Via Alberto La Marmora: la strada dei mercanti

Via Alberto La Marmora

Via La Marmora è il paradiso dei nobili portoni, oscuri e misteriosi, con belle volte ad archi e scale gentilizie. Ha un’aria antica come i suoi vecchi nomi: dalla prima metà del Milleduecento fu la ruga Mercatorum, la via dei Marcanti, e lungo il suo percorso vi dimorarono i più importanti commercianti arrivati da oltremare e i maggiori esponenti della vita economica e politica della città. Era certamente la via principale dell’insediamento pisano, poiché, nel 1233, era costeggiata anche dalle case dell’Opera di Santa Maria di Pisa.

Con l’allontanamento dei pisani e il successivo arrivo dei catalano-aragonesi (1326), la via prende il nome di carrer dels Mercades, e inizia ad essere interdetta sia ai pisani che ai fiorentini; ai sardi, che non potevano essere cacciati dall’isola, viene invece ancora concesso di restare nel quartiere e quindi anche nella via, ma solo durante il giorno. Al calar della sera erano costretti ad abbandonare la rocca sotto lo sguardo severo della guarnigione. Sarà poi solo dopo il conflitto catalano-aragonese contro i sardi del giudicato di Arborea, che il re Alfonso V d’Aragona, con un provvedimento del 1453, permetterà anche agli isolani di poter finalmente avere casa, negozi e botteghe in Castello.

Nel XVI secolo, la via diviene carrer Mayor, a cui viene affiancato il nome di calle de los Plateos, cioè degli argentari, confermando la sua natura di asse principale e la centralità della sua funzione anche in epoca successiva. In questi decenni la strada inizia a riempirsi di artisti, in gran parte sardi, che cominceranno a produrre gli splendidi lavori che ancora ornano le chiese della città e di tutta l’isola.

Oggi è la prima strada del quartiere Castello in cui ci si imbatte, e porta un nome noto a molti italiani, perché non c’è città che non abbia almeno una via o un monumento dedicato a uno dei personaggi con questo cognome. La storia del Risorgimento che si studia a scuola infatti li cita molto spesso.

Alberto Ferrero della Marmora (1789-1863) è stato un importantissimo scienziato e studioso della Sardegna, nonché senatore del Regno.
Nacque a Torino, e giunse per la prima volta nell’isola nel 1819 (dopo una traversata di 12 giorni) per dedicarsi agli studi di ornitologia e praticare la caccia.
Rientrato a Torino, e sospettato di partecipare ai Moti Liberali del 1821, fu esiliato e invitato di nuovo a raggiungere al più presto la Sardegna. Arrivò così ancora una volta a Cagliari e, nonostante il forzato esilio, affermò di sentirsi come a casa propria, tanto ne era innamorato.
Nel 1825 venne riammesso nelle milizie riprendendo la sua vita militare, e nel 1849, inviato come comandante generale in Sardegna, dedicò all’isola i suoi studi in lingua francese su questioni economiche e fisiche. I suoi libri contenevano osservazioni, statistiche, ricerche sulla natura e sul patrimonio archeologico della regione, volumi che incontrarono il favore del pubblico e dei quali il canonico Giovanni Spano, suo amico personale, curò le traduzioni nel 1868. Fin dal 1826 lavorò sulla carta geografica della Sardegna e con le sue attrezzature girovagò per le contrade prendendo appunti ed effettuando rilevazioni topografiche. A lui si deve la misurazione del punto più alto del Gennargentu, che porta il suo nome: Punta La Marmora – 1.834 metri.

Via La Marmora è sempre stata la strada più prossima alla platea comunis (l’attuale piazza Carlo Alberto) e, descritta come stretta e lunga, a partire dalla seconda metà del 1500 iniziò a scorrere da una torre militare all’altra. Prima di allora, la sua parte settentrionale era invece occupata delle antiche mura pisane del lato occidentale del Castellum Castri, le quali, una volta abbattute, crearono lo spazio sul quale venne edificato il monastero della Purissima Concezione.

Nella nostra via, di quei tempi, si può ancora intuire una tradizione di secolare prestigio, anche se con qualche acciacco. I nobili ci vissero  per secoli, tanto che alcuni edifici conservano ancora i nomi degli antichi aristocratici che ne furono proprietari. I bombardamenti aerei del 1943 ne hanno cancellato l’immagine originaria, anche se già dalla seconda metà dell’Ottocento, iniziarono ad essere apportati significativi cambiamenti per via dei nuovi allineamenti stradali che determinarono l’arretramento degli antichi edifici ed il conseguente ridisegno dei fronti d’affaccio.

Palazzo Prunas Barrago

Via La Marmora adesso è una sequenza di palazzi e palazzotti, ma anche di case più modeste, perché Cagliari è Sardegna, e pertanto la distanza fra i ricchi e i poveri non è mai stata abissale come altrove.

La strada è dunque probabilmente diversa nel suo aspetto, ma continua ad essere suggestiva, ventosa nelle fredde mattine invernali, umida e buia al primo calar della sera, proprio come cento e cento anni fa. Sopravvivono i vicoli e i vicoletti, stretti e ripidi, che la collegavano alle altre arterie, e sono talmente stretti che le case intorno, sembrano altissime, anche se non lo sono.

Lungo il suo tracciato è possibile visitare la bella chiesa della Purissima, che deve il suo nome al Monastero della Purissima Concezione, costruito nel 1554 sul sito che in tempi più remoti aveva ospitato l’impianto della chiesetta romanica di Santa Elisabetta.

Discendendo verso sud, non può invece passare inosservato il curioso “Portico A. Lamarmora”, al quale vengono attribuite alcune sinistre storielle.

Portico delle Anime (foto di Arturo Bertolini)

Il portico, incassato fra i palazzi, e ribattezzato “Portico delle Anime” (su porciu de is animasa), è capace di suscitare un timore reverenziale in chi lo attraversa, questo perché alcuni abitanti della zona hanno raccontato di aver sentito distintamente i lamenti delle anime in pena che si fermerebbero dinnanzi all’effige della Vergine.

Si tratta di un tunnel stretto e quasi grigio anche a mezzogiorno, coperto da una volta realizzata grossomodo a botte, che scende frettoloso, benché non sia tanto ripido, verso la via Genovesi. I nomi delle strade in cui sbocca riportano a tempi lontani e non c’è da meravigliarsi, dunque, se il vicolo fosse davvero popolato da fantasmi che nel passarvi ti sfiorano, soprattutto a sera. Si tratta di suggestioni, forse, oppure sono le ombre di Pisani e di Genovesi, di Spagnoli, di Piemontesi, ombre dei nostri nonni e dei nostri bisnonni che riempiono l’aria scura e te la fanno sentire come un denso fumo che ti avvolge con le spire della nostalgia e della paura insieme.

Effige della Vergine nel Portico delle Anime

A volte sono solo storie frutto della fantasia di qualche vecchio castellano, che si sono tramandate fino ad arrivare ai giorni nostri, e magari lo sono anche le leggende che sostengono che il luogo è sempre stato epicentro di diverse manifestazioni notturne. A tal riguardo, per esempio, si racconta di un giovane che, passando sotto il portico durante la notte, abbia alzato lo sguardo verso la piccola edicola che ospita il simulacro della Vergine, e che al posto della Madonnina abbia visto un viso sorridente, misto di malevolenza e malinconia.

Altri abitanti sostengono invece che il portico offra ospitalità a strani personaggi, a rumori e voci, che spesso turbano chi lo oltrepassa anche alla luce del sole.

C’è però anche una bella storia, ed è quella che narra che nel corso del Giovedì Santo di un anno imprecisato, Sant’Efisio sarebbe apparso minaccioso nel portico a un uomo che intendeva fare strage degli abitanti di Cagliari gettando un potentissimo veleno nelle acquasantiere delle chiese. L’attentatore, spaventato, avrebbe quindi deciso di desistere dal suo proposito e di correre a confessare l’accaduto. Da quel giorno, per riconoscenza, fu stabilito che, durante la processione del Giovedì Santo, il simulacro di Efisio facesse sosta davanti all’altare dedicato alla Madonna delle Grazie, presente nel Portico delle Anime, prima di raggiungere la cattedrale.

Portico Vivaldi Pasqua

Un’altra versione della vicenda racconta invece che, intorno al 1720, Sant’Efisio, vestito con semplice tunica e senza armatura, sarebbe apparso in sogno al viceré sabaudo Filippo Pallavicino di Saint Remy per allertarlo che le acque del quartiere Castello erano state avvelenate. Così, per riconoscenza e grazia ricevuta, il viceré volle che, ogni Giovedì Santo, il simulacro di Efisio vestito a lutto, fosse portato in processione in visita ai sepolcri delle sette chiese cagliaritane.

La processione, al di là di queste antiche storie, si perpetua ancora oggi partendo dalla chiesa di Sant’Efisio di Stampace.

Superato il “Portico Lamarmora”, la via conduce in piazza Carlo Alberto, l’antica Platea Comunis, dalla quale è possibile scorgere l’imponente cattedrale di Santa Maria, ma anche osservare i ruderi del Portico Vivaldi Pasqua.

Si trattava di un’antica loggia con arco ogivale che sovrastava i palazzi Asquer e Falqui-Pes. Fu purtroppo squarciata durante i bombardamenti del 1943, che non solo ne hanno ridotto la sua pietra in frantumi e polvere, ma segnarono le sorti anche dei due edifici soprastanti. Palazzo Asquer, un pregevole esempio di edificio costruito in stile barocchetto piemontese, fu gravemente danneggiato, mentre Palazzo Falqui-Pes crollò completamente. Il vicolo, con il suo arco superstite, dopo la guerra è divenuto un affascinante punto di passaggio scoperto, ritornando ad essere come era prima che il marchese Trivigno Pasqua, nel 1781, vi costruisse sopra parte del suo palazzetto.

Fino a qualche decennio fa, quasi alla fine della strada, esisteva anche su “Porciu de Gesus”, un colonnato umido e buio che ospitava una rampa di scale grigie che, seguendo alcune lucine, conducevano ad una rivendita di carbone.

Via Alberto La Marmora era conosciuta anche come “via Dritta”.

PALAZZI STORICI LATO DESTRO:
Palazzo Amat, 140-134; Chiesa della Purissima Concezione; Palazzo Gruppo Speleo, 128; Scuola Media G. Manno, 124; Palazzo Roberti Nin di S. Tommaso, 122; Palazzo De Magistris, 120; Palazzo Sanjust, 118-116; Palazzo Zanda, 114-110; Palazzo ex Capitolo di Cagliari, 108-106; Portico Alberto Lamarmora; Ruderi palazzo duca di Mandas; Avanzi Palazzo Salazar Grondona, 104; Palazzo Lepori, 98; Palazzo Floris Thorel, 96-88; Palazzo Asquer Nin di San Tommaso, 86-80; Portico Vivaldi Pasqua; Ruderi palazzo marchese Trivigno Pasqua; Palazzo Delitala di Manca, 66-62; Palazzo Falqui di Vidal, 60-54; Palazzo Melis Ximenes, 52-48; ruderi palazzo Aymerich; Palazzo Asquer Nin Pilo Manca, 40-38; Palazzo Orrù, 26-24; Palazzo Barca Pirisi, 20-16; Palazzo Asquer, 14-8; Palazzo Rossi, 6-2.

PALAZZI STORICI LATO SINISTRO:
Palazzo Sanjust, 175-167; Palazzo Ruda Sanjust, 139-133; Palazzo Manca di Villahermosa, 131-127; Palazzo Carboni, 125-123; Palazzo Gessa 121-115; Palazzo Flores D’Arcais, 113-111; Palazzo Amat – Flores d’Arcais, 99- 93; Palazzo Prunas Barrago (palazzo d’angolo); Piazzetta Carlo Alberto; Palazzo Mameli, 81; Palazzo Pes di Villamarina, 79-73; Palazzo Pes – Sanna Sulis, 63-61; Palazzo Borro Zatrillas – Serra di Santa Maria 59-57a; Palazzo Otger, 57; Palazzo Carboni, 43-39; Palazzo Palomba Garzia, detto “delle cinque teste”, 35-25.