Presenti a Cagliari dalla fine del 1640, e attivi unicamente nel campo dell’istruzione inferiore, gli Scolopi riuscirono a consolidare la loro presenza in città solo durante il 1773, ovvero quando la crescente ostilità nei confronti dei Gesuiti culminò con la soppressione dell’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola.
L’allontanamento della Compagnia di Gesù favorì subito un allargamento del raggio d’azione dei Padri delle Scuole Pie anche nella formazione superiore, operazione percepita come una naturale prosecuzione di quell’impegno che andava a vantaggio dell’istruzione popolare e gratuita, e che rientrava nei compiti del ministero fondato a Roma durante il 1617 dallo spagnolo José de Calasanz.
L’impianto di scuole gratuite per l’istruzione di base aveva trovato l’immediata opposizione dei Gesuiti, obiezione che rappresentò uno dei motivi per la difficile vita dei Padri Scolopi nel primo periodo della loro storia, poiché si battevano in un ambito, quello educativo, di forte impatto sociale, che andava a raggiungere, attraverso l’istruzione inferiore, tutti gli strati della popolazione.
La lontananza dei princìpi degli Scolopi rispetto ai modelli tradizionali della cultura tardo scolastica, sulla quale la Compagnia di Gesù aveva fondato la propria identità, offriva, per giunta, una promettente garanzia di apertura a fermenti di rinnovamento che meglio potevano sostenere lo slancio riformatore sabaudo, che, all’epoca, con il richiamo sull’isola di insegnanti proveniente dalla terraferma, si poneva tra gli obiettivi anche quello della diffusione dell’italiano nell’istruzione inferiore.
A Cagliari, i sacerdoti della congregazione di San Giuseppe Calasanzio arrivarono su invito dei consoli municipali, e dopo aver avuto una prima provvisoria ospitalità all’interno della primitiva chiesa di Santa Maria di Gesù, nella località di Villanova, si trasferirono nel nuovo complesso del Castello, che, oltre ad una piccola cappella interna, comprendeva un convento e un complesso educativo.
Le strutture, edificate su alcuni lotti edilizi donati da privati durante la prima metà del XVII secolo, furono costruite sul tracciato delle duecentesche mura pisane, prendendo il posto di due torri medievali (del Conte e Falcones) demolite intorno al 1675, e localizzate tra la Torre dell’Elefante e quella del Leone.
La volontà di inglobare negli edifici le preesistenti cortine di fortificazione medievale, ormai inutili per le nuove strategie di guerra, era una pratica che rientrava frequentemente nelle strategie dei Padri Scolopi, perché consentiva di sfruttare la stabilità delle antiche strutture murarie e contemporaneamente di ridurre le spese di costruzione.
Il convento e la casa di accoglienza giovanile oggi occupano longitudinalmente una grossa porzione della parte sinistra di via Università e l’intero lato destro di via San Giuseppe. L’insieme dei due edifici, che si articolano su quattro piani, sono collegati all’attuale chiesa mediante un cortile a foggia di chiostro, delimitato per tre lati da archi impostati su pilastri realizzati in pietra calcarea, sul quale sono distribuiti gli ambienti.
Sotto la più recente pavimentazione del cortile vi è sepolto un antico pozzo, mentre l’interno del convento custodisce ancora una parte delle scaffalature settecentesche della biblioteca calasanziana, disposta lungo una parete e costruita in funzione della sagoma delle grandi finestre presenti in questo ambiente. Ordinata su due livelli, mantiene il suo colore avorio con decorazioni dorate.
Al centro del candido soffitto a botte della sala è invece presente un affresco che riproduce lo stemma ufficiale dell’Ordine: una grande doppia M e le lettere greche MP e OY, che simboleggiano il motto “Maria, Madre di Dio”.
Negli anni i religiosi accumularono una grossa quantità di libri e manoscritti, ma all’indomani del Regio Decreto del 7 luglio 1866 n.3036, con il quale lo Stato Sabaudo non riconosceva più gli Ordini, le Corporazioni e le Congregazioni regolari e secolari, gli 8196 volumi della raccolta finirono all’interno del Monumentale Palazzo Belgrano, sede, dal 1769, dell’Università Cagliaritana.
Il catalogo, che era formato da libri di gran pregio che andavano dalle carte incunaboli alle settecentine, comprendeva anche volumi laceri o divenuti ormai antiquati. Fra questi figuravano volumi di teologia e filosofia scolastica, compendi, metodi per la memorizzazione e l’apprendimento, vite di santi, manoscritti per lo più incompleti riferibili ai vari rami educativi dell’Ordine, manuali di storia e geografia, ma anche opere di maggior spessore di epoca settecentesca riferite all’ambito della fisica, delle scienze, e della grammatica; e poi, numerosi testi dedicati alla poesia, che dimostravano un evidente impegno sul fronte della didattica della lingua italiana.
Ma se l’ingresso del fondo scolopico poteva risultare datato e in ritardo nel 1869, nel XX secolo questo “ritardo della storia” consentirà invece di fotografare con precisione il bagaglio di idee che le Scuole Pie diffondevano in età Sabauda, e arricchiranno la mappa del sapere giunto fino a noi.
Il convento si completava con due sotterranei, utilizzati dai padri Scolopi come cantine e stalle.
Al loro interno, sotto la coltre di terra che ricopre i pavimenti, sono tuttora custoditi i ciottoli di una strada medievale che oggi risulta in corrispondenza della via San Giuseppe e via dei Genovesi, una cisterna, un abbeveratoio e una mangiatoia in pietra. Inoltre, ad una quota di circa quattro metri, sotto l’attuale livello stradale, riposa anche ciò che rimane di una porzione di torre e dell’antica muraglia: alcuni grossi blocchi calcarei tenuti saldi da una mistura di calce, e parti di mura con ampie arcate.
A partire dal 1663 inizia a prendere forma la chiesa intitolata a San Giuseppe Calasanzio, un edificio rispondente perfettamente ai canoni tipici delle chiese scolopiche, che vedrà però tutta una serie di rallentamenti tanto da riuscire ad essere ultimata solamente nel 1735.
L’edificio, realizzato in grossi blocchi calcarei, è situato in forte pendenza a ridosso della Torre dell’Elefante, e si affaccia in un piccolo slargo formato dalla confluenza delle vie Santa Croce, Corte d’Appello, San Giuseppe e vico I dei Genovesi.
Vista dall’alto della torre la chiesa si impone con una grande cupola ottagonale maiolicata, sovrastata da un tamburo finestrato con il classico lanternino finale. Al suo fianco, una seconda cupola più piccola e bruna, mentre nello spazio tra la chiesa e la torre, leggermente arretrato, è presente un campanile a vela, a due luci, su cui è ancora montata una campana fusa in bronzo che riporta lo stemma d’Aragona.
Maestoso e con una facciata barocca lineare, il prospetto si presenta ripartito in due ordini da un’aggettante membratura dentellata che poggia su quattro lesene con capitello ionico, due al centro e due ai lati, che dividono l’ordine inferiore in tre spicchi.
Nella parete centrale, superato il dislivello stradale con una breve scalinata, si apre un grande portone ligneo lavorato a cassettoni bugnati. Contornato da una modanatura decorata in maniera piuttosto sobria, il portone è sovrastato da un timpano spezzato, al cui interno è posto uno stemma coronato dei Padri Scolopi che, scolpito in marmo, riporta la Croce della Passio contornata da raggi.
L’ordine superiore del prospetto, caratterizzato da due lesene laterali, è formato invece da un solo spicchio che, nella parte centrale, ospita una finestra con protezione, a cui si affiancano due ampie volute laterali.
Sopra il cornicione che attornia la finestra è collocata una lapide scritta in latino che ricorda l’anno di fondazione del convento.
Varcata la semplice bussola lignea, l’interno è formato da un’unica navata rettangolare con tre cappelle per lato voltate a botte, raccordate fra loro da passaggi, e illuminate da ampie finestre ad arco ribassato.
Un tempo affrescate e dotate di piccoli altari in marmi policromi, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale hanno custodito statue e tele di notevole pregio, raffiguranti soprattutto episodi della vita di San Giuseppe Calasanzio.
Oggi, a caratterizzare quella che un tempo era la cappella del Santo titolare della chiesa è rimasta una bomba di ferro fuso, lanciata dal mare e caduta nel collegio durante l’assedio francese del 1793.
Il presbiterio, leggermente sopraelevato rispetto al livello dell’aula, è coperto dalla grande cupola ottagonale, nei cui peducci erano dipinti i quattro evangelisti, e conserva un pavimento marmoreo delimitato da una bassa balaustra. Sormontato da un alto arco a tutto sesto, accoglie un’imponente altare realizzato in marmi policromi intarsiati risalente al XVIII secolo. Due Angeli, realizzati in marmo bianco da Giovanni Battista Franco, sono rappresentati genuflessi e oranti, e sovrastano una coppia di colonne tortili che incorniciano quella che un tempo era la nicchia che accoglieva l’opera principale del tempio religioso. Dipinta da Giovanni Marghinotti, raffigurava San Giuseppe, la Vergine con il Bambino, Sant’Anna e San Gioacchino.
Notevole importanza doveva avere anche la sacrestia, che si presentava con una volta affrescata da Francesco Massa, e che raffigurava la rappresentazione della fondazione dell’Ordine religioso. San Giuseppe, i discepoli e San Glicerio figuravano nell’atto di mangiare della brace, che, miracolosamente, si tramutava in frutta.
Nel 1866, come avvenne per il convento, anche la chiesa fu soggetta alla legge di soppressione degli Ordini religiosi con la successiva confisca di tutti i beni. In questo frangente, alcuni locali di pertinenza della chiesa di San Giuseppe Calasanzio divennero sede dell’Arciconfraternita del Santo Monte di Pietà, che qui vi rimase fino agli inizi del XX secolo, custodendo tra le varie opere, anche il corpo, ricostruito in cera, di San Lucifero Martire.
L’edificio subì la furia della Guerra di Successione Spagnola (1700-1720) e riportò gravi ferite durante l’assedio francese del 1793. Non fu risparmiata neppure dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che, nel 1943, la colpirono in modo serio danneggiando il prospetto, demolendo la fiancata destra e parte della volta.
I restauri avvenuti tra il 1948 e il 1952, promossi dal Genio Civile, recuperarono le forme originarie della chiesa, pur con l’uso di materiali diversi dall’originale come il cemento, ma andarono purtroppo perdute tutte le decorazioni.
La chiesa, sconsacrata, è stata chiusa al pubblico nel 1978 per problemi di infiltrazioni d’acqua che causarono il danneggiamento delle strutture, mentre il convento, a partire dalla fine dell’Ottocento, è stato sede del Gabinetto delle Stampe, della Procura Regia, dell’Ufficio del Registro e della Ricevitoria, di uffici pubblici e commerciali, del Liceo Ginnasio Siotto Pintor. Dal 1974, dopo un radicale restauro, è diventato una delle sedi del Liceo Artistico Statale Foiso Fois, che lo abbandonò il 31 dicembre 2013.