveva già iniziato ad ampliare i bastioni della Tenaglia di San Pancrazio, di Santa Croce e del Balice.
In quest’epoca di ristrutturazioni, il Bastione della Tenaglia venne ingrandito su tutti i lati, e una delle sue cortine fu prolungata fino alla più orientale delle due torri semicilindriche del fronte settentrionale, creando uno spazio interno che diventerà l’odierna piazza Arsenale. Il settore nordoccidentale delle fortificazioni fu invece ulteriormente protetto da una strada coperta munita di controscarpa, camminamento, parapetto e spalto.
Prima della sua partenza, Giorgio Paleari diede istruzioni in merito alla realizzazione del Bastione trapezoidale della Zecca, posto ad est di quello dello Sperone, e del terrapieno triangolare di Santa Chiara. A quest’ultimo verrà aggiunto un muro scarpato e, avanzato verso l’esterno, un mezzo baluardo con una garitta nel vertice fra la faccia e il fianco sinistro, in modo da dargli una conformazione trapezia con un lato frontale e due tratti laterali.
I lavori vennero affidati a due funzionari privi delle necessaria esperienza, e i due cantieri furono interessati da crolli disastrosi. Fu dunque necessario attendere il rientro del Paleari per vedere concluse le due nuove opere.
Altri interventi furono effettuati nel Bastione di San Giovanni (intitolato poi alla Santa Croce), nel Terrapieno del Cardona, e sul fronte meridionale di Castello.
Nel 1638 fu progettato invece il baluardo che troverà spazio nella roccia sottostante posta fra la cattedrale e il Palazzo Regio. La sua realizzazione comporterà lo sbancamento di uno spuntone roccioso posto al di sotto dell’episcopio. Tre anni più tardi l’ingegnere militare don Alonço Arcaine y Cisneros, omaggerà il viceré in carica, Diego de Aragall, intitolandogli il bastione.
Alla fine del 1600 gran parte della cinta muraria a oriente della rocca non esiste già più.
Nel primo decennio del XVII secolo, nell’area della Torre di San Pancrazio fu abbattuto un lungo tratto di cortina muraria per consentire la costruzione del Collegio dei Nobili (1618).
Tra il 1687 e il 1688, la cortina medievale tesa tra la Torre di San Pancrazio e la torre semicilindrica posta a qualche decina di metri più ad ovest, risultava invece ormai quasi completamente abbattuta. Al suo posto iniziava a prendere forma il primo nucleo del cosiddetto Palazzo delle Seziate.
Sopravvive nello stesso tratto la Torre di Santa Lucia, con parte della cortina incorporata nell’omonima chiesa cinquecentesca.
Nel 1700 il re di Spagna Carlo II morì senza lasciare figli. L’erede designato era Filippo di Borbone, nipote di sua sorella Maria Teresa, sposata con Luigi XIV di Francia.
Le grandi potenze europee, per evitare la nascita di un regno franco-spagnolo di dimensioni sterminate, appoggiarono la candidatura di Carlo d’Asburgo, figlio dell’imperatore Leopoldo I, già sposato con un’altra sorella di Carlo II.
Con l’ascesa al trono di Filippo V iniziò la cosiddetta Guerra di Successione spagnola, che vide contrapposte Spagna e Francia alla coalizione formata da Austria, Prussia, Inghilterra, Portogallo, Ducato di Savoia e Principato di Piemonte.
Il conflitto comportò la fine del lungo periodo di dominio iberico in Sardegna.
Nel 1708 Cagliari fu bombardata da una grande flotta anglo olandese e, dopo la resa, finì sotto il controllo asburgico.
In questo frangente anche Vienna si preoccupò delle fortificazioni cagliaritane commissionando la realizzazione del cosiddetto Bastione del Parco (ciò che diventerà poi il moderno Bastione di Saint Remy) nel versante orientale del Castello.
L’ascesa al trono imperiale di Carlo d’Asburgo nel 1711 raffreddò però l’intesa con gli stati che fino ad allora avevano appoggiato le pretese sul Regno di Spagna. Si giunse così al Trattato di Utrecht, che riconobbe Filippo V come legittimo sovrano di Spagna e delle Indie, in cambio della cessione della Sicilia ai Savoia, e di Gibilterra e Minorca agli Inglesi.
Nel mese di agosto del 1717 il favorito della regina di Spagna, l’abate Giulio Alberoni, appena nominato cardinale, salpò da Barcellona alla volta di Cagliari per riconquistare l’isola con una flotta di 100 navi. La città si arrese dopo essere stata nuovamente cannoneggiata. Nel giro di un anno, il cardinale Alberoni riuscì a prendere possesso anche della Sicilia.
Con il Trattato di Londra del 1718, Inghilterra, Francia, Olanda e Austria siglarono una nuova intesa, e la quadruplice alleanza costrinse Vittorio Amedeo II di Savoia a cedere la Sicilia in cambio del Regno di Sardegna.
Filippo V fu sconfitto nel mese di agosto del 1720, e l’isola passò ai duchi d’Aosta, Savoia, e principi di Savoia, che ottennero in questo modo il titolo regale.
Filippo Guglielmo Pallavicino, barone di Saint-Rémy, fu nominato primo viceré sabaudo del Regno di Sardegna, mentre l’ingegnere piemontese Antonio Felice de Vincenti fu deputato a studiare la nuova organizzazione delle difese della città.
Come tanti altri prima di lui, il De Vincenti individuò la zona della Tenaglia di San Pancrazio come quella più vulnerabile e facilmente attaccabile. A tal fine, l’ingegnere progettò la cosiddetta “Opera a Corno” di Buoncammino, sviluppando le fortificazioni lungo l’asse maggiore del colle e il versante affacciato su Stampace. Il De Vincenti realizzò quindi due nuovi bastioni, intitolati a San Filippo e al Beato Emanuele, collegandoli fra loro attraverso la Cortina di Porta Reale, protetta da un rivellino terrazzato.
La muraglia prese il nome dalla Porta Reale di Buoncammino, mentre le opere furono ultimate entro i primi anni Quaranta del Settecento dagli ingegneri Luigi Andrea De Guibert e Augusto De La Vallée.
Il programma comprendeva anche la predisposizione di una linea fortificata ai piedi dello strapiombo orientale del Castello, costituita da tre bastioni avanzati collegati da cortine.
Il baluardo del Palazzo Regio, costruito al di sotto del Bastione dell’Aragall, fu collegato a quello della Zecca attraverso la Cortina di Santa Caterina. Lo stesso baluardo fu unito anche al Bastione di San Carlo, posto sotto la Torre di San Pancrazio, sfruttando la Cortina di Santa Lucia. Il Bastione di San Carlo, a sua volta, fu congiunto invece a quello del Beato Amedeo, realizzato presso l’attuale ingresso dei Giardini Pubblici, grazie alla Cortina di San Pancrazio.
Tutto il complesso difensivo fu ulteriormente rinforzato con opere sussidiarie, strade coperte, rivellini e bassifianchi.
Durante la prima metà dell’Ottocento, il progresso interessò il settore degli armamenti rendendo inutili le fortificazioni. Per tale ragione, le autorità militari iniziarono pian piano ad avere meno cura della loro manutenzione.
Nel 1859 fu emanata una prima legge sulle servitù miliari che abolì molti vincoli sull’urbanistica civile. Con i Regi Decreti n. 3467 del 31 dicembre 1866 e n. 3786 del 23 aprile 1867, Cagliari fu cancellata dall’elenco delle piazzeforti e dal novero delle fortificazioni del Regno d’Italia, e da quel momento si intensificò l’opera di eliminazione di parte delle fortificazioni.
Con la pubblicazione dei decreti, le mura, i baluardi, le torri, le porte e tutte le opere a carattere difensivo dismesse passarono prima al Regio Demanio e poi, dal 1876, all’amministrazione municipale.
Il periodo fra le due date registrò l’apertura di “varchi” che misero finalmente in comunicazione la città fortificata con il territorio circostante.