Di origini valenciane, i Boyl arrivano in Sardegna nel 1323 con i fratelli Filippo e Raimondo, impegnati al seguito dell’infante Alfonso nella spedizione che porterà gli aragonesi alla conquista dell’isola.
Con la consuetudine dei matrimoni tra le discendenze dei diversi casati nobiliari, da Filippo, primo governatore dell’isola, cinque secoli più tardi si giungerà anche al ramo cagliaritano dei cavalieri Pilo Boyl di Putifigari, che dimoreranno in città fino al 1865.
Carlo Boyl nasce a Cagliari nel 1788. Architetto militare e colonello responsabile della fortezza del Castello, nonché primo scudiero di corte e luogotenente generale delle regie armate, tra il 1825 e il 1840 ottiene da Carlo Felice i titoli nobiliari di conte e di marchese, con tutti i poteri e i benefici che ne conseguono.
I primi decenni dell’Ottocento sono anni di grande rinnovamento. Le fortificazioni cominciano a perdere il loro carattere di chiusura, mentre i legami tra gli ingegneri militari del regio esercito e la città civile iniziano a diventare sempre più intensi.
Il Boyl, abilissimo progettista, fu tra gli artefici dei più importanti interventi nell’architettura civile cagliaritana, in una fase disciplinata per la prima volta dal “Regolamento Generale per i Consigli degli Edili delle città del Regno di Sardegna”, approvato l’11 aprile 1840.
Sfruttando quindi la favorevole circostanza, e traendo vantaggio dalla sua condizione politico-sociale, per dimostrare tutto il suo potere e la sua ricchezza, decide di pianificare anche un palazzo per la sua famiglia nel punto più suggestivo, panoramico e prestigioso della città di Cagliari. L’intenzione del nobile conte era quella di realizzare un edificio che per la sua solennità non avrebbe dovuto avere eguali, per cui, per dare maggiore forza al suo credito ingloba nel suo palazzetto anche l’antica Torre del Leone, sfidando la commissione comunale edilizia dell’epoca.
Il palazzo, che occupa ancora un’area pressoché rettangolare, inizia a prendere forma già nel 1840, immediatamente dopo la delibera del Consiglio Civico che consentirà l’atterramento di una parte dell’antica cortina pisana che, dalla Torre dell’Elefante, scavalcata quella del Leone, si ricongiungeva con il terrapieno cinquecentesco della Fontana Bona. La disposizione riconoscerà al conte anche lo spazio derivato dalla demolizione di alcune basse e tozze botteghe di proprietà della città, realizzate in prossimità dell’antico torrione, ma non consentirà invece di abbattere la porzione che ricopriva la volta di uscita della duecentesca Torre del Leone, tanto che il volume massiccio e squadrato della stessa torre andrà a condizionare l’intero progetto del Boyl.
Lo stile di riferimento sarà il neoclassico, e il motivo dell’arco della torre, seppur riadattato, verrà quindi di fatto ripreso e ripetuto per tutto il basamento dell’edificio.
Gli ambienti ricavati in questi spazi accoglieranno ampi locali destinati dapprima alle carrozze, e qualche decennio più tardi, alle più moderne automobili.
Nel 1959, l’interno di una di queste sale verrà poi sacrificata per realizzare l’attuale ingresso principale del palazzo, poiché, pur nella sua solennità, mancava di accesso padronale.
Durante il 2022 sarà invece l’intero casamento a subire una nuova e totale ristrutturazione che comprenderà ancora una volta anche le autorimesse. L’ingresso principale dell’antico Palazzo Boyl verrà inglobato nel locali del Caffè De Candia che, ampliato rispetto alle sue originali dimensioni, oggi custodisce saloni carichi di suggestiva atmosfera, dove, ogni grande portone si apre su una saletta, come una cornice d’epoca intorno a momenti di vita contemporanea. All’interno non sfuggono le volte in mattoncini originali, o alcune travi in legno del soffitto; e poi, scampoli dei pavimenti di altra epoca realizzati in mattonelle in ceramica azulejos, o affreschi che si intravedono sotto l’intonaco consumato delle pareti, dettagli lasciati intelligentemente a vista per far sognare l’avventore di turno, e per riportarlo agli antichi fasti del bellissimo edificio. Al suo interno è presente anche un pozzo, e pare che da esso prenda avvio un cunicolo lunghissimo che sbucherebbe addirittura in piazza d’Armi.
Lo zoccolo dell’intera costruzione è rivestito da fasce orizzontali ad intonaco di bugnato piatto, che partono a raggiera dagli archi e segnano le aperture a falce di luna di un primo mezzanino.
Un altro mezzanino è segnato da una serie di piccole aperture quadrate sovrastanti i rispettivi archi.
La parte centrale della facciata è invece racchiusa da due corpi laterali simmetrici che sporgono in maniera piuttosto evidente; l’aggetto del volume di sinistra, derivante dall’annessione dell’antica Torre del Leone, si conclude con una seconda torretta quadrata a doppio livello, di fattura ottocentesca. Nel progetto originario la torre doveva ripetersi anche nel lato proteso in avanti della parte destra, per dare al palazzo la forma di un castelletto, ma il secondo sviluppo verticale non fu mai costruito poiché il Boyl morì pochi giorni prima dell’avvio dei lavori.
I due corpi sono raccordati all’altezza dell’ex primo piano da una terrazza lunga e stretta, impreziosita da una balaustra a colonnine di marmo e abbellita da quattro statue marmoree raffiguranti le quattro stagioni. Al centro della balaustra si trova lo stemma della casata Pilo Boyl.
Due figure chimeriche reggono un drappo all’interno del quale appare incastonato uno scudo che, nel primo e nel quarto riquadro riprende i quattro pali d’Aragona (le sue origini), nel secondo le armi della famiglia Pilo (una mano destra impugnante un fascio di capelli, “pilu” in lingua sarda), ed infine nel terzo le armi della famiglia Boyl (un toro “boi” in lingua sarda). Nella parte superiore dello scudo il moto “sin par” (senza pari).
Lo stemma, sormontato dalla corona comitale, è decorato con la Croce dell’Ordine Militare dei Savoia, la Croce dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, ed il collare dei cavalieri dell’Annunziata. Sotto vi si legge: “Comes Karulus Pilo Boyl ex marchio Putifigari instauravit anno MDCCCXL”, che rammenta l’anno dell’edificazione del palazzo.
Da questo poggiolo si sviluppano quattro piani alti, evidenziati da coppie di cornici marcapiano e racchiusi da un cornicione modanato di notevole aggetto.
Sulla terrazza si aprono porte-finestre riquadrate, particolare che si ripete anche nelle aperture degli altri piani superiori.
Nella fascia dell’attuale terzo piano sporgono alcuni balconi di marmo che riprendono il motivo della balaustra. Le finestre, sormontate alternativamente da timpani e cornici rettilinee, danno invece all’edificio un carattere piuttosto eclettico che fa riferimento sia allo stile neoclassico sia all’architettura rinascimentale.
Nello stesso piano si notano anche tre palle di cannone di epoca settecentesca, proiettili fatti volutamente incastonare nel palazzo in maniera cronologica da Carlo Boyl durante i lavori di rifacimento della torre attigua.
La prima palla, datata 1708, si riferisce all’assalto della flotta inglese che, comandata dall’ammiraglio Lake, dopo un breve bombardamento aprì le porte della Sardegna all’impero austriaco, nonostante le raccomandazioni del Magistrato Civico per maggiori misure difensive.
Quella datata 1717 si riferisce invece al tentativo di riconquista della Sardegna da parte della Corona di Spagna, alla quale l’isola era stata tolta con il trattato di Utrecht del 1713. Con la firma dell’accordo, la Sardegna era stata definitivamente assegnata all’impero austriaco che, a sua volta, con il trattato di Londra del 1720, la consegnò ai Savoia. La città fu sottoposta ad un bombardamento che durò 47 giorni, e la grande flotta ed il potente esercito inviato dal Cardinale Alberoni arrecarono gravissimi danni alle fortificazioni, distruggendo fra l’altro anche la parte superiore della Torre del Leone.
La palla del 1793 testimonia infine il bombardamento della flotta francese, che precedette il tentativo di sbarco respinto dalle milizie sarde sulle spiagge di Quartu. Una vittoria con la quale i sardi salvarono ai Savoia il Regno di Sardegna.
Il palazzo ha una sola facciata laterale che presenta lo stesso schema, seppur con qualche variazione, di quello principale. Questo lato, che si affaccia sul Bastione di Santa Caterina, viene realizzato con la parte centrale più discretamente rientrata, e impreziosito, al terzo e al quarto piano, da quattro finestre ad arco con balconcino a filo. Sugli archi che sormontano le finestre del quarto piano è visibile la “R” dei Baroni Rossi che acquistarono il palazzo nel 1865.
Su questo lato, addossata all’edificio, oggi vi è una scalinata che collega la Terrazza Umberto I del Bastione Saint Remy con il bastioncino di Santa Caterina. La scala prese il posto di una piccola torretta risalente al periodo pisano, demolita dal Boyl per fare posto a quella che sarebbe dovuta essere la torre gemella del Leone, e che, secondo l’originario progetto, avrebbe dovuto dare all’edificio l’idea di un’importante dimora aristocratica.
A metà della scala è presente una porta che immette in una serie di locali situati nel primo mezzanino.
La facciata posteriore è caratterizzata dalla sporgenza del volume di sinistra, rispetto a quello di destra in cui è inglobata la Torre del Leone, ma lo schema generale del prospetto si ripete, con qualche variante, anche su questo lato.
Il palazzo venne inaugurato con una grande festa, e all’epoca, a dimostrazione del suo prestigio, il Boyl fece aprire anche un ingresso che, dall’ex primo piano, giungeva diretto al palco della famiglia nell’antico teatro adiacente.
Nel passaggio ad arco voltato a botte, all’altezza delle prime imposte, su una mensola è ricavato un altarino votivo dedicato alla Madonna delle Grazie, nome con il quale oggi è conosciuto anche l’antico portico. L’omaggio alla Vergine riprende la vecchia usanza di mettere un santo a protezione di una casa o di una via, ricollegandosi ad antiche tradizioni pagane.
Lo stesso passaggio, durante la dominazione pisana, fungeva invece da ingresso alla torre, ed è stato una delle principali porte di accesso alla città fortificata del XIII secolo.
Ancora oggi sono visibili l’arcata in cui era collocata la saracinesca, mentre, superata la volta, si può osservare, nel muro a sinistra, un epitaffio romano a due spartimenti, riutilizzato come materiale di spoglio nella costruzione della torre.
Il cippo è una dedica di Clodia Beneria al figlio Valerio:
D(is) M(anibus) / M(arcus) Valerius B/enerianus / vixit an(nos) XVII / fecit mater //
D(is) M(anibus) / Clodia Beneria / vixit an(nos) / LXXX
All’interno del sottopassaggio erano presenti molte altre iscrizioni romane, ma furono purtroppo coperte quando fu intonacato l’arco.
Nel lato sinistro dell’edificio si apre infine un piccolo portone che, senza fronzoli o particolari decori, svolse per più di un secolo la funzione di ingresso principale della dimora dei Boyl. Fu per questo motivo che i cagliaritani ribattezzarono il fabbricato con uno scherzoso epiteto: “il palazzo senza portone”.
La Torre del Leone, prima di essere inglobata per intero nel palazzo, nei vari secoli ha assunto diverse funzioni, così come diversi appellativi. Dai costruttori non ebbe mai un nome ufficiale, tanto che, fino al XVIII secolo, per distinguerla dalle altre veniva indicata come “Torre del Leone”. Successivamente venne ribattezzata con il titolo di Torre dell’Aquila, e tale rimase fino ai primi anni del XIX secolo.
Il leone veniva assunto nel medioevo come simbolo di forza e potenza, per cui si era soliti, di questo animale, porne l’effigie nelle porte turrite.
Ci pensò quindi lo Scano, nel 1906, a concludere la diatriba sul nome, ritenendo di battezzarla definitivamente con il titolo di Torre del Leone, per via del piccolo felino che affiancava il marmo che riportava l’iscrizione, ora perduta, in cui veniva ricordata l’epoca della sua realizzazione, i castellani regnanti e l’architetto che la progettò. Nome attribuito poi anche alla sottostante porta del Castello indicata come porta “duorum leonum”.
L’inizio della sua costruzione risale invece al 1322, ed era parte integrante del complesso sistema di accesso al versante meridionale del Castello.
Realizzata con una configurazione planimetrica analoga a quella delle altre due torri pisane, San Pancrazio e dell’Elefante, appariva però più bassa rispetto a quest’ultima, ed era compressa in un perimetro che misurava circa 11×14 metri.
Al momento dell’assedio da parte dell’infante Alfonso la torre non era però ancora pronta, per cui nel periodo della dominazione pisana non venne mai utilizzata a scopo difensivo. La struttura fu completata solo più tardi dagli aragonesi, che in un primo momento la utilizzarono come sede dell’amministratore generale del Regno.
Allineata con la Torre di San Pancrazio e con l’antica darsena, per lungo tempo ebbe anche la funzione di indicare ai naviganti l’ingresso sicuro al porto.
Per evitare scogli e secche, sulla cima delle due torri era usuale accendere i fuochi, che, quando si sovrapponevano trasformandosi in un’unica luce, fungevano da segnale per l’inizio dell’attracco nella rada.
Nei secoli successivi, l’opera dell’architetto Giovanni Capula subì continue e importanti modifiche che ne cambiarono più volte fisionomia e funzione, divenendo anche prigione per Brancaleone Doria che, inviato in segno di sottomissione al re aragonese dalla moglie Eleonora d’Arborea, vi fu tenuto come ostaggio.
In periodo spagnolo fu trasformata in residenza per il viceré, mentre durante il Settecento, per la sua posizione di fronte rada, divenne bersaglio nei diversi bombardamenti che la città subì dal mare.
Prima di patire i colpi provenienti dagli assalti settecenteschi, venne utilizzata anche come osservatorio astronomico dal capitano del Genio Militare Carlo Porro: un celebre ottico che, tra le altre cose, inventò uno strumento per il rilievo delle mappe. Riutilizzata poi come carcere durante i moti del 28 aprile 1794, al suo interno, e fino al 1799, vi fu rinchiuso il patriota Vincenzo Sulis, celebre protagonista delle insurrezioni antipiemontesi che ebbero come evento principale la cacciata del viceré da Cagliari.
Una vecchia storia racconta che sugli avanzi della torre vi si rinchiuse uno dei membri della nobile casata dei Boyl, e che al suo interno visse giornate tormentate da episodi di inaudita violenza, fino alla morte. Il suo corpo venne sepolto in Piemonte per volontà della famiglia, ma sembrerebbe che, durante le notti più fredde di febbraio, il suo fantasma vaghi per la torre senza sosta, con in volto l’espressione addolorata di chi è morto senza pace.
La torre divenne tristemente famosa anche per la campana della giustizia (sa campana mala) che dalla sua sommità, con il cupo rintocco, annunciava le esecuzioni capitali.
Carlo Pilo Boyl muore a Cagliari il 30 dicembre 1859 all’età di 71 anni. Sei anni dopo la sua morte i figli decisero di trasferirsi a Torino e vendettero il palazzo al Barone Rossi, i cui discendenti, i conti Tomassini Barbarossa, lo possiedono ancora oggi.