Palazzo Belgrano

Portale d’accesso dell’Università degli Studi

Affacciata sulle pendici occidentali della rocca del Castello, la sede storica dell’Università degli Studi di Cagliari si caratterizza per la sua figura sobria ed elegante, e per il disegno ritmico e continuo degli spartiti decorativi che accentuano l’omogeneità della struttura compositiva.
La sua costruzione fu una delle campagne edilizie più interessanti compiute dall’amministrazione sabauda, e il palazzo, oggi, costituisce una delle massime espressioni dell’architettura tardo-barocca presenti in Sardegna.

Concepito con evidenti finalità di rappresentanza, poiché mai, prima di allora, a Cagliari, l’immagine della monarchia dei Savoia aveva superato le stanze del Palazzo Reale, fu uno dei lasciti del sovrano Carlo Emanuele III che, attraverso un articolato pacchetto di riforme, affidato alla responsabilità dell’avvocato valsesiano Giovanni Battista Lorenzo Bogino, intendeva mettere mano alla riorganizzazione degli studi, un’operazione che gli avrebbe consentito anche una sottile e cauta campagna di italianizzazione della popolazione sarda.

Aula Magna del Rettorato: veduta d’insieme

L’immagine architettonica del rifondato Studium Generale, che sostituì la vecchia sede dell’Università cagliaritana, costituita tra il 1620 e il 1626 dalla Corona di Spagna, fu concepita dall’ingegnere torinese Antonio Saverio Belgrano di Famolasco, giovane rampollo dell’aristocrazia piemontese, giunto in Sardegna nel giugno del 1761 all’età di appena ventitré anni.

Ottenuto quindi ufficialmente l’incarico di sovrintendere agli aspetti tecnici e di stimare l’entità economica del progetto, due anni dopo dal suo arrivo, l’ambizioso ingegnere si mise alla ricerca di una sede opportuna per la realizzazione del nuovo edificio. Scartata una prima ipotesi di trasformazione del palazzo Zapata, adiacente la Torre del Leone, ed esclusa la riconversione di alcuni palazzi residenziali, la scelta definitiva ricadde su un’area occupata, in parte, da edifici militari e privati, conosciuta all’epoca come terrazza del Bastione del Balice.

La proposta incontrò subito il consenso delle autorità, poiché garantiva la possibilità di realizzare un nuovo ateneo di adeguate dimensioni e, soprattutto, di sfruttare le qualità privilegiate del luogo designato dal Famolasco. Sulla decisione definitiva del Balice aveva intuito non solo il valore paesaggistico del baluardo, ma anche le potenzialità urbanistiche della contrada. Ultimata infatti la costruzione del Palazzo dell’Università e, di lì a poco, per volere dell’arcivescovado, anche del Seminario Tridentino, la strada sarebbe diventata l’asse portante di un inedito e colossale polo culturale laico-religioso. Cardine del progetto, le due istituzioni, attorno alle quali avrebbe gravitato il convento dei padri Scolopi di San Giuseppe Calasanzio.

Benché la sua costruzione si prospettasse lunga e complessa, le autorità non persero tempo nell’aprire l’anno accademico della nuova università. Il 3 novembre 1764 ci fu infatti l’inaugurazione ufficiale, alla presenza di tutti i rappresentanti governativi ed ecclesiastici, dando in questo modo inizio ad un nuovo periodo storico per la città e per il suo ateneo.

Aula Magna del Rettorato: Filippo Figari, Sardegna Industre, 1925, olio su tela, cm 238×400

Negli  anni in cui si assisteva prima alla stesura dei progetti e poi alla realizzazione del nuovo palazzo universitario, l’arcivescovado si rivelò un partner indispensabile per la rifondazione degli Studi cagliaritani. Avvenne difatti negli uffici della curia il reclutamento del primo corpo docente, grazie alla capacità di intrattenere quella capillare rete di contatti, anche su scala internazionale, con altre università, seminari e organismi ecclesiastici. In Sardegna come altrove, gli ordini religiosi, in particolar modo gesuiti e scolopi, sopperivano da decenni alla carenza di insegnanti, impartendo sia corsi di studio regolari ai rampolli delle famiglie facoltose, sia fornendo tutori privati nelle varie discipline.
In particolar modo, i fratelli gesuiti e i padri scolopi si resero disponibili anche ad ospitare presso i loro conventi i primi cicli di lezioni, e la piccola contrada, interna alle antiche mura pisane, divenne all’epoca il centro propulsivo di un improvvisato ateneo.

Corridoio che conduce all’androne della Stanza del Magnifico Rettore

A distanza di poche settimane dalla prima relazione del Belgrano, la corte sabauda invitò l’ufficiale a presentare il progetto dettagliato dell’intervento.

Introdotte quindi lievi modifiche richieste da Torino, e stipulato il contratto d’appalto datato 6 maggio 1765, la costruzione dell’università procedette celermente, tanto che, nei mesi successivi alla posa della prima pietra, le murature e il piano di imposta delle prime volte raggiunsero uno sviluppo tale da costituire un vincolo imprescindibile per i futuri interventi.

Contemporaneamente, il Belgrano fu incaricato di curare anche il restauro dell’antico seminario cagliaritano, ancora ospitato in alcuni locali adiacenti il fronte meridionale della cattedrale e della vicina chiesa di Nostra Signora della Speranza.
Intuita però l’impossibilità di ingrandire l’istituto senza arrecare danni strutturali agli edifici confinanti, il Belgrano suggerì all’arcivescovo Agostino Delbecchi la possibilità di realizzare una nuova sede adiacente all’Università, allora in fase di ultimazione.

Superate le iniziali riluttanze, dettate soprattutto dai costi elevati dell’impresa, alla fine il prelato si convinse e diede il suo consenso, affidando allo stesso ufficiale la direzione tecnica del progetto.

Androne della Stanza del Magnifico Rettore

Nell’ambiziosa soluzione architettonica del giovane capitano piemontese, il nuovo Seminario Tridentino era previsto in posizione simmetrica all’Università, e il centro e cardine compositivo del rinnovato polo culturale sarebbe dovuto essere il nuovo teatro regio, opportunamente collocato nel segmento mediano dell’edificio.
Il Belgrano aveva avuto fin dal principio l’intenzione di creare un fronte unico d’affaccio che occupasse quasi tutto il profilo occidentale di quella che ancora era la contrada del Balice, occludendo volutamente dalla strada la vista sul panorama della bellissima terrazza naturale.

Inviato a Torino e sottoposto al giudizio di merito del congresso degli edili, il progetto completo dell’ingegnere fu però respinto. La presenza del teatro, quale cardine compositivo del complesso, fu criticata poiché sulla carta determinava un eccessivo slittamento del seminario verso meridione.
In realtà la ragione era ben diversa e puramente etica, poiché quella sala per l’intrattenimento mondano tanto immaginata dal Belgrano, all’epoca, sarebbe stata solo una presenza scomoda accanto alle istituzioni deputate alla formazione della futura classe colta del Regno di Sardegna.

Scorporato quindi dall’illusorio disegno originario, il teatro venne ricavato in adiacenza al palazzo Zapata-Brondo, occupando l’ultima porzione libera del lotto di pertinenza.
La sua esclusione non modificò comunque i caratteri distributivi del complesso. Il Seminario Tridentino, posto a diretto contatto con l’Università, dovette a sua volta rinunciare ad alcuni locali, ma ad opera ultimata avrebbe assunto la stessa forma geometrica regolare programmata, imitando il profilo planimetrico aperto già adottato per l’ateneo.

Il tratto distintivo del progetto del Belgrano diventava, a questo punto, il fronte retrostante dell’edificio, che dava verso il golfo di Cagliari, e che avrebbe visto l’inserimento di tre ordini di logge distribuite attorno alle corti.
Concepite con finalità estetiche tipicamente barocche, le arcate e le retrostanti campate, coperte con volte a vela, avrebbero determinato una percezione mutevole dell’edificio. Secondo il Belgrano, interno ed esterno venivano in questo modo posti in relazione diretta, mentre la luce irradiata interpretata come strumento di modulazione spazio-temporale. Il sistema dei percorsi, distribuiti su scenografici ballatoi, avrebbe invece invitato a fruire l’edificio in maniera dinamica, stabilendo un interessante parallelo con le architetture planteriane.

Stanza del Magnifico Rettore

Una volta ottenuto il gradimento della corte anche sul secondo progetto, e definita la collocazione urbanistica del seminario, emerse l’esigenza di demolire alcuni edifici ubicati sulla terrazza del Balice, ancora occupata da caserme e da alcuni stalli privati destinati alle carrozze. Bastò però trasferire gli alloggi dei Dragoni, corpo militare a cavallo distaccato sul baluardo, nel vecchio teatro regio, dove, per la riconversione della sala, fu sufficiente demolire i palchi lignei e ridistribuire gli spazi interni.
La dismissione militare del bastione e l’eliminazione della caserma non privarono tuttavia le truppe degli spazi strategici, poiché dalla sommità del Balice continuava ad essere possibile il controllo dell’accesso al porto e allestire diverse batterie di cannoniere.

Per quanto le inaugurazioni degli anni accademici continuassero a dare inizio alle attività didattiche, i lavori di costruzione del polo culturale non poterono ancora dirsi conclusi. Nel luglio del 1769 erano stati costruiti i fronti più rappresentativi del Palazzo dell’Università: ad oriente, sulla contrada del Balice, e a settentrione, verso la Torre dell’Elefante.
Più complessa si presentava la situazione del Seminario Tridentino. Se spostare le truppe era stato semplice, più lunghe si dimostrarono le operazioni di esproprio, e dall’esito incerto, dell’alloggio per carrozze. Pertinenza del palazzo Sanjust, la famiglia titolare delle baronie di Teulada e Furtei tentò di ricavare il massimo profitto dalla trattativa, elevando oltremodo il valore degli immobili e causando di continuo anche lo slittamento dell’inizio dei lavori.

Federico Melis – La Sposa Antica, 1930. (Stanza Ovale)

Lo scavo delle fondazioni del collegio religioso fu intrapreso una settimana dopo la stipula del contratto d’appalto, ma l’elevata profondità della roccia e l’esigenza di allestire adeguate opere di puntellamento non consentirono la posa dei primi ricorsi di muratura prima del 29 luglio 1765.
L’avvio dei lavori  veri e propri cominciò ad ogni modo solo durante la seconda metà del 1772. Le imponenti opere di scavo, dovute al materiale di riempimento del bastione, si rivelarono incoerenti e poco adatte a sostenere le maestose opere di fondazione, e dovettero trascorrere circa sei anni per rendere l’istituto fruibile, anche a causa delle ripetute interruzioni del cantiere dovute alla costante carenza di fondi disponibili.

Nel frattempo l’eredità della direzione dei lavori passò nelle mani del gesuita Carlo Maino, preferito all’architetto Giuseppe Viana in virtù dell’educazione religiosa e delle minori ambizioni di carriera. Il monaco aveva elaborato una serie di tavole con gli interventi necessari ad ultimare la costruzione dell’edificio, ma che, rispettando i contenuti originari del progetto del Belgrano, si erano limitati alla realizzazione delle apparecchiature murarie, ai disegni degli infissi e delle opere di ferro battuto.

Particolari all’interno del Palazzo Belgrano

La cerimonia di inaugurazione della nuova sede universitaria fu celebrata nei primi giorni di settembre del 1769.
I fronti connotati da spartiti decorativi semplici e lineari, l’inserimento di mezzanelli, e la sobria eleganza delle partiture strutturali, ben evidenziate dalla ritmica scansione delle paraste, caratterizzavano in maniera imponente il fronte monumentale dell’edificio realizzato nell’antica contrada del Balice.
Le esili membrature, corrispondenti alle alte paraste e ai marcapiani binati, percorrevano l’edificio in senso longitudinale e verticale dettando la scansione ritmica degli spazi. Le finestre modanate risultavano al centro dell’armonica scacchiera strutturale, e l’alternanza tra timpani curvilinei e triangolari contribuiva a cadenzare la profondità prospettica del palazzo.

L’ampliamento settecentesco, ribattezzato nel XX secolo ex Seminario Tridentino, alla fine della sua costruzione presentava le medesime caratteristiche formali, ma si distingueva per la singolarità del portale d’accesso, probabile opera di Giuseppe Viana, incorniciato da un elaborato sistema di volute a cartoccio che sprigionavano una profonda adesione all’arte rococò, dove sono molteplici i richiami formali, dal repertorio allegorico berniniano alla complessa tradizione figurativa mitteleuropea.

Al taglio del nastro del nuovo ateneo mancò un solo protagonista: l’ingegner Saverio Belgrano di Famolasco, colui che aveva tradotto in termini architettonici l’ambizioso progetto della monarchia sabauda. Facendo seguito alle sue continue richieste di trasferimento in Piemonte, la corte aveva infatti accolto i desideri dell’ufficiale, e il Belgrano lasciò la Sardegna il 18 luglio 1769.

Cortile interno del Palazzo dell’Università

Gli entusiasmi per l’inaugurazione dell’ateneo furono presto sopiti dalle preoccupanti lesioni manifestatesi in diversi punti dell’edificio, e per un insolito scherzo del destino, l’avvenimento coincise proprio con la collocazione dell’effigie marmorea del re Carlo Emanuele III, principale finanziatore del nuovo palazzo.

I cedimenti in atto erano riusciti a distogliere l’attenzione anche dagli eventi celebrativi, tanto che il vicario governativo incaricò subito l’ingegnere Francesco Domenico Perini, successore del Belgrano, di effettuare un sopralluogo nell’istituto e presentare una relazione con le misure da adottare. L’ufficiale consigliò rapidi interventi di consolidamento, lavori che partirono già nel 1772.

La direzione del cantiere passò subito dopo all’ingegner Giovanni Francesco Daristo, chiamato in Sardegna in sostituzione del collega Perini. Esperto di opere idrauliche, ma con buone conoscenze anche in campo architettonico, il progettista piemontese attuò i suggerimenti del predecessore completando la successione di arcate verso il Balice e, in seguito alla comparsa di nuove lesioni, ordinando la chiusura delle logge realizzate, anche se in maniera incompleta, all’interno di entrambe le corti.

I documenti successivi relativi alla fabbrica del Palazzo dell’Università non registrano altre opere significative alla struttura, e l’imponente edificio, da allora, continua a dominare prepotente tutta l’area circostante senza grossi stravolgimenti architettonici.

Palazzo Belgrano

Lo scalone monumentale dell’ex Seminario Tridentino si mostra ancora oggi arricchito da una balaustra marmorea di pregio, e la colonna rifasciata, a sostegno delle volte d’intradosso, sembra voler alludere alla leggerezza strutturale delle membrature, conferendo un senso di dinamismo al disegno.

I due grandi portoni d’accesso, più elaborato e ornato con motivi aderenti al rococò quello del Seminario, più essenziale e sormontato da un timpano curvilineo spezzato quello dell’Università, invitano entrambi a soffermarsi ad osservare il lungo fronte principale che sembra quasi un tutt’uno.
Scandito da alte lesene, tra le quali si affacciano i tre ordini di finestre dei vari piani, il prospetto dei palazzi si caratterizza per la presenza di cornici aggettanti, modanature e timpani curvilinei.

Dai portali in pietra si accede ad ampi atri, illuminati da grandi vetrate ad arco con affaccio sui cortili interni, dove in entrambi è presente un pozzo centrale.

Dagli atri dei palazzi si accede ai piani superiori attraverso un austero scalone, mentre una doppia scala simmetrica, posta nel cortile del Palazzo dell’Università, conduce a una terrazza panoramica che guarda sul retrostante Bastione del Balice.

Nell’androne principale dell’Università sono posizionate quattro figure femminili in bronzo, realizzate da vari artisti e collocate durante il 1964 per celebrare il secondo centenario della restaurazione dell’ateneo. Le statue rappresentano le antiche discipline dello Studium Generale: la Filosofia, la Giurisprudenza, la Medicina, la Scienza e la Tecnica, e dividono lo spazio con un’altra statua di epoca romana, che raffigura un personaggio togato privo di testa.

Al lato della scala laterale interna, che conduce al piano degli uffici del rettore, dai primi anni 2000 è ospitato l’archivio storico. La sala, originariamente destinata ai docenti dei quattro collegi accademici, fungeva da stanza di vestizione dei professori. All’epoca, nel 1764, si presentava finemente decorata con tappeti e tende, e vi si trovavano diversi arredi, libri e suppellettili destinati ai docenti. Alla fine del XIX secolo il locale subì la sostituzione del pavimento originario, e vi si poteva accedere attraverso una porta monumentale e un disimpegno, che fu poi sacrificato per ampliare l’attuale portineria.
L’antico uso è stato mantenuto fino ai primi del Novecento, dopodiché, a seguito della costruzione delle nuove sedi universitarie, l’ambiente ha cambiato più volte destinazione. Negli anni Sessanta fu utilizzato come sala riunioni, poi adibito a uffici e segreterie per gli studenti, e ancora a stanza del prorettore.

A ricordo dell’originaria funzione restano le pitture a tempera sul soffitto, realizzate nel corso del XIX secolo da mano ignota. Al centro della volta è rappresentata Minerva, con l’elmo, i sandali, lo scudo e la lancia, mentre ai suoi piedi figurano la tavolozza dei colori, i pennelli e la carta. Minerva tiene in mano una pergamena che riporta la scritta ex cerebro nata.
Ai lati, le raffigurazioni allegoriche dei quattro collegi storici dell’Università di Cagliari: con la bilancia in una mano e la spada nell’altra è rappresentata la Facoltà di Legge, con il bastone e il serpente la Medicina, con gli strumenti da disegno e la sfera il Collegio di Filosofia e Belle Arti; infine, con la croce, il calice, l’ostia e il capo velato, la Teologia.

L’Archivio storico conserva la documentazione che va dal 1764 al 1950, nonché alcuni documenti antecedenti alla riforma del 1764, relativi all’epoca in cui l’Università, o meglio lo Studio Generale cagliaritano, dipendeva dalla Municipalità cagliaritana (1620-1763).

Scalone monumentale dell’ex Seminario Tridentino

Al piano superiore, nell’androne che conduce alla Stanza del Magnifico Rettore, è ospitata la galleria dei ritratti dei più alti dirigenti dell’Università dal Settecento ad oggi.

Nello stesso livello è presente anche l’Aula Magna, che giunge a noi con le sembianze risalenti alla prima metà degli anni Venti del Novecento, e in particolare con le pitture realizzate quando, durante gli anni del regime fascista, si decise di renderla degna delle importanti cerimonie che venivano svolte al suo interno.

Fu il professor Roberto Binaghi, allora Rettore dell’Università di Cagliari, a manifestare per primo le intenzioni di decorarla, e ad invitare personalmente Filippo Figari a farsi carico di un’impresa che sarebbe dovuta essere degna dell’importante palazzo.

La progettazione e l’esecuzione impegnarono l’artista e i suoi collaboratori negli anni tra il 1925 e il 1926, e il lavoro, che comprendeva soluzioni studiate per l’intero ambiente, si componeva di quattro tavole: la prima corrispondente al soffitto, la seconda e la terza inerenti alle due pareti minori, una delle quali destinata alla cattedra rettorale, e infine la quarta che conteneva i disegni della parete maggiore con l’apertura delle porte.

Il tutto veniva poi impreziosito da un fregio perimetrale che doveva racchiudere il cassettonato nel soffitto, con le incorniciature delle pareti minori, le sovrapporte e i grandi pannelli dipinti.

L’accento neomanierista delle volute allungate, dei timpani, e delle decorazioni d’ispirazione floreale pensati dall’autore, che culminavano nella ridondanza dei festoni, veniva infine riassorbito nel tono aulico dominante della nitida scansione delle modanature classicheggianti e delle raffinate sottolineature in bronzo dorato, che avrebbero dato al visitatore una percezione di importanza della sala.

Particolari della Cappella dell’ex Seminario Tridentino

L’inizio dei lavori, previsto per il primo giorno di aprile del 1925, slittò al mese di agosto per una serie di motivazioni tecniche, più volte lamentate dal Figari, che si aggiungevano ai ritardi nelle procedure di demolizione e ricostruzione del vecchio solaio.
Durante i primi mesi del 1926 le decorazioni a stucco dell’intero apparato ornamentale del soffitto, opera dello scultore e decoratore Fernando Casanova, sono però già a buon punto, così come gli schizzi relativi agli stemmi che dovevano servire per modellare l’ornamentazione delle sovrapporte.

La decorazione più discussa, ispirata ad una libera interpretazione ottocentesca dell’autore, sormonta ancora oggi la terza porta partendo dalla parete meridionale dell’aula, e si differenzia dai disegni originali medievali nei dettagli che riguardano lo stemma di Cagliari come città reale spagnola, ancora presenti nel Gonfalone esposto nell’Aula Magna.
La prima porta è invece ornata con lo scudo dei Quattro Mori, mentre la seconda con l’antico scudo ovale dei Savoia. Quest’ultimo rimanda allo stemma che l’Università adottò all’epoca delle Costituzioni del 1764, quando il Magistrato degli Studi, organo di governo dell’ateneo, aveva sostituito la figura del Rettore
La quarta porta, attigua alla parete settentrionale, si fregia infine del tradizionale stemma della città di epoca sabauda.

Altare in marmi policromi all’interno della Cappella dell’ex Seminario Tridentino

Inseriti nelle cornici delle pareti minori dominano i grandi pannelli dipinti a olio su tela, che spiccano nella complessità dell’apparato decorativo.

Nel primo sopra la cattedra rettorale, l’allegoria illustra gli atteggiamenti diversi dello studio universitario nella sua attività strettamente scientifica e spirituale. Al centro della composizione è rappresentata la figura simbolica dell’Università che tiene viva la fiaccola della scienza. Ai suoi piedi siedono, a sinistra, l’Indagine Sperimentale e il Serpente, simbolo della prudenza. In cima all’Indagine Sperimentale è invece incatenata la figura di Prometeo, illuminato dalla fiamma del fuoco rapito, ed interpretato come vittoria della scienza e dell’intelligenza.
A destra dell’Università c’è la figura dell’Indagine Filosofica in posa contemplativa; accanto, l’immagine allegorica della Verità, cinta di veli ed illuminata dal sole, che chiude la composizione.
Figari rispetta l’iconografia della mitologia classica rappresentando il protagonista nudo e incatenato, punito per aver dato il fuoco agli uomini. Al risvolto aggressivo e drammatico della scena della tortura del titano, prevalente nella tradizione rinascimentale e manierista, l’artista predilige la rappresentazione “umanizzata” dell’eroe che non combatte l’aquila ma medita sull’ingiustizia subita.
Sull’altro lato della composizione piramidale, l’Indagine Filosofica, colta con lo sguardo rivolto verso l’alto, è posta in relazione alla ricerca della verità, rappresentata dal nudo femminile, secondo l’iconografia più diffusa dall’umanesimo in poi.

Particolari della Cappella dell’ex Seminario Tridentino

Il pannello della parete opposta, intitolato alla Sardegna Industre, accoglie ancora delle figure retoriche, ma in questo caso l’artista ha voluto illustrare l’attività pratica dello studio universitario, in rapporto alle risorse e all’avvenire dell’Isola.
Nel centro è rappresentata la Sardegna Universitaria che regge lo stendardo crociato del Regno Sardo, mentre ai suoi lati ci sono le figure dell’Abbondanza e della Forza Naturale che frena i cavalli. In primo piano due gruppi di uomini, donne e fanciulli, ricordano la prosperità della campagna ed il rifiorire dell’Industria.
Sono gli effetti auspicati degli studi universitari sullo sviluppo della vita produttiva e la crescita economica dell’Isola.
Il gruppo di madri contadine lavoratrici, vestite con il costume di Atzara e accompagnate dalla cornucopia ricolma di frutti, simboleggiano invece le imperiture risorse della terra e della famiglia, esprimendo un messaggio non scevro di contenuto ideologico.

La celebrazione della forza produttiva e del lavoro, tradotti nelle figure degli erculei operai vestiti con gli abiti della fatica e accompagnati dagli attrezzi del mestiere, rimandano infine alla dimensione simbolica e universale dell’ideologia produttivistica del fascismo, periodo nel quale vennero realizzate le opere pittoriche.

Particolari della Cappella dell’ex Seminario Tridentino

Ai lati dei due pannelli, incorniciate, si trovano quattro targhe con le iscrizioni latine che ripercorrono i momenti più significativi della storia dell’ateneo. Nella parete meridionale, sopra la cattedra rettorale, ci sono i riferimenti alla promulgazione delle Costituzioni del 1626, e i rimandi alla rifondazione dell’Università per volere del Re sabaudo Carlo III nel 1764. Nella parete opposta sono impressi i passi che citano la stipula della Convenzione per la parificazione dell’Università cagliaritana con le altre università italiane di primo grado, avvenuta nel 1902. Nell’ultima, infine, il ricordo del ripristino della Facoltà di Lettere e Filosofia del 1924.

Ancora inquadrati all’interno di cornici modanate, ma arricchite in basso dalla decorazione con il simbolo del fascio littorio, sono i quattro distici in latino che illustrano il contenuto delle tele, commissionati da Figari al professor Giannino Castiglioni, illustre uomo di lettere e docente di letteratura latina presso l’Università cagliaritana.

All’interno dell’Aula Magna si trova anche il bassorilievo di Carlo Emanuele III, risalente al 1773, e unica preesistenza nella sala al momento dell’intervento moderno.
Il monarca è raffigurato, al centro di un medaglione, in abiti regali e con la tipica acconciatura ancient régime, nell’atto di porgere, con la mano destra, una pergamena con lo statuto della nuova Università; due angeli sostengono invece un morbido drappo attorno all’immagine.
L’effigie è sorretta da un baldacchino marmoreo, che sfuma nelle tonalità del viola e del verde, mentre al centro del registro inferiore è inserita la lapide dedicatoria con l’iscrizione:

CAROLO EMMANUELI III QUOD HANC SUAM IMAGINEM DESIDERIO PRAESENTIAE S. MINUENDO HOC IN ATHENEO AB SE EXCITATO LOCARI JUSSERIT ACADEMIAE ORDINES OBSTRICTI MEMORIA BENEFICII SEMPITERNA MONUMENTUM HOC GRATI POSUERUNT A.D. MDCCLXXII.

La lapide fu realizzata successivamente all’effigie, probabilmente in un periodo compreso fra il giugno e il luglio del 1772.

Le sedie dell’Aula Magna e la mazza d’argento brandita dal capo corteo durante la cerimonia d’inaugurazione dell’ateneo, tuttora conservata nelle sale dell’ateneo, furono disegnati da Saverio Belgrano di Famolasco.

Scalone monumentale interno dell’ex Seminario Tridentino

Al piano terra del palazzo dell’ex Seminario Tridentino, che ospitò l’istituzione dagli albori fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, è presente invece un’antica cappella, all’interno della quale è custodita la parte più antica e significativa del patrimonio raro e di pregio della prima biblioteca universitaria.

La cappella è una semplice ma suggestiva sala con volta a botte lunettata, riccamente decorata con dipinti di artisti dei quali non esiste però attribuzione certa.

Nella parte di fondo è collocato un altare in marmi policromi a intarsi di fattura ottocentesca, dotato di tre gradini e di un tabernacolo con porticina d’argento raffigurante l’Agnus Dei. La mensa è sovrastata da una finestra centinata ornata di stucchi bianchi che emana una luce capace di rendere suggestiva l’intera aula.
Sulla sommità dell’arco è presente lo stemma dell’Università di Cagliari, che riporta al centro la Vergine,  mentre ai lati, lo stemma coronato di Cagliari con i pali d’Aragona, e quello del Regno di Sardegna con i quattro mori.
Alla base emblemi del papa sardo Ilario e dei due vescovi Lucifero ed Eusebio.

La volta presenta numerose decorazioni pittoriche a tempera, tra cui due grandi tondi centrali e uno di dimensioni minori, situato nella parete opposta a quella dell’altare. Il primo dei due maggiori rappresenta la Vergine (della quale una scritta evidenzia l’attribuzione di Sedes Sapientiae, cioè depositaria della speranza divina) col Bambino in grembo e circondata da angeli; il secondo raffigura invece Eusebio, sardo di nascita ma divenuto vescovo di Vercelli, nell’atto di benedire.

All’interno della sala sono presenti diversi stemmi di altri vescovi e papi, il leone di San Marco e un’àncora, lo stemma di monsignor Berchialla, che raffigura un triangolo trinitario con scritta in ebraico IAHVÈ, e poi lo stemma dei Quattro Mori e quello della città di Cagliari, nonché quello della cattedrale con la sua patrona Santa Cecilia. Nelle sei lunette sono dipinti anche una torre pisana, una veduta sul mare, un nuraghe, una chiesa, un isolotto in mezzo al mare, e infine, un paesaggio tipicamente sardo con un pastore in abito tradizionale e il suo gregge.

Veduta d’insieme della Sala Settecentesca

Il primo piano dell’edificio si caratterizza per la presenza del salone della biblioteca, all’interno della quale, nel 1764, trovarono spazio la raccolta dei libri donati dal sovrano e dal ministro Bogino, i testi utilizzati dai docenti nei loro corsi universitari, e quelli tirati a Torino e successivamente a Cagliari quando fu istituita la Reale Stamperia.

Nel 1773, al nucleo costitutivo vennero aggiunti i libri provenienti dal convento gesuitico di Santa Croce, unitamente al lascito del giureconsulto Montserrat Rossellò, formato da trenta incunaboli.
Nel 1843 vi confluì anche la raccolta di Ludovico Baylle, composta da opere di interesse sardo, fondamentale per la ricerca di storia locale, e la biblioteca dei Padri Scolopi delle Scuole Pie.

L’arredo ligneo della biblioteca venne invece disegnato, nel 1784, dall’ingegner Giacinto Marciotti. Le scansie, laccate di avorio e oro, sono ancora organizzate su due ordini, secondo una tipologia architettonica ricorrente in epoca barocca, e occupano interamente le pareti a destra e a sinistra della sala, mentre un ballatoio a galleria, al quale si accede attraverso una ripida scala nascosta da una piccola porta, posta a destra dell’ingresso, si snoda nei quattro lati della sala. Il livello superiore è costituito da un elegante baldacchino sorretto da modiglioni, esteso all’intero perimetro dell’aula.

Il salone, noto con il nome di Sala Settecentesca, venne aperto per la prima volta nel 1792 e, ieri come oggi, si presenta nella forme di un grande locale rettangolare, lungo circa 20 metri, largo 8, alto 7 metri e 50, e dotato di ampie finestre che guardano il porto.

Le scaffalature, realizzate dall’artigiano cagliaritano Angelo Cardu, in un primo tempo furono tinteggiate di rosso scuro, ma successivamente ridipinte di un colore simile a quello attuale, che conferiva maggiore luminosità all’ambiente.
La volta della sala era invece provvista di una controsoffittatura decorata con le armi della dinastia sabauda, mentre il pavimento originario era in ardesia.
Nel corso degli anni la controsoffitta originaria venne sostituita dai lucernai, e alla struttura lignea fu fissata una tela decorata con motivi floreali; in tempi più recenti, si adottò invece una controssoffittatura decorata in oro, dalla quale pendevano dei grandi lampadari di vetro di Murano.
Successivamente, anche l’antico pavimento d’ardesia fu sostituito da uno di quadrati di marmo nero, inframmezzati da tozzetti bianchi, più tardi però smantellato e coperto di moquette.

Veduta d’insieme della Sala Settecentesca

Nel 1987 la sala venne considerata inagibile e chiusa al pubblico.
Alla fine degli anni Novanta un accorto progetto di restauro la riportò agli antichi splendori, rispristinando i lucernai e il pavimento in marmo.
All’interno della biblioteca sono attualmente custoditi circa 11800 volumi appartenenti al patrimonio antico, il busto ottocentesco raffigurante lo storico Giuseppe Manno, quello dello scultore algherese Antonio Moccia e altri dedicati a personaggi di cultura del Novecento sardo, come quello del professor Francesco Alziator.