Il palazzo delle Seziate, che oggi costituisce il varco di collegamento tra le piazze Arsenale e Indipendenza, è una costruzione storica che risale al 1687, sebbene le sue forme originali siano state spesso trasformate: uno degli interventi più invasivi risale al primo ventennio del XVII secolo, mentre l’altro, che vide il costituirsi del secondo piano, è invece del 1831.
L’edificio (che prende il nome dalle assemblee – denominate “siziate” – durante le quali il viceré, attorniato dalle massime autorità e dai giudici della Reale Udienza, ascoltava le richieste e le suppliche dei prigionieri) ingloba, tra le altre cose, anche un passaggio allungato conosciuto come Porta delle Seziate, della Zecca e di San Pancrazio, che immette nella limitrofe piazza Indipendenza e nel quartiere vero e proprio del Castello.
Piazza Indipendenza, conosciuta anticamente con il nome di piazza San Pancrazio, poiché nelle sue vicinanze sorgeva una chiesetta dedicata a questo martire, e che corrisponde a quella oggi nota come San Lorenzo e Pancrazio, in epoca pisana non era altro che una vasta area rettangolare delimitata delle mura di cui ancora adesso rimane un breve tratto visibile dal viale Buoncammino, in prossimità di Porta Cristina.
Lo slargo, oggi come allora, costituiva l’ingresso settentrionale al Castello, e qui si fermavano i carri che rifornivano la città dei prodotti agricoli del Campidano. L’ampio spazio consentiva la sosta dei veicoli e le operazioni di scarico, e permetteva di abbeverare le bestie da tiro servendosi di un pozzo scavato al centro della piazza, dal quale si estraeva l’acqua con una noria azionata da cavalli che giravano in continuazione intorno alla fontana. È dunque facile immaginare quanto questa piazza potesse essere trafficata da carri carichi di mercanzie e da soldati di guardia alle fortificazioni. Doveva essere fangosa per il continuo viavai dei secchi d’acqua, e maleodorante per la presenza dei cavalli addetti all’argano del pozzo, dei buoi che trainavano i carri, e delle latrine pubbliche relegate in questo sito periferico.
Durante il dominio aragonese, nella piazza vennero sistemate delle ingombranti macchine da guerra e delle catapulte, per cui veniva indicata anche come plaza de los trabucos.
Nella seconda metà dell’Ottocento tutta la toponomastica cittadina iniziò invece ad essere modificata con l’impiego di nomi legati all’epopea risorgimentale, per cui anche la piazza San Pancrazio diventò, prima, piazza Vittorio Emanuele, per poi assumere poco tempo dopo il titolo definitivo di piazza Indipendenza.
Oggi, una volta oltrepassato l’arcone del Palazzo delle Seziate, realizzato nel 1838, e partendo dalla destra, la prima costruzione che si nota è l’edificio dell’ex Regio Museo Archeologico. Vi si accede ancora tramite una breve scalinata, che si avvia dal basamento di due eleganti semicolonne che incorniciano l’ingresso, ma ciò che appare adesso ai nostri occhi è solo una ricostruzione in stile neoclassico di un progetto di Dionigi Scano apportato all’antica struttura tra il 1902 e il 1904.
Al suo posto, dal 1327, sorgeva il piccolo edificio della zecca del Regno di Sardegna, al cui interno, a partire dal 1339, iniziò la coniazione delle monete che avevano corso nell’isola. In questa zecca furono emessi anche i famosi “cagliaresi”, così chiamati perché nella moneta era incisa la scritta Castri Callar, e l’Alfonsino Minuto, battuto da Giovanni I d’Aragona nel 1387.
Nel capoluogo sardo vennero coniate monete per più di quattro secoli, e la zecca cagliaritana lavorò fino a quando il Regno di Sardegna, nel 1821, adottò la monetazione decimale.
L’edificio, restaurato e adattato nel corso dell’Ottocento per finalità espositive, divenne sede del Museo Archeologico Nazione di Cagliari fino agli anni Ottanta del Novecento, quando i preziosi reperti furono trasferiti all’interno della vicina Cittadella dei Musei.
La nascita del museo archeologico risale al 1802, quando il viceré Carlo Felice fece allestire nel Palazzo Regio il “gabinetto privato di antichità e storia naturale”. Successivamente, nel 1805, la collezione fu donata all’Università degli Studi di Cagliari ed esposta all’interno del Palazzo Belgrano. Per accogliere i nuovi reperti provenienti dall’isola, fu dapprima spostata nel Palazzo Vivanet (era il 1895) e poi proprio nell’ex Regio Museo Archeologico.
Oggetto di un nuovo e attento lavoro di recupero, oggi questo luogo della città ospita conferenze, convegni e iniziative di carattere culturale.
Nell’aiuola che si trova davanti al palazzo è invece presente una botola seminascosta. Si tratta dell’apertura attraverso la quale, dal 1825, si accede all’antico pozzo sotterraneo di San Pancrazio.
Posto originariamente al centro dell’antica piazza omonima, fu l’ingegnere militare Carlo Pilo Boyl ad eliminare l’indecorosa apparecchiatura che permetteva di attingere l’acqua dal pozzo, e sostituirla con la realizzazione, sotto la stessa piazza, di una galleria in cui i cavalli potevano compiere il loro moto rotatorio senza più arrecare alcun fastidio alla chiassosa vita che si svolgeva in superficie.
Sul medesimo lato insiste anche il bel Palazzo Amat di San Filippo, il cui portale principale immette in un atrio affrescato dove è ritratto lo stemma della famiglia. L’edificio, che appartiene agli Amat dal 1801, venne ampliato nel 1890 dal senatore Edmondo Sanjust secondo quei sobri partiti formali che contraddistinguono ancora oggi la maggior parte del palazzi gentilizi del centro storico.
Realizzato durante il XVIII secolo dalla famiglia Masones, si sviluppa su un’area irregolare, in angolo, ed è caratterizzato da un prospetto semplice in finto bugnato sul basamento, finestre riquadrate e balconcini curvilinei in ferro battuto. Il palazzo si affaccia solo per una porzione nella piazza Indipendenza, mentre l’altra metà si allunga verso via La Marmora.
Posto praticamente quasi di fronte al Palazzo delle Seziate, si erge invece Palazzo Sanjust, attuale sede della locale loggia massonica.
In quest’area, originariamente, sorgeva il convento benedettino di Nostra Signora di Montserrat, sulle cui rovine, nel 1626, venne costruita la prima sede dell’Università Cagliaritana. Durante la prima metà del Settecento, l’ateneo decadde, e l’edificio, già malandato, venne utilizzato come teatro, caserma e scuderie reali.
Nel 1852, a seguito di un crollo in cui persero la vita diversi cavalli, l’intera area venne abbandonata, per poi rientrate, nel 1877, nelle disponibilità di donna Maria Amat Quesada, maritata a don Enrico Sanjust, il quale sfrutterà gli spazi per edificarvi il palazzo di famiglia. L’attuale edificio venne successivamente acquistato, nel 1988, dal Grande Oriente d’Italia.
Ripartendo dal Palazzo delle Seziate, sul lato destro di piazza Indipendenza, sorto di fianco ai basamenti della torre, si innalza il Palazzo delle Figlie della Divina Provvidenza, fulcro storico del quartiere Castello. L’edificio venne edificato intorno alla prima metà del XVII secolo e destinato, inizialmente, ad ospitare gratuitamente un collegio per i nobili rampolli delle famiglie blasonate prive di mezzi sufficienti per dare una conveniente istruzione ai propri figli. Nel 1831 fu rinnovato nelle forme attuali (ristrutturate poi nel 2019) e destinato al ricovero delle giovani orfane, nell’ambito delle opere sociali ed assistenziali patrocinate dalla casa Sabauda.
Poco oltre, infine, in prossimità di piazzetta Mafalda di Savoia, non sempre risalta agli occhi la testimonianza storica, risalente al periodo fascista, incisa sulla facciata di Palazzo Onnis-Bellegrandi (ex Chapelle). Il suo prospetto, tra le finestre di forma irregolare, ospita infatti una parte del discorso ancora parzialmente leggibile col quale, il 9 maggio 1936, Benito Mussolini proclamò l’impero italiano: “Il Popolo italiano ha creato con il suo sangue l’impero, lo feconderà col suo lavoro, lo difenderà contro chiunque con le sue armi. Mussolini”.
A quasi un secolo dalla sua realizzazione, la grande scritta continua a destare curiosità in chi la nota, mentre crea indignazione la piazzetta intitolata a Mafalda di Savoia, ricavata proprio sotto questa frase, vista la sua morte avvenuta nel campo di concentramento di Buchenwald in Germania il 27 agosto 1944.
Inserita nelle mura di Palazzo Onnis, ad una certa altezza, si legge anche un’epigrafe commemorativa del 1604 che fa riferimento alla pietra sepolcrale spagnola rievocante l’apertura della fontana pubblica di Santa Lucia, il cui pozzo era profondo ben 120 metri.
Il palazzo, ristrutturato e decorato con pregevoli motivi floreali durante il Novecento, presenta quattro prospetti che si affacciano rispettivamente sulla piazza Indipendenza, sulla via Martini, sul vico Martini e sulla via Canelles. Nella facciata interna all’edificio antistante la via Martini è visibile anche l’elegante medaglione in cotto di gusto Liberty ornato da un busto femminile.