Il monumento a Carlo Felice

Sulla sommità dell’elegante largo Carlo Felice troneggia un imponente monumento dedicato al fautore della cosiddetta “via feliciana”, un’arteria che, lunga circa 229 km, venne pianificata nel 1822 per collegare in maniera più agevole i due capi della Sardegna, e quindi consentire l’avvio di regolari traffici postali e commerciali in un’isola che, nella prima metà dell’Ottocento, continuava ancora a fare conto solo sui brandelli di una vecchia pista intransitabile dai mezzi su ruote.
Nel corso del Settecento, i vari tentativi di realizzazione di un percorso carrabile si erano sempre conclusi con un insuccesso: i rilievi non erano attendibili, bisognava attraversare immense paludi insalubri, alture e altopiani, oppure mancava il denaro.
Inoltre, i pregiudizi radicati e le opinioni bizzarre che circolavano sull’isola portavano ogni volta a ritenere inutile la strada. Secondo i piemontesi, infatti, i sardi erano avvezzi a cavalcare verso le valli e i monti, ma soprattutto, ritenevano con iniquità che il mare per loro fosse la più ampia e capace strada del mondo, e che nessun nuovo tracciato sarebbe mai stato in grado di sostituirlo.

Nel 1821, Vittorio Emanuele I decise di affrontare seriamente la questione, conferendo a Giovanni Antonio Carbonazzi, ingegnere del Regno di Sardegna, una missione di esplorazione sull’isola.
Fu una svolta significativa, perché, per la prima volta, il progetto andò avanti speditamente, coadiuvato finalmente dal governo piemontese e supportato da sardi autorevoli.
Il Carbonazzi, sentendosi addosso il peso delle responsabilità, propose un elaborato studiato fino all’ultimo dettaglio, e per evitare periodi di stasi, o che alcuni tratti potessero venire lasciati all’incuria per lungo tempo, organizzò le numerose attività di costruzione in maniera che seguissero passo passo il corso dei lavori, pertanto, mentre nei cantieri gli operi lavoravano su un tratto, lui modificava, prendeva accorgimenti e predisponeva le tavole architettoniche per il lotto successivo.
Per il buon esito dell’impresa era stato importante trovare anche chi fosse stato in grado di accettare la grande sfida; l’ingegnere felizzanese pensò quindi di far ricadere la scelta su tre esperti piemontesi: Giorgio Mosca, Felice Arri e Giorgio Gastaldetti, ai quali il governo mise a disposizione 900 detenuti da impiegare come forza lavoro.
Giunti a metà dell’opera, il Carbonazzi si era infine preoccupato di sollecitare anche l’introduzione della figura del cantoniere, addetto alla cura e alla manutenzione continuativa della lunga carreggiata.
Quelle case cantoniere compaiono ancora oggi in alcuni tratti della “vecchia” strada, e gli edifici sopravvissuti, sorti durante l’Ottocento, segnalano tuttora la presenza dell’antico tracciato feliciano.

L’opera, tanto evoluta sul piano tecnico quanto costosa su quello finanziario, verrà completata nell’arco di sette anni grazie anche alla determinazione di Carlo Felice di Savoia (succeduto nel frattempo a Vittorio Emanuele I), un sovrano poco amato dai sardi e dai cagliaritani in particolar modo, ma irremovibile nel voler portare avanti il progetto del suo predecessore, e quindi riprendere, ammodernare e ingrandire l’antico tracciato della strada romana chiamata Karalibus Turrem.
Lunga circa 99.8 miglia, quella che all’epoca si presentava ancora come poco più che un selciato pietroso, ma che fino ad allora aveva permesso di unire Karales (Cagliari) e Turris Libisonis (Porto Torres), sarebbe stata finalmente sostituita per intero da quel grande progetto che era la Strada Reale, e che avrebbe collegato con più rapidità e sicurezza Cagliari, passando per Oristano, Macomer e Sassari, a Porto Torres.
Un’ambiziosa operazione che rientrava nella visione assolutistica della monarchia, nella quale il sovrano sabaudo credeva in maniera quasi fanatica.
Gli Stamenti, grati per il beneficio ricevuto da Carlo Felice, nel 1827 deliberarono l’erezione di un monumento da dedicare al monarca, che avrebbe dovuto trovare posto in una grossa nicchia ricavata nella scalea del Palazzo Reale.

Nel mentre però, l’ascesa al trono dei Savoia di Carlo Alberto, sovrano dalle vedute più liberali, aveva mutato il clima politico e culturale, e l’impronta ormai data alla scultura sembrava non rispondere più ai canoni delle opere che si stavano realizzando in quel periodo.
Portata dunque a compimento con rilento e due anni dopo la morte del re, nel 1833 la statua venne esposta inizialmente nel Regio Arsenale, ma dopo breve tempo, per spegnere le polemiche che si erano sollevate verso quello che era stato il severo modo di Carlo Felice di amministrare il regno, la figura bronzea fu spostata all’interno di un magazzino e dimenticata per quasi trent’anni.
Fu solo grazie all’interessamento dell’Amministrazione civica, che, il 4 aprile 1860, il monumento fu liberato dall’oblio e trasportato fino alla piazza che ospitava l’antico mercato, dove venne posizionato senza considerare il contesto e privato di ogni solennità.
In realtà, erano stati pochi i cagliaritani che avevano davvero manifestato il desiderio di esprimere gratitudine e riconoscenza verso quel re piemontese, e la realizzazione del monumento, ufficialmente decisa dagli Stamenti e finanziata con un anticipo iniziale dal marchese di Villahermosa, don Stefano Manca di Tiesi, fu invece voluta dallo stesso Carlo Felice, mai amato dai cagliaritani e considerato dai sardi un crudele tiranno che si ispirava al periodo della Roma Imperiale, coincidente con i valori dell’assolutismo monarchico.

Oggi il monumento domina il centro della città. Si eleva in un punto strategico per la viabilità veicolare, e la “vecchia” (e “nuova”) strada statale che continua a portare il nome di quel sovrano piemontese, inizia proprio nel punto in cui più di un secolo e mezzo fa venne collocata la statua.
I capisaldi sono ancora la pietra miliare dell’attuale piazza Yenne, posta dirimpetto alla scultura sabauda, e la colonna romana di piazza Cristoforo Colombo a Porto Torres.
A Cagliari, in quella frizzante mattinata di mercoledì 4 aprile, in mancanza di particolari direttive, il paludato re venne frettolosamente montato con la schiena rivolta verso il porto, e con il braccio che puntava la direzione dell’attuale via Giuseppe Manno, dove all’epoca, quando la città era in parte ancora cinta dalle mura, vi giacevano i cumuli delle macerie delle cortine e della porta d’ingresso della Lapola, smantellata durante il 1856.
Nell’assemblaggio del monumento era stato chiaramente commesso un errore. Il viso dell’opera bronzea, in realtà, avrebbe dovuto rivolgersi verso il porto, in modo che il dito della mano destra potesse indicare la rotta della “vecchia” statale, che andava nella direzione di Sant’Avendrace, e che era l’inizio dell’arteria che avrebbe collegato i due capi dell’isola.
Per alcuni, la svista fu dovuta al ritardo di trent’anni, e quindi ad una dimenticanza di chi lavorava all’operazione; per altri Carlo Felice venne invece mal posizionato di proposito, e l’azione considerata un vero e proprio affronto rivolto al re.

Modellata a Roma nel 1829 dallo scultore Andrea Galassi, la forma del monarca fu inizialmente creata in gesso, e poi, sotto la direzione del colonnello Carlo Pilo Boyl e la supervisione dell’artista sassarese, utilizzata come modello per la versione definitiva, forgiata con colata in bronzo dagli artiglieri sardi Maxia e Castiglia nell’arsenale del Castello cagliaritano.
Una vecchia storia racconta che per ricrearne le fattezze venne usata la lega di cinque cannoni inutilizzati durante i bombardamenti contro i francesi del 1793, che si trovano ancora sopra il Fortino di Sant’Ignazio.
L’opera, che ritrae il sovrano nelle vesti di un valoroso soldato, con elmo in testa, corazza e clamide alla maniera degli antichi eroi romani, dal 1860 poggia su un cubo di marmo nelle cui quattro facciate compaiono i testi, dettati dallo storico cagliaritano Pietro Martini, che rievocano alcune vicende legate alla statua.
Lapide frontale:
QUI COMINCIA LA VIA
DA CAGLIARI A PORTO TORRES
DECRETATA E SOVVENUTA DEL SUO
DA RE CARLO FELICE
E QUI DI LUI SORGE
LA IMMAGINE IN BRONZO
Lapide laterale destra
VOTATA DAGLI STAMENTI
NEL 1827
COMPIUTA NEL 1833
COL DENARO DELLO STATO
RAMMENTA IL REGALE BENEFICIO
E LA SARDA RICONOSCENZA
Lapide laterale sinistra
ONORA LO INGEGNO SARDO
PERCHÉ FORMATA
DA ANDREA GALASSI
GETTATA IN CAGLIARI
DAGLI ARTIGLIERI DIRETTI
DA CARLO BOYL LORO COLONNELLO
Lapide posteriore
IL COMUNE DI CAGLIARI
ERGENDO NEL 1860
QUESTO MONUMENTO
RIPARA IL LUNGO OBBLIO
CORONA IL VOTO
DELLA SARDEGNA
Il robusto basamento in granito ad angolo ricurvo, sopra il quale venne sistemata la scultura, fu invece disegnato dall’architetto Gaetano Cima, che, per la sua realizzazione, si ispirò allo stile delle architetture romane.
Con la molteplicità degli elementi che lo caratterizzano, il grandioso piedistallo, che si restringe mentre sale verso il cielo, appare alto circa il doppio rispetto ai quattro metri della statua bronzea, e si eleva dal suolo per mezzo di una gradinata con pilastri realizzati ancora in granito, uniti da catene di ferro.

Il personaggio di Carlo Felice, nel bene e nel male, è entrato nell’immaginario collettivo dei cagliaritani, e nonostante sia ormai divenuto un riferimento identitario, continua ad essere spesso preso di mira da chi pensa a lui solo come a un tiranno, o da chi insiste nel voler spedire la statua del Savoia a Torino e dedicare lo spazio ai martiri dell’assolutismo sabaudo, o a chi ha realmente amato Cagliari.
Il monumento viene spesso imbrattato, ricoperto con teli bianchi, e una volta usato anche per issare dei cappi che avrebbero dovuto commemorare i cagliaritani uccisi dopo la congiura di Palabanda del 1812.
In occasione della promozione del Cagliari calcio, o di clamorose salvezze della squadra, i tifosi puntualmente rivestono invece la statua con i colori sociali, infilandogli una tunica e un copricapo rossoblù. Nella mano destra gli viene poi sistemata una bandiera dei Quattro Mori, che nella gran parte dei casi svolazza fino all’inizio del campionato successivo. È una tradizione pacifica questa, che si ripete ormai da più di 50 anni. La prima volta fu il 14 giugno 1964, quando la squadra conquistò per la prima volta la Serie A, mentre la vestizione più importante fu quella del 1970, quando il Cagliari vinse lo scudetto.
I terrificanti bombardamenti aerei che nel 1943 distrussero la città, risparmiarono il monumento a Carlo Felice, che, impavido, rimase immobile e sempre con il braccio teso senza tremori mentre attorno crollava tutto.
Per questo motivo, la conservazione della statua oggi dovrebbe celebrare non tanto il personaggio rappresentato, ma molto di più. Intanto la collaborazione postuma fra Andrea Galassi e Gaetano Cima, che vede Cagliari e Sassari unite non solo con un’infrastruttura stradale, ma anche con un’opera d’arte di alto rilievo realizzata da due dei loro figli più illustri.
E poi, per chi volesse osservare i dettagli, potrà scrutare i fori lasciati dagli spezzoni delle bombe, che non solo centrarono e uccisero i cagliaritani ammassati nella zona, ma che penetrarono anche nel bronzo della statua (poi in parte colmati con tondini e bulloni per rendere più stabile la scultura) e nel basamento.
Ferite e scalfitture presenti anche nei gradini e nei pilastrini che sostengono le catene tutt’attorno alla base.
Eliminare il monumento significherebbe rimuovere tutti questi dettagli, elementi non di poco conto, perché sono i segni lasciati sulla scultura delle bombe piovute su Cagliari, in particolare sull’area tra via Giuseppe Manno, il corso Vittorio Emanuele II, il largo Carlo Felice e piazza Yenne. Le stesse bombe che devastarono i nostri edifici, che uccisero i nostri bisnonni, nonni, prozii e concittadini. Cancellare, o solo spostare il monumento, significherebbe rimuovere dalla nostra vista i segni lasciati da una Cagliari che, all’indomani della guerra, cercava subito di porre riparo ai danni subiti e tornare alla sua normalità. Anche visiva, estetica e artistica. Perché un monumento che si trova in un determinato luogo da oltre un secolo, indubbiamente racconta molto più di quanto dovesse rappresentare in origine, porta con sé tutti quegli anni di storia cittadina che tutti dovremmo poter riconoscere e ricordare.