Palazzo Regio: l’antica dimora dei viceré

Prospetto esterno visto da piazza Palazzo. L’edificio è conosciuto anche con il nome di Palazzo Viceregio e Reale. (ph 2023)

Palazzo Regio colpisce da subito per il suo gradevole aspetto e per la sua facciata severa, senza fronzoli. Unico vezzo, un balcone sistemato sopra il portone a colonna di pietra di Bonaria.

Le sue origini si perdono nel lontano XIII secolo, quando il primo nucleo dell’edificio accoglieva la sede del governatore della Repubblica marinara di Pisa. A cavallo tra il 1326 e il 1327 poi, per ragioni politiche e militari, l’infante Alfonso d’Aragona ritenne necessario sacrificare il colle di Bonaria per il Castello dei pisani, il cui nocciolo strategico stava nella Torre di San Pancrazio e nel complesso castrense che ruotava su di essa, ed è in questo contesto che i nuovi dominatori iberici decidono di lasciare la sede del potere là dove l’avevano trovata, insediando la loro massima autorità proprio nello stabile che gli ufficiali pisani avevano sottratto alla curia arcivescovile, accanto alla cattedrale.

Sono gli anni tra il 1330 e il 1332 quando viene invece autorizzata l’edificazione di una dimora più dignitosa, che avrebbe dovuto assolvere la funzione di residenza del principale rappresentante regio, dello stesso sovrano, dei suoi consanguinei o dei personaggi dello stesso rango, e contestualmente di un luogo di riunione dei principali organi di governo politico, amministrativo e giudiziario.

Leoncini reggi pilastri della scalinata marmorea del De Guilbert

Le prime notizie certe di un nuovo palazzo, sede e dimora del rappresentate della Corona d’Aragona, risalgono al 1337, ma nei secoli successivi lo stesso fabbricato continuerà ad ampliarsi e a modificarsi, dapprima con la richiesta di ulteriori spazi a danno dell’episcopio adiacente, e poi, nel 1501, con l’annessione di un’abitazione attigua presente nel lato opposto e di proprietà della badessa del Monastero di Santa Margherita in Stampace. A partire dal 1605, e con l’acquisto, sul lato di settentrione, di ulteriori tre casette confinanti con il monastero di Santa Lucia, il caseggiato inizierà infine a configurarsi nella lunghezza attuale.

Durante il lungo periodo della dominazione spagnola, le sue mura diedero ricetto a più di un componente della famiglia reale. Pietro IV, tra il febbraio e l’aprile del 1355 vi celebrò il primo Parlamento Sardo, presenziando le sedute principali assiso in trono negli spazi dell’attuale Salone del Consiglio.
Passò più di un quindicennio, quando Martino, infante d’Aragona, vi trascorse invece l’ultimo anno della sua esistenza.

Nel succedersi dei primi quattrocento anni di vita l’edificio fu senza ombra di dubbio oggetto di frequenti attenzioni, ristrutturazioni, adeguamenti e ampliamenti. Ci furono tutta una serie di continui lavori che trasformeranno il palazzo per dare spazio alle funzioni pubbliche, oltre che per rispondere alle esigenze dei re e dei viceré, delle famiglie e delle corti che si sono avvicendate e vi hanno dimorato. In molti casi si è trattato anche di azioni condizionate dal processo di addizione dei differenti corpi di fabbrica, costruiti con fondazioni, murature, orizzontamenti e tetti indipendenti che non rispondevano mai a un disegno unitario, e che continuano a conservare tutt’oggi nonostante la rifusione nella nuova dimensione dello stabile.

Scalinata marmorea a tenaglia, realizzata nel 1730 dal De Guilbert

L’ultimo sovrano spagnolo che soggiornò al suo interno fu Alfonso il Magnanimo, agli inizi del 1421, dopodiché, da allora e fino a tutto il Settecento, ospiterà solo viceré, con un’unica eccezione di rilievo, il principe Carlo di Viana.
Perfino i Parlamenti non avranno più il palazzo come scena esclusiva, poiché le loro aperture e chiusure solenni avranno luogo in cattedrale.

Palazzo Regio costituirà comunque il punto di riferimento e la base dei lavori rappresentativi del Regno, sarà ancora questo il luogo dove si prenderanno le decisioni e vi si riuniranno i vice sovrani attorniati e consigliati dagli alti funzionari. All’interno di questo edificio il delegato del re continuerà a ricevere le voci degli stamenti e le loro delegazioni, ed ospiterà (da solo o in simbiosi con la cattedrale) le cerimonie di maggior rilievo che scandiscono la vita della capitale.

Con il passare del tempo, quindi, il palazzo venne ampliato, dentro i binari obbligati dell’affaccio sulla piazza e dello strapiombo alle spalle; in direzione della chiesa di Santa Lucia, verso San Pancrazio, e riempiendo i pochi spazi liberi ancora esistenti verso l’episcopio.

I viceré spagnoli, quando giungevano a Cagliari, ignoravano i reggenti uscenti e chiedevano che all’interno dell’edificio venissero fatti pesanti modifiche e differenti abbellimenti. Durante il Settecento, invece, la sede rappresentativa dell’autorità governativa subì solo un imponente opera di riprogettazione, secondo i canoni del lessico tardobarocco piemontese.
I sabaudi dimissionari passavano le consegne ai viceré subentranti, stabilendo in questo modo una sorta di continuità anche tra un viceregno e un altro, e tutto ciò comportava implicitamente che la residenza di un vice sovrano non fosse più sentita come una parentesi quasi del tutto personale che lo spingeva ad un uso del palazzo strettamente funzionale alle esigenze, al modo di vita, alle abitudini proprie e del proprio seguito.

La Sala degli Alabardieri, chiamata anche Sala dei Ritratti

In epoca sabauda gli interventi avevano quindi obiettivi verosimilmente meno individuali, che almeno sulla carta si limitavano a garantire una dimora prestigiosa all’istituzione e ad aggiornare il linguaggio architettonico dell’edificio, introducendo adeguamenti determinati solo dalle contingenze del momento e allestendo locali ragionevoli alle funzioni amministrative.
Tuttavia, i progetti dei funzionari del governo piemontese portarono di fatto a provvedere comunque all’ampliamento dell’immobile, con interventi che si protrassero per alcuni decenni, dovuti spesso, però, anche ai frequenti cedimenti nelle strutture murarie e nelle coperture.

Lo studio di rielaborazione del palazzo fu affidato alla responsabilità dell’ingegnere Luigi Andrea De Guibert, appena giunto in Sardegna con l’incarico di rilevare il capitano Audibert. Assistito dal de Vincenti, l’ufficiale nizzardo fu autore anche dello scenografico scalone di collegamento tra la cavallerizza e il piano nobile, e ideatore del portale d’ingresso e del vestibolo, coperto con una volta di tipo planteriano.

Salone del Consiglio

Oggi, dall’imbocco principale di piazza Palazzo, si apre un grande vano voltato a botte che permette l’accesso ad alcuni spazi laterali, antiche sedi della Governazione Reale e dell’Ufficio del Maestro Reale, con i rispettivi archivi.
Nel lato sinistro si nota un bassorilievo in marmo, rappresentante la Sardegna incoronata, una torre e un vascello, eretto nel 1803 dall’antica Amministrazione delle Torri, i cui uffici, dal 1587 al 1841, hanno avuto il loro esercizio proprio in questo ambiente. L’ingresso al piano ammezzato ospita adesso gli uffici di Presidenza della Città Metropolitana di Cagliari.

Nel lato destro dell’ala del palazzo che attualmente accoglie il Prefetto, è presente un locale anticamente occupato dall’ufficio postale, all’interno del quale, recenti restauri hanno restituito un’antica volta, nervature, pilastri di epoca medievale e due cisterne. 

Una lastra in cristallo posizionata in uno dei lati corti del pavimento cela invece l’ingresso di un cunicolo: antico passaggio segreto che, diradandosi sotto il caseggiato, consentiva agevoli e discrete vie di fuga sia all’interno del quartiere che oltre la cortina muraria.
Ancora sulla destra, si apre anche un cortile interno, anticamente adibito ad area di servizio per le carrozze e il corpo di guardia.

Vittorie Alate con lo stemma di casa Savoia. Più in basso lo stemma della città di Iglesias e l’omaggio a Vittorio Porcile

Attraverso la scalinata marmorea a tenaglia, realizzata nel 1730 dal De Guilbert, e avente, alla base della balaustra, due leoncini reggi pilastri (probabilmente opera di artisti liguri), si accede al piano nobile del palazzo, il cui interno ha ospitato gli alloggi privati dei re, dei viceré e delle corti che si sono avvicendati fino al 1847, nonché le sale di rappresentanza e di numerose magistrature, come il Tribunale della Reale Udienza in Sardegna e la Regia Segreteria di Stato.

Il piano nobile custodisce ancora oggi diverse sale abbellite da tappezzerie, drappi e ornamenti, in parte restaurate per opera dell’ingegnere militare de la Vallée fra i 1736 e il 1742, e in parte riattate a seguito di un devastante incendio avvenuto nel 1882.

La Sala degli Alabardieri, chiamata anche Sala dei Ritratti, ospita i quadri dei 24 viceré che governarono sotto i regni di Vittorio Amedeo II (1720-1730), Carlo Emanuele III (1730-1773), Vittorio Amedeo III (1773-1793) e Carlo Emanuele IV (1796-1802); mentre sulla parete destra, una lapide marmorea ricorda l’arrivo della famiglia reale, in fuga da Torino, ospitata nel palazzo dal 1799.

Il ritratto di Eleonora d’Arborea e il busto marmoreo raffigurante Umberto I

All’interno della Sala della Bandiera, incombono invece, sul lato sinistro, il ritratto a grandezza naturale di Carlo Felice, vestito di porpora (l’opera, realizzata nel 1829, è del Marghinotti) e la porta d’ingresso dell’appartamento che ospita il Prefetto.

Dirimpetto, sul lato destro, il ritratto di Carlo Alberto, mentre al suo fianco, un’apertura che questa volta conduce alle altre sale del piano nobile, organizzate in linea rispetto al prospetto principale che si affaccia nella sottostante piazza Palazzo, ed esito di una distribuzione spaziale degli interni che risale alla fine del XIX secolo, realizzata dopo l’incendio che distrusse quasi tutte le parti lignee dell’ala dell’edificio.

La prima sala, di ampie proporzioni, è contraddistinta da una tappezzeria gialla, ed è per questo ribattezzata “Sala Gialla”.
Fu la sede originaria delle riunioni della Deputazione Provinciale, e i suoi decori, realizzati fra il 1896 e il 1898, presentano una composizione imperniata sui miti classici. Sul lato sinistro è individuabile la figura di Euterpe, musa della lirica, che suona la cetra attorniata da vecchi suonatori di tibia e di aulos; dietro di lei, in piedi, da una discinta suonatrice di cembalo si snoda invece un corteo di figure maschili e femminili che muovono verso il fondo del tempio tra intrecci di veli, tirsi e pampini.
Vi sono anche due putti danzanti e le figure isolate di Tersicore, musa della danza, che suona il cembalo tra un fluttuare di veli, e più arretrata, un’altra fanciulla vista di spalle, forse Flora, che lascia dietro di sé un sinuoso strascico di velo celeste e una scia di fiori.

Il piccolo salottino successivo, contraddistinto dalla tappezzeria rosso-oro, appare riccamente arredato con mobili d’epoca, specchi dai bordi dorati e sofà in velluto che riprendono i colori caldi delle pareti.

Salottino Rosso-Oro

Nella saletta posta di fronte, che appare come una sorta di anticamera dello studio reale, emerge un secondo ritratto di Carlo Felice che, ammantato di ermellino, addita la città di Cagliari che si profila in lontananza, oltre il mare.
Nella parete corta, in un grande fregio dorato che sovrasta un mobile d’epoca, spicca invece, e in tutto il suo splendore, lo stemma della Città di Cagliari.

Due passi in avanti, e si apre la piccola sala, caratterizzata dalla tappezzeria e dagli arredi dalle calde tonalità verdi, conosciuta come “Lo Studio del Re”.
Alla spalle della scrivania vi sono esposti gli ultimi tre ritratti dei viceré, mentre nelle vetrine ad angolo sono custoditi alcuni particolari di argenteria di fine Ottocento.

A seguire, la stanza rivestita di rosso, dove si apre la prima porta di accesso laterale della grande Sala del Consiglio, mentre proseguendo, anche la camera decorata di verde è a sua volta contraddistinta da un secondo portale d’ingresso che permette di entrare in quello che un tempo si differenziava per essere il Salone della Musica e del Ballo e che, realizzato nella sua attuale configurazione solo alla fine dell’Ottocento, è stato interamente decorato dal pittore perugino Domenico Bruschi, tra il 1840 e il 1910.

Particolari della Sala Gialla

La Sala del Consiglio è caratterizzata dall’effetto complessivo della decorazione, che risulta di forte impatto scenografico ed emotivo, in particolare nelle grandi scene.

La lettura della volta è strettamente legata agli episodi affrescati nei riquadri alle pareti, e pur in apparente disordine di successioni, vi è rappresentato un programma iconologico ben meditato e teso a restituire dignità, attraverso le immagini, alla storia dei sardi, all’orgoglio della loro identità e al loro contributo fondamentale all’unità dello Stato Italiano sotto i Savoia.

Al di sopra delle tre porte principali dell’ingresso, nei sopra ornati delle cinque finestre e nei lati maggiori della sala, è possibile ammirare i ritratti raffiguranti Vittorio Porcile, Eleonora d’Arborea, Vincenzo Sulis, Giovanni Cima, Giovanni Battista Tuveri, Sigismondo Arquer, Giaquinto Degioannis e Giovanni Marghinotti, tutti personaggi illustri che onorarono la terra sarda nei vari campi del sapere.

Le quattro porte delle pareti minori sono invece sormontate dagli stemmi dei quattro Circondari nei quali la Provincia di Cagliari si suddivideva nel 1859: Lanusei, Iglesias, Oristano e Cagliari.

Gli affreschi della volta sul soffitto rappresentano un’allegoria sul tentativo di invasione francese del 1793, dove un gruppo di donne nude primeggia ai piedi della figura principale, la Sardegna, che custodisce lo scudo del Savoia.

Allegoria della Musica e della Danza, affresco nella volta della Sala Gialla

I due dipinti laterali, di dimensioni più modeste, rappresentano la “scienza dell’amministrazione” e la “scienza dell’ingegneria”, indispensabili per assicurare il buon governo.

Nella parete sud, Eleonora d’Arborea è ritratta mentre promulga la Carta de Logu con bellissime figure di contadini in costume; alla base del grande affresco, il busto marmoreo raffigurante Umberto I, opera eseguita nel 1896 dallo scultore Giuseppe Sartorio.

Nella parete opposta, Alfonso V il Magnanimo convoca e presiede a Cagliari le Corti Parlamentari del 1421. Il quadro, solenne e scenografico, è collocato dietro la sontuosa cattedra della Presidenza del Consiglio, intagliata nel 1896 dall’ebanista sassarese Gavino Clemente.

Nella parete lunga, la disperata difesa degli Iliensi dagli assalti dei soldati romanici, che li inseguirono per i monti aizzando contro di loro un fiero gruppo di mastini; e ancora, la difesa degli abitanti di Sant’Antioco da un assalto dei barbareschi. Due episodi che sottolineano il valore dei sardi in momenti tra loro molto lontani cronologicamente, ma emblematici della tormentata storia dell’isola, sempre costretta a difendersi dai predatori e dai conquistatori.

Lo Studio Reale

Nelle tavolette a bordi espansi la sigla SPK, Senatus Populusque Kalaritanus.

Le pareti sono invece collegate fra loro attraverso raccordi curvi in stucco finemente decorati, tra i quali emergono i gruppi a rilievo delle Vittorie Alate con lo stemma dei Savoia, lo stemma della Provincia di Cagliari, e il fregio della cornice composto da elmi, rotelle e fogliamo intrecciati. Nel complesso, non sfigurano nemmeno i decori in marmo e i lavori di intaglio delle porte.

Il palazzo, nella sua forma definitiva assunta alla fine del settecento, dalla parte di Villanova appare eretto su alti archi di sostegno sul costone roccioso a strapiombo verso la città, mentre da piazza Palazzo si sviluppa longitudinalmente e si articola su tre livelli al di sopra della quota di ingresso della piazza, più un lungo tunnel nella parte sottostante il livello dello stesso slargo.

Il prospetto esterno è costituito da tre ordini di finestre incorniciate da paraste in pietra, che si sviluppano a tutta altezza e poggiano su una zoccolatura realizzata in pietraforte. Le finestre del piano nobile, sormontate da una cornice, si aprono su balconi curvilinei poco aggettanti, sostenuti da mensole, e con ringhiere in ferro battuto. Un alto parapetto con cornicione costituisce l’elemento di chiusura, e il fregio che regolarizza l’edificio, visto dal basso, uniforma l’andamento dei tetti.

Stemma della Città di Cagliari

Il portone ad arco a tutto sesto è incorniciato da due colonne doriche e sovrastato da un lunettone centrato dallo stemma nobiliare di Casa Savoia, mentre la porta-finestra che si apre al centro del balcone principale del piano nobile è dominato da un’iscrizione con la data del 1769, a memoria del re Carlo Emanuele III e del viceré Vittorio Lodovico d’Hallot, conte des Hayes, artefici dell’opera di rifacimento. Insieme, il portale e il poggiolo interrompono la continuità della facciata, realizzata con un disegno di maniera che dà all’edificio l’apparenza di un volume unitario.

I tre livelli di piano si sono caratterizzati nel tempo con specializzazioni d’uso che ancora permangono: il pianterreno ha ospitato uffici e archivi, scuderie, corpo di guardia, cucine e servizi. Il piano nobile ha consentito le funzioni di rappresentanza, unitamente a quelle di residenza dei governatori. Il secondo piano è invece sempre stato dedicato agli alloggi di servizio, poi, in tempi più recenti, agli uffici.

Con “l’unione perfetta”, e venuta meno la funzione per la quale il palazzo era stato progettato cinque secoli prima, venne mandato un commissario straordinario, nella persona di Alberto Ferrero (de)la Marmora, che ne curò la dismissione, ma in maniera che l’edificio potesse continuare a mantenere sostanzialmente intatta la sua veste architettonica, che era fin lì venuta assumendo.

Il suo destino continuerà comunque a rimanere legato alle vicende del potere anche in epoca recente, poiché i locali verranno ancora e ripetutamente adattati ai numerosi ruoli funzionali, e saranno apportate modifiche che faranno violenza agli spazi, alle murature e all’architettura degli interni.

Prospetto del palazzo visto dal viale Regina Elena

Così, sede della Prefettura fin dal 1890, le sue pareti hanno osservato per oltre 40 anni (fino al 1988) anche i lavori del Consiglio Regionale della Sardegna, e si deve proprio al suo trasferimento nel nuovo palazzo di via Roma, alla fine degli anni Ottanta, il nuovo ciclo di operazioni di restauro che restituiranno dignità formale e funzionale (per usi culturali e di rappresentanza) agli spazi interni che ancora oggi vengono condivisi tra l’ente locale e l’ufficio territoriale del governo.

Fino al 2016 ha ospitato gli uffici della Provincia di Cagliari, mentre dall’11 aprile dello stesso anno è divenuto la sede del primo Consiglio della Città Metropolitana di Cagliari, con Sindaco Metropolitano, chiamato anche Presidente, Massimo Zedda. 17 Comuni al lavoro (Cagliari, Assemini, Capoterra, Decimomannu, Elmas, Maracalagonis, Monserrato, Pula, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Sarroch, Selargius, Sestu, Settimo San Pietro, Sinnai, Villa San Pietro, Uta) insieme per la pianificazione delle scelte strategiche del territorio con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini.