Il Pozzo di San Pancrazio è ubicato sotto il piano stradale di piazza Indipendenza, e lo spiazzo, benché avesse originariamente una forma irregolare, fu ampiamente decantato dagli storici per le sue funzioni relative non solo alla viabilità, ma anche e soprattutto perché al centro dello stesso sorgeva uno dei più importanti pozzi di approvvigionamento idrico del quartiere storico di Castello.
All’interno della fontana venne ritrovata un’iscrizione latina, purtroppo andata persa, che farebbe risalire la sua costruzione al 1253, mentre è certamente di epoca più recente la galleria che ne permetteva l’accesso al suo interno, che risale al primo ventennio del 1800.
“HOC OPUS CONFECTUM ANNO DOMINI MCCLIII”
(“Questo lavoro fu completato nell’anno del Signore 1253”).
Per tutto il XVIII secolo il Pozzo di San Pancrazio, insieme alle sorgenti di Santa Lucia e di Santa Croce, è tra i più importanti ed attivi di Cagliari.
Le tre fontane, di proprietà dell’Amministrazione civica, erano date in appalto ogni tre anni ed era obbligo dell’appaltatore tenere sempre in buono stato ed in funzione le fonti, in modo da fornire acqua tutti i giorni a chiunque ne facesse richiesta.
Generalmente l’appaltatore si impegnava a sostenere le spese per le piccole riparazioni, mentre le sistemazioni più costose restavano a carico della municipalità cittadina.
In ogni contratto vi era una valutazione preliminare del pozzo, che includeva il valore del caseggiato, degli attrezzi, degli animali, e talvolta anche dell’acqua residua contenuta nei vasconi annessi. L’esame era solitamente firmato da due periti, uno per parte. Alla fine del triennio seguiva poi una nuova analisi dei beni e si procedeva, se necessario, all’eventuale compensazione a profitto o a svantaggio del concessionario. L’appaltatore era inoltre obbligato a tenere a proprie spese anche degli uomini e dei carri, che venivano caricati di botti piene d’acqua, e che dovevano girare per le vie del Castello per venderla a chiunque ne fosse interessato.
Nel 1834 gli acquaioli autorizzati erano riconoscibili dal rosso e dal blu, i colori del gonfalone della città, con cui erano dipinte le botti. Per evitare che qualche appaltatore di pochi scrupoli ci speculasse sopra, l’Amministrazione civica fissava il prezzo dell’acqua, che era diverso a seconda che fosse attinta dalla fonte o acquistata a domicilio. Il carrettiere era obbligato a tenere sul carro anche i recipienti per la vendita al minuto, nonché l’insegna con l’indicazione precisa della fontana da cui proveniva l’acqua. L’inosservanza di quest’ultima disposizione poteva costare addirittura l’arresto.
Il Pozzo di San Pancrazio in origine occupava buona parte dell’attuale piazza Indipendenza, ma nel 1823 la municipalità fu costretta a trasferirne l’impianto nel sottosuolo a causa delle continue proteste degli abitanti del quartiere, che lamentavano le scarse condizioni igieniche dovute alla presenza degli animali utilizzati sia per girare la ruota del mulino che sollevava l’acqua, sia per trasportare le botti da un punto all’altro del quartiere, e che confluivano fastidiosamente e in ogni momento al centro dello slargo.
Il fango che si calpestava in inverno ed il fetore che si respirava durante l’estate recavano continuamente disagio nei cittadini che attraversavano lo spiazzo per recarsi in passeggiata, per cui il generale architetto Carlo Pilo Boyl propose il trasferimento del casamento e delle stalle sottoterra, scavando la roccia per collocarvi al suo interno il meccanismo del mulino, che si sarebbe potuto raggiungere per mezzo di una rampa coperta da una grande volta.
Alla conclusione dei lavori, l’acqua estratta iniziò a passare sotto il livello dello slargo per mezzo di un canale di piombo che arrivava fino alla piazza di Santa Croce, dove era stato realizzato il deposito e dove con più facilità e meno fastidio potevano giungere anche i carri per distribuire l’acqua alla città.
L’ingresso alla galleria sotterranea, che permette l’accesso al Pozzo di San Pancrazio, oggi è ubicato sul lato occidentale di piazza Indipendenza e vi si accede tramite un tombino quasi nascosto, posto in prossimità dell’ex Regio Museo Archeologico.
Nella parte iniziale del tunnel è visibile un ampliamento voltato con archi e un pilastro centrale, ambiente presumibilmente utilizzato come alloggio per gli animali, vista la presenza di alcuni anelli di ferro sulla parete; oltrepassato questo spazio si sviluppa poi la galleria vera e propria che conduce fino al pozzo. Per i 2/3 il lungo corridoio è rinforzato da una volta a botte realizzata con blocchi di calcare; sulla volta si trovano due aperture (attualmente sprangate) che probabilmente servivano all’areazione del sottopassaggio.
Oggi nella sezione del corridoio sovrastante il pozzo, il soffitto è rinforzato da travi di cemento armato, che consentono il più contemporaneo e pesante carico del traffico soprastante.
Sulla parte destra è presente una sorta di vasca scavata nella roccia, usata forse come mangiatoia o abbeveratoio dagli animali utilizzati per l’attingimento delle acque dal pozzo.
Sempre su questo lato, e per tutta la lunghezza del tunnel, è riconoscibile anche una canaletta (anch’essa scavata nella roccia) che serviva a condurre parte dell’acqua verso i bastioni di Santa Croce, dove era ubicato uno dei più grandi cisternoni del quartiere alto.
Il pozzo, situato al termine della galleria lunga 30 metri, apre sul piano di calpestio della stessa galleria e, in prossimità della cavità, sono presenti alcuni resti di manufatti scavati nella roccia, la cui presenza suggerisce il loro utilizzo per il funzionamento di una noria mossa probabilmente da una coppia di cavalli.
La cisterna, completamente scavata nella pietra, dal piano del tunnel ha una profondità di 88 metri, 11 dei quali occupati dall’acqua, e si presenta come un prisma a base quadrata i cui lati sono di 6×6 metri per i primi 45 metri di altezza, riducendosi a 4×5 nella parte più profonda, che mette in risalto anche un gradino ubicato circa a metà della verticale. Il gradino in parte è dovuto alla presenza di un rivestimento e/o rinforzo all’opera realizzato in blocchi di calcare. Sono comunque ancora ben leggibili le due aperture originarie.
Il 27 febbraio 1861 il Consiglio di Cagliari approva il progetto di acquedotto elaborato dall’ing. Felice Giordano per convogliare in città le acque torrentizie del Corongiu.
Il 3 marzo 1867 l’acquedotto era ultimato e, con un potente zampillo davanti a tutte le autorità cittadine riunite in piazza Yenne, la sospirata acqua arriva finalmente a Cagliari dalle montagne di Sinnai. Durante quella giornate si chiude però definitivamente anche la lunga storia del Pozzo di San Pancrazio, comunque nel frattempo già superato dalla fonte di Tristan, ubicata in prossimità dell’attuale piazza Tristani, e da altre fonti privare realizzate a Stampace, Villanova e negli orti di La Vega, che fornivano acqua di una qualità superiore.
Si dice che il progetto di costruzione della volta che proteggeva l’impianto venne collaudato posizionando quattro cannoni in bronzo con il loro affusto, i quali vennero tenuti lì per più settimane senza che il soffitto ne abbia sofferto. Nel 1953 però, la stessa volta cedette sotto il peso di un pesante automezzo, e fu necessario un intervento di restauro con l’impiego di travi in cemento armato.
Di questo restauro ne resta l’indicazione nella scritta “Ledda Giuseppe da Selargius – 12 gennaio 1911 – muratore – restaurato 22 agosto 1953”, (Giovanni Spano, Guida della città e d’intorni di Cagliari – Timon 1861, cit. p.81), incisa nel cemento fresco di una trave sotto la volta di sostegno al piano stradale.
Ma in questo sotterraneo, oggi, chi fa scalpitare gli zoccoli durante la notte? Secondo alcuni abitanti del quartiere, infatti, in alcuni periodi dell’anno, durante le fasi di luna piena, in prossimità dell’imboccatura della caverna e del pozzo si sentirebbero, ben distintamente, i rumori prodotti da un mulino e dagli zoccoli dei cavalli..